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Pubblicato il 29/08/2005 alle 11:19:11Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Festival Internacional di Benicassim – 4/5/6/7 agosto 2005

di: Emiliano Rispoli

Cure, Kasabian, Mouse On Mars, Pan Sonic e Nick Cave sono stati alcuni dei protagonisti del Festival Internacional di Benicassim, il più importante della Spagna e tra i principali in Europa. Ecco il resoconto.

Cure, Kasabian, Mouse On Mars, Pan Sonic e Nick Cave sono stati alcuni dei protagonisti del Festival Internacional di Benicassim, il più importante della Spagna e tra i principali in Europa. Ecco il resoconto.

Fib start – giovedì 4 agosto.

Sotto un sole cocente, alle 2 circa del pomeriggio, arrivo in treno nella piccola stazione di Benicàssim. Zaino in spalla, insieme a tutti gli altri “Fibers” m’incammino verso il recinto del FIB. Il mio primo pensiero va alle infrastrutture: avrebbero potuto metterci a disposizione un mezzo per raggiungere la biglietteria, hanno pensato a tutti gli altri spostamenti (Valencia aeroporto, Castellòn, ecc…) e a questo no! Sono infatti 3 i chilometri da fare con un sole e un’afa notevoli. Il campeggio (io mi trovavo in quello principale, più o meno di fronte al recinto dei concerti) è molto spartano, siamo tutti appiccicati in pochi ettari ma si sopravvive : di ombra ce n’è a sufficienza. Dopo il difficoltoso montaggio della tenda, decido d’incamminarmi verso il centro cittadino. Mi rendo immediatamente conto che la mia idea è stata una disgrazia : il caldo non accenna a diminuire e le distanze appaiono (forse lo sono veramente) immense! Intorno a me sono ovviamente molti gli spagnoli, tra i primi ad essere giunti a Benicassim : l’ingresso al Fib permette infatti di campeggiare fin dal 1° agosto in questa cittadina di mare tra Barcellona e Valencia, ma anche i britannici sono un’enormità. Il Fib 2005 offre un piccolo antipasto al proprio pubblico di “aficionados”. La prima “mezza” (si fa per dire…) giornata di festival si svolge solo sul “escenario verde” (palco principale, veramente suggestivo per la sua ampiezza e capacità d’accoglienza). Solo il tempo di una doccia nel da me battezzato “docciorum” (serie di lunghi tubi sospesi nei quali sono stati applicati delle docce, rigorosamente fredde e rigorosamente all’aperto) e sono pronto per assistere al DJ set d’apertura previsto per le ore 20h. Un po’ per scaramanzia, un po’ perché è sempre stato così da qualche anno ormai, le prime note sono del DJ peruviano Aldo Linares. E come da tradizione, offre un mix più o meno ascoltabile delle musiche degli artisti che si esibiranno nei 4 giorni di festival. A seguire, una band di Barcellona, Dorian, un po’ impacciata vista la giovane età e soprattutto ben poco abituata a palchi di queste dimensioni. Dal look molto simile alle Ladytron e dal sound Pop elettronico anch’esso un po’ retrò, ha regalato al pubblico un live divertente mescolando basi sonore che invitavano al ballo e arpeggi dolci che richiedevano maggiore attenzione. Secondo il pubblico catalano presente è una band da seguire attentamente. Altra band emergente spagnola, Deluxe, dal sound molto più pop e ben più nota al pubblico locale visto che è stata acclamata e cantata a squarciagola, si è lanciata in un live decisamente più professionale e partecipativo rispetto a Dorian. Non sono molte infatti le band che riescono, anche di fronte ad un pubblico che per metà li disconosce, a captare l’attenzione della gente dall’inizio alla fine. Il cantante Xoel Lòpez vi riesce brillantemente, facilitato anche dalle melodie semplici ma anche molto coinvolgenti, nella migliore tradizione pop spagnola. Vi segnalo il loro miglior pezzo a mio giudizio : “Qué no”. Unici sguardi un po’ perplessi, perché in attesa dei loro beniamini, quelli del pubblico british, fedele come ogni anno al festival estivo più importante di Spagna. Finite le band iberiche, il pubblico ha assistito all’esibizione degli americani The Posies. Live molto discontinuo : iniziato con un’energia smisurata è andato via via calando. I 4 elementi sono ben amalgamati tra loro, anche se pare non vadano molto d’accordo. Unica nota veramente positiva è stato il loro pezzo storico “I Guess you are alright”, infatti la band ha offerto una enorme quantità di pezzi del loro ultimo lavoro “Every kind of light”, certamente sottotono. Il clima si trasforma radicalmente con il live della numerosa (23 elementi) band/coro gospel (fate un po’ voi) The Polyphonic Spree. Tutti vestiti con una tunica azzurra dal tono un po’ Charlie Brown, un po’ Gospel, sono una band molto spettacolare in live, decisamente più da palco che da disco. Rispetto ai dischi, le canzoni dei Polyphonic Spree acquistano una ritmica molto coinvolgente e una vera sostanza. Sembra quasi che la band voglia trasmetterci la sua fede. Fede non si capisce bene in quale dio, ma è proprio di fede che bisogna parlare. Riescono ad estasiare e ad estasiarsi, posseduti da una frenesia che nasce da una radice spirituale e finisce in convulsioni fisiche. I Polyphonic Spree conoscono bene come fare spettacolo e come commuovere ed eccitare le folle. E anche se a volte perdono il controllo : 23 elementi su una scena in costante coordinazione fra loro è mission impossible. L’importante è l’insieme, l’unione : “Together We are heavy”. Ai Polyphonic Spree è seguito un insipido live di The Tears. Quello che doveva essere un concerto “revival” dei Suede, offerto da uno dei duo più fruttuosi del panorama pop britannico degli anni novanta, si è rivelato una sequenza noiosa dell’ultimo lavoro del gruppo decisamente non all’altezza della fama dei protagonisti. Non crediate che dopo tanta energia liberata dai Polyphonic Spree, la noia sia una logica conseguenza. E’ stato proprio un live sottotono e le canzoni non destavano il benché minimo interesse.

Si cambia totalmente musica (in tutti i sensi) con Underwold, un revival energico delle melodie techno (di quelle che ormai non esistono più) anni 90. Il pubblico ha sballato, cantato, sfogato, saltato tra luci cibernetiche, battiti e ritmiche pulite. Karl Hyde e Rick Smith hanno spaccato le casse con i loro più grandi classici dell'elettronica. Un vero coro da stadio ha accompagnato “born sleepy”, famoso pezzo della colona sonora di Trainspotting. Un’emozione unica, lacrime di gioia, mescolate con sorrisi iperbolici e frenesie anfetaminiche. E’ stato bellissimo. La notte si è poi conclusa con la coppia di DJ’s molto famosa da queste parti, Optimo DJ’s, che hanno approfittato dell’entusiasmo lasciato da Underworld per far ballare gli ultimi superstiti fino alle 7 del mattino. Alle 6 però crollo e con difficoltà raggiungo la mia tenda, immersa in un mare sempre più folto di tende colorate. Come primo giorno di festival non è stato certamente male. Anzi. Forse, volendo trovargli proprio un difetto, l’ordine non è stato proprio azzeccato : I Polyphonic Spree andavano fatti suonare dopo lo sbadigliante live di The Tears, che sinceramente ci ha appesantito molto le gambe in vista della maratona iniziata con Underworld alle 3 e finita con Optimo DJ’s alle 7. Obbiettivamente deludenti anche i The Posies.

FIB – Venerdì 5 agosto.

La prima vera giornata completa di festival comincia con una mattinata all’insegna del caldo. Dormire dopo le 11 è un’impresa. Orde di “fibers” cercano refrigerio in direzione del mare. Decido di unirmi a loro: una sfacchinata pazzesca, mezz’ora di camminata. Il mare però si presenta piuttosto pulito e i numerosi bar sulla spiaggia offrono ombra e bevande fresche.
Alle 17,30 sono già pronto nell'“escenario Fiberfib.com/Hellomoto”, il secondo tendone / palco per grandezza dopo l’escenario verde. Stanno per suonare gli eclettici catalani Les très bien Ensemble. In un tendone quasi vuoto, con un caldo ancora asfissiante nonostante l’acqua “nebulosa” sganciata dal tetto e dai lati del tendone, la band composta da 4 elementi con vocalist femminile ha incantato con un pop elegante di taglio molto francese. Questa band infatti, nata come cover band di Serge Gainsbourg, si diletta a rievocare gli anni settanta con cover rivisitate e composizioni sensuali grazie ad un accento marcatamente spagnolo nel canto in francese. Un ottimo inizio, per una giornata di festival che sarà molto lunga e dispendiosa di energie.
Sempre sul palco Fiberfib.com/Hellomoto, ma con una maggior presenza di pubblico, gli scozzesi The Zephyrs non sono stati da meno in quanto ad eleganza, anzi il loro pop/folk molto ben suonato, interessante, intrigante, a tratti quasi ubriacante per la dolcezza del suo sound e per la sua naturalità, è piaciuto molto. E’ un gruppo che ho annotato tra quelli di cui voglio approfondire la conoscenza. Ve li consiglio.
Prima della fine del concerto di The Zephyrs, decido spostarmi verso il palco Fib club, terzo tendone per grandezza, per ascoltare parte del concerto di una band spagnola, Valenciana, di cui si dice un gran bene da queste parti, La Habitaciòn Roja. Effettivamente, rimango colpito dal indie-pop molto ben suonato da questo gruppo ma soprattutto dall’atmosfera da stadio che si respira tra il pubblico. E’ un gruppo certamente molto famoso e molto amato tra la gente spagnola presente al Fib. Alcuni mi dicono: "Siamo molto arrabbiati con l’organizzazione perché questo è un gruppo alla sua quarta presenza qui al Fib, merita di gran lunga l’escenario verde. Altro che questi gruppetti inglesi". Il riferimento è agli Athlete che alle 21 si esibiranno nel palco “dei grandi” forse senza grande merito. E’ probabilmente hanno ragione: per anzianità e seguito forse questa band di pop spagnolo molto ambiziosa merita l’escenario verde. Il loro pop è originale e sentimentale, certamente ce ne sarebbe bisogno anche in Italia di un gruppo come questo.
nche nel caso di la habitaciòn Roja, non ho il tempo per seguire tutto il concerto, al palco Hellomoto, alle 20 suona il duo The Kills. La mia scelta è stata però infelice. Il gruppo in live non è granché. Poco energia, riffs e sound molto ripetitivi, una cantante svogliata, un chitarrista ingessato, una scatola ritmica noiosissima. Ci siamo dovuti sorbire anche atteggiamenti erotici tra i due, sinceramente squallidi e falsi. Sicuramente non all’altezza della loro fama.
Un po’ schifato ma anche un po’ affamato, faccio una pausa addentando un falafel e passeggiando tra gli stand. Scopro un universo inverosimile di magliette, vestiti, gadget, ecc… alcuni a prezzi veramente da brivido. Mi guardo anche parte del concerto di Athlete, formazione indie-pop inglese di recente formazione. Piuttosto mielosa, con qualche successo di qualità, in particolare dell’ultimo disco “changes” e “half light” (hanno dato un pezzo ad una pubblicità mi pare, non ricordo quale…), altri pezzi francamente soporiferi ma tutto sommato una buona presenza scenica malgrado la loro giovane età come band e la loro inesperienza in un palco “enorme” per loro.
Mi rendo conto di essermi perso il concerto di Lemon Jelly nel palco Hellomoto. Mi vorrei uccidere! Me ne sono dimenticato! Mi dicono che valeva la pena. E ci credo : il duo composto da Nick Franglen (il produttore) e Fred Deakin (il disegnatore), innamorati dei loro sample avrebbero spaccato!
Mi riprendo dalla mia depressione con un breve ascolto non molto convincente degli svedesi Mando Diao, problemi di check sound sicuramente. E’ una band molto divertente, un po’ punk, un po’ power pop, molto energica. Danno il meglio di sé in questo piccolo palco del Fib Club. Il pubblico si diverte e la concentrazione della folla permette un accenno al più classici dei “pogo”. L’allegria del gruppo è coinvolgente, ci offrono pure uno splendido streaptease!
Come per altri “fibers”, mi trovo anch’io davanti ad un bivio esistenziale difficilissimo : quasi in contemporanea : a Hellomoto suonano i Fischerspooner e al escenario verde i leggendari Yo la tengo. Mi decido per i primi (non senza rimpianti) solo perché i Yo la tengo li ho già visti.
La band capitanata da Warren Fischer e Casey Spooner è molto spettacolare ma senza eccessi volgari. Il cantante si cambia d’abito molto spesso, la corista è molto brava. I pezzi scorrono con brillantezza. Mi aspettavo un live certamente molto strumentale ma non così rock : una batteria a tratti decisamente post-punk. Mi sono piaciute in particolare il nuovo singolo “Just let it go” e l’interpretazione di “Cloud” (mi sono innamorato della corista) e “Never win” (il pubblico è impazzito, il refrain era sommerso dal canto della gente) e “We need a war” in versione molto Duran Duran (ancora una lode alla corista). E’ una band del momento e si vede. L’Hellomoto è molto oltre la sua naturale capienza. L’unica nota di mal gusto a mio avviso è stata il continuo alludere da parte del cantante al marchio della birra che patrocina ogni anno il FIB che sorseggiava a più riprese.
Benché dopo Fischerspooner suoni Peaches (mi sarebbe piaciuto molto assistere al suo live), il cuore mi chiama : le prime note di The Cure incominciano ad invadere l’escenario verde. Per uno come me, cresciuto con loro, è un’emozione gigantesca! Spero solo che sapranno ricambiare l’affetto che ho per loro.
Ciò che mi colpisce da subito, a parte la non proprio smagliante forma di Robert Smith, è che il gruppo suona senza tastiera : strano. Il mio stupore si trasforma presto in delusione. I Cure propongono un’interminabile e noiosa sfilza di canzoni nuove, con schitarrate francamente fuori luogo. Vedo che intorno a me anche gli altri spettatori la pensano allo stesso modo. Ci emozioniamo soltanto con i pezzi storici (“Play for Today”, “One hundred years”, “Boys don't Cry”, “Friday I'm love”, “A letter to Elise”). Il resto è da mettere nel dimenticatoio. Anche l’atteggiamento generale della band, apparsa obbiettivamente svogliata. Forse mi aspettavo troppo da loro o forse gli anni passano per tutti, ma avrei preferito un live “revival”, che mi ricordasse l’adolescenza e che insegnasse a tutti i gruppetti più o meno pop, più o meno wave del momento come si fa musica e come si sta su un palco. Troppo? Forse.
Dopo 2 ore e mezzo di live dei Cure, che per rispetto mi sono sorbito completamente (ho fatto bene perché il più bello è arrivato verso la fine), un po’ depresso mi sono sentito tutto il divertente live “extra large” dei Basement Jaxx, formazione britannica house/funky molto spettacolare. Hanno dilettato il pubblico con un sound super ballabile a tratti travolgente : è quello che ci voleva alle 2 del mattino per dimenticare gli squallidi Cure. Mi sono così tanto divertito che mi sono dimenticato d’assistere al duo di DJ belga The Glimmers. Peccato.
Il numeroso pubblico britannico si diverte moltissimo con Basement Jaxx ma in realtà aspetta con impazienza il loro gruppo del momento : i Doves. Con un occhio un po’ assonnato ho cercato di seguire con molto interesse questa band, salita in scena certamente troppo tardi per il loro sound, molto pop, un po’ psichedelico, un po’ epico. A tratti ricordano i primi Mercury Rev. Il pop dei Doves è sottile, melodico, “volatile”. Gli aggettivi non mancano. Certo non sono dei rivoluzionari del pop ma non hanno neanche la pretesa di esserlo, sanno però fare una musica luminosa e allo stesso tempo popolare. Si vede che a differenza di molte altri formazioni pop inglesi del momento non sono dei ragazzini. L’eccitazione con cui gli oltremanica accolgono questa band è coinvolgente. Finisco col ballare con una inglese piuttosto formosetta e mi convinco che i Doves sono forse una delle band migliori del panorama pop inglese.
Ormai in riserva di benzina, mi ascolto qualche brano “pezza” e qualche altro “dritto” del maestro dell’elettronica tedesca Thomas Brinkmann, ma l’escenario hellomoto è tristemente semivuoto. Cerco di capire dove è finita la gente e in lontananza vedo il Fib Club. Mi avvicino. Mette dischi un tale Justin Robertson, non lo conosco. Ma veramente non ce la faccio più, sono ormai le 6. Vado a dormire. Certo c’era anche quel coatto di Abe Duque da sballare ed in contemporanea Erol Alkan al tendone fib club, oppure le selezioni dell’etichetta messicana Static nel “Heineken Music Box” con i “deliri ambient” di Murcof. Pero chi si sveglia domani? Sta uscendo minaccioso il sole, mi ritiro in tenda.
Un fastidioso rave illegale si aggira nei parcheggi circostanti (badate : non ho nulla contro gli illegali ma proprio qui, a duecento metri dalla mia tenda, è francamente troppo!).
Della giornata passata mi dispiace solo essermi perso tra gli altri citati nel corso di questo racconto uno degli artisti di riferimento della Ninja Tune, Fourtet e Prefuse 73 (che mi dicono aver offerto un live iperbolico).

FIB – Sabato 6 agosto

La giornata di sabato si presenta come la precedente : l’afa e il sole la fanno da padrone. Decido di non fare il viaggio verso il mare. Sarebbe veramente troppo stancante. Continuo a non capire perché l’organizzazione del FIB non ci ha offerto un mezzo per raggiungere la spiaggia. Chissà… Sono così bravi ad organizzare concerti forse non proprio a gestire i flussi migratori dei quasi 40 000 presenti. Rimango quindi tra il camping, il “docciorum” e una sala stampa vagamente refrigerata. Tra un riposino e una breve passeggiata al FIB, oltre ai propri vicini di tenda, è molto facile conoscere gli altri fibers : si concentrano tutti in quei pochi luoghi dove gira voce ci sia un po’ di venticello. E poi ci sono gli irriducibili : quelli che becchi a fine serata, ad alba ormai inoltrata che ritrovi poi a dormire alle 2 del pomeriggio nei luoghi più insoliti.
Stanco del solito panino, decido con un gruppo di nuove conoscenze di andare in paese a cercare una paella. Si è rivelata una scelta un po’ cara e un po’ schifosa, ma sempre meglio dei panini surgelati targati FIB. Scopro però che in paese c’è un paninaro spettacolare. Salumi e verdure di Spagna di primissima scelta : una scoperta gastronomica per coloro che non conoscono questo splendido paese.
Rifocillato e dopo l’ennesima doccia mi tuffo nel recinto dei concerti. Mi rendo conto di essere arrivato tardi per i live Winter Camp e della band spagnola Souvenir (che mi dicono simile, ma non all’altezza di les très bien ensemble vista ieri), ma in tempo alle 17e30 per gustarmi Devendra Banhart nel tendone Hellomoto. Armato di una chitarra acustica, capelli lunghi e barba trasandata, l’artista ci offre un live di qualità, il suo folk è splendidamente suonato malgrado la difficoltà di arpeggi complessi e sensuali, la sua voce avvolgente e dolce. La sua musica pare una lunga filastrocca. Un rilassante inizio per un’altra lunga giornata di festival.
Il clima ovattato oggi durerà ancora per un po’. Infatti dopo lo splendido concerto di Devendra Banhart , gli ormai mitici Kings of Convenience a deliziarci con i loro arpeggi senza tempo. Il duo Erlend Øye / Eirik Glambek Bøe hanno regalato uno dei più bei concerti del festival di quest’anno, tanto che ormai li possiamo tranquillamente ribattezzare “Kings of FIB”. In un Hellomoto ancora soffocato dal caldo, era presente una marea impressionante di fibers. Tutti fans (oltre al sottoscritto). Forse i Kings non si aspettavano tanto calore ed una folla che conosceva a memoria tutti i testi delle loro fantastiche melodie. Ma così è stato. Dopo un inizio un po’ impacciato e soprattutto sotto l’impulso di un Erlend Øye lanciatissimo, la comunicazione tra gli artisti e il pubblico è stata totale. I due si sono avvicinati il più possibile alla gente creando un clima intimo e familiare. E’ stato un momento epico vedere tutto il pubblico dentro e fuori (per mancanza di capienza) applaudire gli arrangiamenti acustici di questi due giovani norvegesi pieni di talento. Così com’è stata un’emozione indescrivibile lo stupore dei due davanti ad un così grande successo. Bello. Tutto veramente bello.
Decido riprendermi da tutte queste emozioni passeggiando nel recinto e sorseggiando un litrozzo di birra. Ascolto da lontano una band spagnola chiamata Cycle nel tendone Fib club, mi sembrano bravi (mi dicono che hanno fatto una splendida cover di “More” dei Sisters Of Mercy). Ma non ho il tempo di farmene un’idea, sta per iniziare sempre in Hellomoto il quintetto dei Kaiser Chiefs. Per questa band, come per i Doves ieri, è schiacciante la presenza british. Da quelle parti infatti, Kaiser Chief sono una solida realtà. Ci regalano un live energico, molto rock, splendide le chitarre e splendida l’atmosfera che riescono a creare grazie ad un pubblico in delirio. Per coloro che sono innamorati del sound e della cultura d’oltremanica è sicuramente un gruppo da consigliare.
Preso dall’euforia delle schittarrate dei Kaiser Chiefs, ma non del tutto fatto, mi ricordo che alle 20e40 inizia il live degli americani Xiu Xiu, duo composto dai californiani Jamie Stewart e Caralee McElroy. Mettono in scena un live schizofrenico. Sinceramente non mi è piaciuto. Anche perché dal tendone di un vicino sponsor arrivava una sgradevole house assordante e i cambi tra un pezzo e l’altro non sono stati affatto dinamici. E’ stata una delusione. Rimane un gruppo che consiglierei a chiunque: le loro sperimentazioni sonore, melodiche e vocali rimangono tra le migliori in circolazione al giorno d’oggi. Forse la resa in live è francamente un’impresa titanica, soprattutto nelle condizioni in cui la band è stata obbligata ad esibirsi.
Abbandono un po’ rattristato ed incazzato il concerto dei Xiu Xiu per andare ad ascoltare un altro duo misto d’origine danese, coadiuvato da un chitarrista (oltre la cantante e il cantante), un basso e una batteria, di cui si dice un gran bene The Raveonettes nel palco principale, l’escenario verde. Ammetto di non conoscere il gruppo prima di questo concerto, ma credetemi me ne sono innamorato. In un’ora di concerto sono riusciti a condensare tutto il rock’n’roll (atmosfere misteriose, sonorità country, pop coinvolgente). Una band che meriterebbe maggiore audience dalle nostre parti.

Anche in questo caso abbandono il concerto prima del suo epilogo per rientrare nel tendone Hellomoto per ascoltare la fine del concerto dell’originale formazione dei Mouse on Mars. In principio sono un duo di sperimentatori elettronici. Ma non si sa mai in quanti si presentano. Questa volta sono un batterista cantante, un chitarrista e i due “stregoni” tedeschi alla regia elettronica. Sono rimasto sorpreso poiché i loro ultimi lavori personalmente non mi fanno impazzire.
A fine concerto dei Mouse on Mars, ho fatto una breve esplorazione con panino ingurgitato dalle parti del escenario verde dove lo strano headliner del giorno, i Keane, si esibivano. Ma non chiedetemi che cosa ne penso: mi sono focalizzato più sulle poco graziose britanniche che gettavano i loro top verso un interessato quanto me cantante della band. Ed in verità ero troppo preso dal mio panino e dall’attesa trepidante del concerto ancora una volta sul palco Hellomoto dei !!!(Chik Chik Chik). Di questi si, che mai e poi mai mi sarei perso una nota! E ho visto giusto. E’ stato senza dubbio uno dei migliori concerti del FIB 2005. La band ha generato un’euforia frenetica in tutti gli spettatori, che da spettatori, me compreso, ci siamo trasformati in adoratori. Tutti i presenti conoscevamo bene le imprese “delittuose” di questo gruppo americano dell’etichetta inglese di Bristol Warp, trascinati dal cantante esagerato (in tutti i sensi) Nic Offer (presentatosi in calzoncini da spiaggia) e da una band che, benché sotto l’effetto di qualche allucinogeno/anfetaminico, suona divinamente, incanta con la sua potenza, i suoi riff e le sue incalcolabili percussioni. I !!! hanno offerto un live divino suonando i pezzi ormai storici del loro album “louden up now” ma hanno deliziato la platea anche con la presentazione del loro prossimo lavoro preceduto dal singolo “Take ecstasy with me”. Una vera carica! Adesso sono veramente pronto a resistere per tutto il resto della giornata di FIB (e anche oltre). Grazie !!! (Per chi non li conoscesse, aggiornarsi immediatamente!)
Estasiato e contento come un bambino con il lecca lecca, mi avvicino al Fib club per scoprire come una band elettronica tedesca, Jeans Team, è la genialità allo stato puro in tema d’elettronica house minimal ballereccia ma assolutamente non scontata. Ovviamente molto molto tedesca. Pero devo dire che ho scoperto un gruppo che terrò d’occhio d’ora in poi. Il loro concerto è stato un crescendo divertentissimo che mi ha fatto scoprire insospettate qualità di ballo. Veramente grandi!
Neanche il tempo di rendersi conto che i Jeans Team avevano finito di farmi sfogare, che ritorno “all’ovile” Hellomoto per seguire le Ladytron, massime rappresentanti dell’electro al femminile. Nata come una versione adolescenziale del Kraftwerk, al FIB 2005 si è trasformata in una band più complessa: Reuben Wu alla batteria, Daniel Hunt alla chitarra e le due “star” Helena e Mira alle tastiere e voce. Le “new” Ladytron hanno reinterpretato l’electro-pop più scuro degli anni 80 in chiave Rock moderno. Anche i loro vecchi pezzi subiscono la medesima originale rivisitazione. Complimenti, un bel concerto.
Dopo le ladytron decido che è giunta l’ora di un piccolo riposino. E’ ormai l’una e 40 e mi avvicino al escenario verde dove stanno suonando i Dinosaur Jr. A questo punto, un quesito mi tormenta: va bene che non sono loro fan ma qualcuno mi sa spiegare che ci azzeccano sti nonni cappelloni metallari in un festival pop/clubbing? Mah… Certe volte gli organizzatori dei festival riescono a stupirmi. L’interrogativo inquietante riesce quasi a farmi dimenticare che sul palco Fib club mixa e canta quel matto tedesco di Ascii Disko. Non me lo voglio perdere per nessun futile motivo giacché alcuni mesi fa, in un festival piccolino “Este 05”, a Valencia, a causa delle intemperie è stato annullato. Sicuramente meno originale dei suoi compatrioti Jeans Team, anche perché non ovviamente una band, Ascii Disko mette sulla pista un mix dei suoi: pulito, dritto, electro tedesca allo stato puro. Sinth e bassi a manetta. Proprio quello che ci voleva per assorbire il live della band new yorkese Radio 4 nel palco principale.
Radio 4, gruppo un po’ pop un po’ punk. L’album “Gotham” del 2002 a me piace. Altri lavori sinceramente non li conosco. Pero il concerto non è stato un granché, mi aspettavo di più. Si sono presentati tutti e quattro vestiti di nero, i loro pezzi erano alquanto prevedibili, il loro sound dagli arrangiamenti particolarissimi e le grandi potenzialità presenti sul loro disco non si sono sentite in questo live. Non so che altro dire, mi aspettavo di ballare e divertirmi, ed invece mi sono piuttosto annoiato.
La stanchezza finisce per impossessarsi di me, non ce la faccio ad aspettare quel malato di David Carretta nel Hellomoto, suona alle 6. Ho provato, ma anche qui ho desistito, a gettarmi nel piccolo e sempre pieno Heineken Music Box : erano presenti le selezioni dell’etichetta tedesca di Colonia Areal records, concorrente della più rinomata Kompakt. Per la verità, per un po’ ho ascoltato e mi sono anche divertito con il duo Die Clippers, ma il sudore appiccicoso dei miei vicini mi ha dato il colpo di grazia. Sono solo le 5e30 ma a me pare che siano le 8. Meglio andare dormire per ricaricare le batterie in vista di domani. In fin dei conti oggi ho visto più o meno tutto quello che m’interessava. Decido di fare un ultimo giro dalle parti del rave illegale che ha turbato ieri il mio sonno per vedere com’è: ci sono quattro gatti. Me ne vado incazzato perché riusciranno anche stanotte a rovinarmi le poche ore di sonno che ho a disposizione!

FIB – Domenica 7 agosto e la fiesta en la playa del lunedì.

E’ domenica. Ma al FIB, villaggio di 40 000 anime non è certamente un giorno diverso dagli altri. A ben pensarci una piccola variazione c’è: il caldo non la più da padrone. E’ un po’ nuvoloso, l’afa è diminuita.
Decido di trascorrere la mattinata di quest’ultima giornata piena di festival allo stesso modo della precedente. Rifugiato in sala stampa, tra una doccia e l’altra, alle prime avvisaglie di fame il paninaro in paese è una garanzia esistenziale (info per i fibers del 2006: si trova sulla via principale e ha una sfilza di prosciutti dietro al bancone).
Secondo una routine ormai consolidata, arrivo tardi per i primissimi concerti delle 17e30 ma sono in prima linea nel tendone Hellomoto per gustarmi una band inglese, prodotta del marchio di qualità Warp, i Maximo Park. Di recentissima formazione, un solo singolo ed un solo album all’attivo, il quintetto di Newcastle appare piuttosto sicuro di sé. Suonano a memoria e con discreta energia i pezzi del loro esile repertorio. A differenza dei Radio 4 ieri, i Maximo Park riescono a riprodurre fedelmente gli arrangiamenti anche più impegnativi presenti sul loro album. Il loro è un rock molto indie, un po’ punk. Per i conoscitori dell’etichetta di Bristol non stupisce l’attenzione maniacale e l’originalità con le quali si sfornano i dischi in quel team di geni del suono. Se non si fosse capito: il disco “A certain trigger” lo consiglio vivamente. Il pubblico, non stupisce, è prevalentemente british. Tutti i pezzi vengono allegramente cantati dalla folla. Un bel concerto. Molto divertente.
Non si cambia registro con il gruppo che subentra a fine concerto: The Wedding Present. Arrivano gli ultimi ritardatari (sempre più british si fa l’atmosfera. Il pubblico locale è infatti accorso in massa al tendone FIB club per seguire i loro beniamini Lori Meyers, SR. Chinarro e Migala). Certo, un po’ mi dispiace per SR. Chinarro, mi sarebbe piaciuto assistervi, ma mi lascio coinvolgere dall’euforia inglese del pubblico e da questi Wedding Present. Il quartetto di Leeds, rispetto ai connazionali che li hanno preceduti, sono molto più navigati. Il loro primo disco è addirittura del 1987 e si vede. La band conosce perfettamente il suo pubblico, stanno stare su un palco con eleganza e professionalità. Disgraziatamente conosco soltanto il loro ultimo lavoro, non posso quindi unirmi ai cori da stadio che accompagna le prime note di tutti i loro pezzi.
Prima che finisca il concerto nel tendone Hellomoto, decido di spostarmi verso la comunità spagnola in forze al FIB Club dove dopo il concerto delle due band spagnole precedentemente citate, sta per iniziare un’altra “mitica” band spagnola: Migala. Il gruppo madrileno di nove elementi effettivi, bilingue per essenza (cantano in spagnolo e in inglese con un elegantissimo accento spagnolo assolutamente non mascherato) è molto amato da queste parti. Il pubblico adora le dolci melodie ondeggianti e le sonorità squisite di questi grandi musicisti. Sanno stare in scena come pochi, i loro pezzi sono accompagnati da sequenze d’immagini sfumate. Rapidamente si viene a creare una complicità incredibile tra la gente e gli artisti. I Migala sono un’originalissima band folk (qui lo definiscono pop mediterraneo) ma che sa sorprendere con degli arrangiamenti eleganti e ricercati, un canto profondo e delicatissimo, cupo ed intenso al punto giusto. Una band straordinaria. Magari la potessimo importare da noi. Per darvi un’idea ricordano un po’ Lambchop o Calexico, secondo me in meglio. Verso fine del concerto, un uomo e una donna travestiti da tigre appaiono sul palco ed iniziano ad inscenare una battaglia. E’ stato proprio un dei più bei momenti di questo FIB, un po’ come lo è stato Kings of Convenience ieri, ma ancora più intimo e chiaramente dal sapore più spagnolo. Una lacrima d’emozione ci stava tutta.

Dopo questi momenti di sentimentalismo puro, mi vado a godere l’antitesi di quello che ho appena vissuto. Arrivo in tempo per ascoltare in un Hellomoto semideserto parte dell’esibizione del folle duo finlandese Pan Sonic. Sperimentazione elettronica allo stato puro, senza mediazioni. Bello. Forse è stata una scelta un po’ radicale dopo tutta l’umanità assorbita nel precedente concerto. Va detto comunque che Mika Vainio e Ilpo Väisänen sono tra i pochi in circolazione a tentare d’innovare un genere complesso, difficilissimo d’ascolto per un non-habitué. Anche qui a Benicassim lo dimostrano brillantemente. Che genere sono i Pan Sonic? Bo. Forse “noise”, per me: nuove frontiere dell’universo della frequenza sonora. Bravi. Peccato che siamo in pochi ad apprezzarli a Hellomoto.

Dopo i Pan Sonic, decido che è giunto il momento di dare qualche minuto di riposo alle mie povere orecchie martoriate da frequenze estreme. Mi mangio un panino e poi via verso l’escenario verde, dove un mito sta per esibirsi: Nick Cave & The Bad Seeds.
Nick Cave con la sua bravura si trasforma nell’autentico piatto forte della giornata e forse anche dell’intero festival. Non ci sono più segreti per il buon Nick. Gestisce la scena senza eguali, manovra il pubblico con sapienza ed esperienza. Rabbioso come un ciclone, sorprende l’impressionante marea umana di fronte a lui con “Get Ready For Love”. Dal suo ultimo lavoro Abattoir Blues, molto tirati e coinvolgenti i pezzi “Supernaturally” o “Nature Boy”. Poi un’ovazione per un suo classico “Red Right Hand”. La sua band suona a memoria, le sue coriste sono eccellenti. Nick Cave fa parte di quella risicatissima lista d’artisti che riescono con il loro canto e la loro presenza a trasmettere una quantità infinita di sensazioni e sentimenti: odio, disperazione, rabbia. Tutto ciò aleggia sulla scena principale del FIB. Si capisce subito che quest’artista è uno dei guru del nuovo millennio. Veramente un concerto superbo.

Dopo professor Cave toccava al Headliner della giornata, gli Oasis. Suonare dopo tanta classe non sarebbe facile per nessuno. E così è stato anche per i fratelli Gallagher. Liam è un po’ la parodia di sé stesso, è piuttosto imbalsamato e la sua voce va e viene. Quando canta Noel, il fratello esce zitto zitto di scena. Siete o non siete una band? Mah. Cosa aspettarsi da un gruppo che ha perso l'ispirazione da anni ormai? Saranno qui per vendere il loro ultimo disco (un po’ come i Cure)? Cominciano maluccio, non sono a loro aggio e si vede. Non si capisce neanche il perché poiché a guardarli c’è una marea di fans inglesi. Iniziano con due canzoni nuove, seguite dal nuovo singolo "Lyla". Il pubblico rimane freddo, ormai pronto al peggio. Ma quando intonano le prime note di "(what's the story) morning glory", subito seguite da "cigarettes and alcohol". E’ stata una scelta azzeccata questi due pezzi infatti non sono stati delle hit in singolo, ma visto la risposta del pubblico sono state molto apprezzate dai fans storici. Da questo momento in poi, soltanto classici: "rock’n’roll star", "live forever", "champagne supernova", "don’t look back in anger" e l'immancabile "wonderwall" in versione più rapida ed elettrica. Per un come me, venuto ad assistere al suo primo (e forse ultimo) concerto d’Oasis non mi posso lamentare: ho assistito ad un bel karaoke nonostante l’irritante staticità di Liam Gallagher. Però mi sono perso Mylo. Peccato.
Benché ci sia Matthew Herbert (mi hanno detto che ai tanti presenti un menù diverso dal suo solito, meno house e più “techno”) dalle parti di Hellomoto, decido di rimanere nei pressi del escenario verde per assistere al concerto di una band salita alla ribalta da un anno circa già dal primo disco e che porta il nome della stessa band: Kasabian. Il loro è un live divertente, ballabilissimo. Il quartetto di Leicester, benché sia un gruppo di recente formazione, riesce a rimanere fedele allo splendido album. Sulla falsa riga dei Primal Scream, meno funky e più pop, i Kasabian di sicuro meritano il successo discografico, frutto sicuramente di un ottimo prodotto suonato da grandi professionisti. E’ sembrata però una scelta un po’ esagerata (ed anche ingiusta nei confronti d’altre band magari più meritevoli) servirgli il palcoscenico del escenario verde.
La mia serata si finisce con il liveset di un mito dell’elettronica mondiale, leader di Two lone Swordsmen: Andrew Weatherall. Ormai sono stanco, ma per rispetto verso il personaggio che ho davanti, mi godo tutto il suo set. Ogni tanto pare quasi che Andrew inciampi sulle sue stesse sperimentazioni frequenziali. Certo sarebbe stato un festival ancora più bello se ci fossero stati i Two lone Swordsmen al completo! Sarà per l’anno prossimo? E’ stata per me una giornata di festival molto divertente. Come al solito mi dispiace essermi perso un bel po’ di cose (ancora non ho imparato a moltiplicarmi).
Mi addormento con le prime luci mattutine. Quasi quasi mi sono abituato al molesto rave nel parcheggio che imperterrito prosegue…

E’ Lunedì mattina. Alcuni Fibers già cominciano a smontare le tende. Anche nel recinto dei concerti si comincia a sloggiare. Io ho previsto di rimanere anche oggi per poter partecipare alla festa di “fine FIB 2005” sulla spiaggia. La giornata la trascorro all’insegna del riposo, riposo, riposo. Ultimi preparativi per la mia partenza che avverrà all’alba, subito dopo la festa e poi cenetta in paese prima d’andare in massa verso il luogo della festa.
La serata è aperta a tutti e si presenta gremita di gente. Non ci sono quindi solo Fibers, anche se sono la maggioranza. La location è molto suggestiva: seguendo un viale pedonale perpendicolare al mare si arriva sul lungomare, si è subito accolti da un castello sulla spiaggia (all’apparenza medievale… ???) molto ben illuminato che guarda verso il mare e ai piedi del quale è stato allestito un piccolo (piccolo in confronto agli altri…) palco per i DJ set. La massa umana accerchia il palco fino a che i piedi non finiscono in acqua. Il programma non è granché sinceramente però per il colpo d’occhio ne è valsa la pena! Al DJ set di un tale Slippy DJ, facente parte dell’organizzazione dello stesso FIB a quanto pare, è seguito il DJ set di una delle star di questa undicesima edizione del FIB: Erlend Øye dei Kings of Convenience (alias Kings of FIB). Le sue doti di comunicatore e d’intrattenitore si confermano anche questa volta. Non un grande DJ, non bisogna aspettarsi dei mix in battuta perfetti, non ci prova quasi mai. E’ divertente lui, proprio come personaggio. Offre gran parte del suo repertorio di “singing DJ”, divertendosi molto. E la chicca è la sua chiusura che sembra il vero epilogo di questo festival “A Forest” dei Cure e “Take on me” degli A-HA. Il prosieguo della serata era a cura di Alex Under, DJ spagnolo che vanta molteplici produzioni in Germania e della coppia inglese Layo & Bushwacka!, ma non me ne sono fatto un’idea. Mi sono emozionato con Erlend e va bene così. Anche perché domani mi aspetta un lungo viaggio. Appuntamento al 2006!

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