Editoriale

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La tutela del prodotto autoctono: la polemica su Mogol e le quote di musica italiana

Ritengo deludente che un grande autore come lui abbia sposato la proposta politica della Lega, perche’ votata solo alla quantita’ e non alla qualita’.
Chi mi conosce da anni, può facilmente intuire come la penso su questa diatriba: assolutamente contrario, ma non voglio tediarvi con 88 pagine di considerazioni. Ma mi permetto di precisare alcuni punti:
– Il cosiddetto modello francese impone quote di musica nostrana all’interno di palinsesti (radio & tv), ma anche sui giornali e nelle programmazioni dei locali
– Quantità e non qualità, percentuali da rispettare che poi sono fuori dal mercato, dato che nel 2018 i discografici della FIMI (non il sottoscritto) nelle loro statistiche hanno certificato che tra i 10 dischi più venduti quelli italiani erano rispettivamente 7 e 9, a seconda se parliamo di album o singoli. Le parole di Enzo Mazza sono state …La clamorosa affermazione della musica italiana nell’era dello streaming, con una percentuale così elevata anche tra i singoli, conferma per il 2018 una rivoluzione generazionale importante nel nostro Paese..
– Ben diverso è se andiamo a vedere dentro questi dati e ci accorgiamo sia degli artisti presenti, ma anche a quali case discografiche facciano riferimento: tutte major (quindi con capitale estero e potere decisionale a Londra, Parigi o Los Angeles) e poche veramente italiane ..
– Mi spiegate come si potrebbe imporre una quota fissa su una programmazione di una radio specializzata che magari fa solo metal o country o musica etnica? Arrivata a metà del suo palinsesto, si deve fermare e per forza inzupparci dentro artisti italiani: sicuramente ci sono che fanno metal, country o musica etnica, ma in quella programmazione ci entrano non per il valore del loro progetto artistico, ma perché rientranti nelle quote protette ..
– Tutto questo polverone nasce certamente dalla lettera che Mogol ha mandato agli iscritti alla Siae, ma affonda le radici sulle battute fuori luogo venuti dai politici che hanno voluto sindacare sull’esito dell’ultimo Festival di Sanremo
La satira sul web trova secondo me la sintesi nella battuta …È la casa discografica che traccia il solco sul vinile, ma è la SIAE che lo difende..! Battuta dal retrogusto in agrodolce che purtroppo riporta a decenni infami, ma che mette a frutto tutti gli aspetti di questa polemica.
Non si potrebbe invece analizzare la deriva culturale dei mass media italiani, considerando che:
– Si sta rottamando l’emittenza locale e nessuno muove un dito
– I palinsesti dei network sono spesso tutti uguali, perché la musica che passa non è scelta dal conduttore, ma frutto di scelte di marketing
– Il coraggio imprenditoriale nelle etichette italiane è assai limitato, sia per il discorso di prima sulla proprietà estera, sia perché di direttori artisti coraggiosi ne conosco assai pochi
– La Siae farebbe bene (proprio per la sua storia di sindacato che tutela i propri assistiti) ad usare le nuove tecnologie per dare risultati reali su tutti i concerti eseguiti (e pagare velocemente le relative royalties agli autori), imporre alle radio di fornire i brani passati in tempi non biblici, abbandonare il forfettario dei contributi ricevuti ma pretendere l’analitico ed altri mille cose semplici..
Vi faccio un esempio personale: ho iniziato a trasmettere a Radio Sondrio dal 20 Giugno del 1976. 

Il direttore ci imponeva di fare una scaletta con i brani che volevamo noi (ma lui ci dava qualche suggerimento), di presentarli, mettere la puntina del giradischi sul solco e poi farlo partire, non ascoltare il brano, ma mettere sulle nostre ginocchia il mitico borderò, dove segnare quello che avevo realmente mandato in onda, la durata e gli autori del brano: sono state le fondamenta su cui mi sono anche costruito una cultura storica delle canzoni. Poi a fine settimana passava l’omino della Siae di zona, prendeva tutti i borderò cartacei e li portava in ufficio, dove elaborava i dati. Agli artisti (anche se nel semestre successivo) arriva qualche lira anche da parte del mio lavoro… Eravamo nella preistoria … nel 1976 dove non esistevano nemmeno i fax, figuriamo i cellulari, i computer o gli algoritmi, ma i dischi ce li spediva anche una certa Fonit Cetra, etichetta di proprietà italiana e che produceva solo musica di casa nostra. Poi eravamo noi a decidere se mandare in onda i loro Delirium, New Trolls, Patty Pravo, Gli Osanna, Michele Zarrillo, Mietta, Mango, Mia Martini, Ivano Fossati … tanto per fare qualche nome.
Ultima riflessione: nel 1973 partecipai al concorso indetto dal quotidiano Il Giorno e mandai la mia candidatura per far parte delle giurie esterne del Festival di Sanremo. Mi presero e mi ritrovai tra altri 50 a riunirci, dopo aver ascoltato radiofonicamente quello che veniva cantato sul palco del Teatro del Casinò (solo nel 1976 venne tutto trasferito al Teatro Ariston); ricordo bene la mia preferenza (anche perché risulta l’unica data ad una band, come riportano i vari libri) e da allora ho visto passare abbinamenti con il Totip, pacchetti di sms che ti venivano offerti da call center premurosi e tanto altro. Mi dicono poi che ci furono anche delle interrogazioni parlamentarisull’audacia di alcuni testi, qualcuno si è anche suicidato (forse perché non aveva gradito la sua esclusione dalla finale) e tante altre polemiche, più o meno reali…
Mamma mia come sto diventando anziano: ho cominciato ad aprire il libro dei ricordi..