In Cantus, il nuovo disco live di Vecchioni, un disco oggettivo e fisico, storie vere di uomini sullo sfondo di famose sinfonie classiche.
di: Nicola DeRio
Un nuovo lavoro di ricerca e sperimentazione svolto da Roberto Vecchioni e dal Maestro Beppe D'Onghia e' stato raccolto in un CD intitolato, In Cantus, presentato alla stampa ieri presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Un nuovo lavoro di ricerca e sperimentazione svolto da Roberto Vecchioni e dal Maestro Beppe D’Onghia è stato raccolto in un CD intitolato, In Cantus, presentato alla stampa ieri presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
La location molto particolare ha reso ancora più emozionante l’incontro con i giornalisti.
Non è certo un luogo canonico e i vari quadri di Santi e Vescovi, i soffitti alti, i marmi, l’eco e il silenzio delle sale, sono li a ricordartelo.
Il professore entra con il suo fare semplice salutando e stringendo mani, si accomoda su una panca e noi giornalisti, in cerchio davanti a lui. L’atmosfera è rilassata, confidenziale, la sua voce profonda a tratti roca è amplificata dalla grande sala tanto che anche i quadri immobili sembrano voltarsi ad ascoltare.
La chiacchierata inizia da un’osservazione fatta a proposito del tentativo di molti artisti come Sting o Elio e Le storie tese, di arrangiare i loro brani in chiave classica, quasi una tendenza di questo periodo. Il lavoro di Sting è la ripresa perfetta del madrigale post rinascimentale che tra l’altro è stato inventato da Monteverdi e non dagli inglesi. Sting ha ripreso delle canzoni così com’erano, facendo una bella operazione di musica colta e intelligente. Tanto di cappello e non solo per questo. Elio e le storie tese hanno fatto una cosa spettacolare e meravigliosa ma sempre tesa alle loro canzoni, risponde Vecchioni e aggiunge, l’operazione che ho fatto io non è assolutamente o solo una contaminazione tra musica leggera e musica colta, che sarebbe stata se non altro temeraria. Io sono partito da un principio: basta con questi generi e con l’obbligatorietà dei generi. La musica una è... non posso farmi imprigionare da un genere. Infatti, tre anni fa ho fatto 150 concerti jazz, subito dopo ho ripreso il pop rock e adesso con il maestro D’onghia, abbiamo realizzato questa cosa che non è cantare musica lirica, non ne sarei capace. Ho voluto metter parole su brani sinfonici che non hanno parole, vedi Vivaldi , Rachmaninoff, Tchaikovsky. Questo disco lo definirei oggettivo, molto fisico. Voi lo sapete, io sono abituato a scrivere in maniera surreale di favole e miti, mentre le tematiche di questo lavoro sono tutto il contrario. E’ fatto di storie vere, storie di uomini, un piccolo canto dell’uomo, della sua ricerca di qualcosa. Le musiche sinfoniche che ho utilizzato mi sono servite tantissimo, perché le bellissime melodie mi hanno suggerito cose di oggi e del momento. Il senso delle canzoni del mio repertorio che ho inserito, va nella stessa direzione, verso una ricerca di qualcosa, di un senso, del divino, che so ad esempio, La stazione di Zima, Le rose blu, la poesia di Gasman che parla con Dio. Quindi la diversità da Sting è notevole perché la sua è un’operazione culturale molto bella ma su pezzi già scritti. La mia è un’operazione soprattutto umanistica. Avevo bisogno di parlare dell’uomo con delle sinfonie che mi servissero come appoggio.
Le tematiche di questo disco si incrociano non a caso con il suo ultimo libro uscito pochi mesi fa, Scacco a Dio questo denota una riflessione spirituale e profonda sul tema della religione e del rapporto con il divino e il cantautore aggiunge, il significato dell’esistenza così com’è, materiale, non regge e quindi ci deve essere qualcosa di più. Poi c’è questa verità che ci portiamo dietro tutti quanti: una verità dell’anima e del sentimento che a volte non è spiegabile… perché ci commuoviamo? perché ci emozioniamo? Da dove vengono queste cose? Ci deve esser una spiegazione, perché noi non siamo solo ragionamento, logica, matematica siamo anche poveri esseri umani che anche per una piccola cosa tiriamo fuori una lacrima. Proprio per questo io ho cominciato a pensare e a credere che ci fosse qualcosa di superiore che comunque sapesse come stavamo muovendoci. Per me oggi il cammino per la fede e' pieno e irto di ostacoli ma è importante, non è banale né da bacchettoni né un fatto di convenienza ma nasce da una ricerca, e' da persone serie. Rappresenta anche quello che c’è in questo disco… un bisogno di perdono, perché sento gli errori che facciamo, che ho commesso e che compio e sento che ho bisogno di qualcosa che non arrivi dall’alto ma vicino e dentro di me, perché se Dio parla non lo fa dall’alto ma tra di noi che poi è la cosa più giusta.
La conversazione si sposta su temi diversi e pongo la questione sul confronto del Vecchioni autore di testi come Donna Felicità, rispetto all’autore di oggi, un’evoluzione sorprendente che, come mi ha suggerito in una nostra conversazione, il nostro Diretur Giancarlo Passarella, lo accumuna per certi versi a Ennio Morricone arrangiatore di brani beat negli anni 60, poi divenuto il grande maestro dei nostri giorni.
Il signor Vecchioni commenta così, Qui si parla del periodo di infanzia… d'altronde quando si è studenti e indipendenti com’ero io, bisogna mantenersi in qualche modo. Poi entrare in una casa discografica e scrivere brani per gli artisti dell’epoca era una cosa meravigliosa. Io ho scritto canzoni per tutti, anche per i nomi importanti, Mina, Lauzi però ho anche scritto canzoni per cantanti che hanno fatto un disco solo, perché era un lavoro. Ho tentato di essere meno falso possibile e mettendoci qualche slogan musicale, imparavo a scrivere. Un periodo molto bello, noi cercavamo motivi semplici, anche per vendere, perché no… un periodo che non rinnego affatto. Quando nell’89 De Andrè disse in un suo libro che la bellezza non deve essere per forza culturale, se hai centrato pienamente e in modo popolare la canzone, senza costruire falsi miti, hai fatto una cosa giusta e io sono d’accordo. Infatti, non è che tutto quello che fanno gli intellettuali sia giusto, l’80% sono porcherie, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Così come sono magari belle le canzonette della musica leggera, perché arrivano direttamente alla gente. Poi chi è che mette questo confine? Non mi sembra il caso di metterlo… quindi sono molto orgoglioso di aver passato una gioventù a guadagnarmi il pane e la birra facendo canzoni che non avrebbero niente a che fare con chi sono oggi.
La scelta dei brani è stata fatta in base al gusto dell’artista e in base alla popolarità delle composizioni anche perché, come spiega lo stesso autore, inserire otto o dieci brani di musica classica, avrebbe appesantito un po’ il progetto. Le melodie scelte sono state quelle che piacevano più a me e che risultavano poi le più popolari e aggiunge da sempre mi piace scrivere i testi e mi sono sempre chiesto come mai per queste sinfonie non fosse stato creato un testo. Ho fatto che farlo io alla prima occasione, con molta umiltà, creando una sorta di contrasto con la leggerezza o la tensione del brano rispetto al testo. Ad esempio, per le quattro stagioni di Vivaldi, che rappresentano il massimo dell’armonia della Natura, ho scritto un testo nel quale il marito strozza la moglie. Per la patetica di Tchaikovsky un brano che ha un’atmosfera triste, ho scritto una storia d’amore felice, volendo proprio osservare l’effetto del contrasto.
Sono rimasto coerente solo con Rachmaninoff, perché credo che quel concerto (concerto n° due in Do minore ndr.) sia stato scritto per un’umanità dolente, che non si capisce. Il senso di tutto il disco sta anche in questo messaggio, da soli non si va da nessuna parte, si deve poter sorridere e piangere ma sempre con gli altri.
Arrivano anche le domande sui giovani, ritenuti a volte e in alcuni casi combattenti del cinismo, cioè non gli frega un cazzo di niente, dicono: mica mi metto a rovinare la mia vita per quello la o quell’altro… così calano le soglie tra il male e il bene ed è questo l’effetto più grave del cinismo, oltre a renderli provocatori e talvolta arroganti. Badate bene però che questa provocazione è una richiesta d’amore, per sfuggire alla sensazione di essere solo un numero. Purtroppo a volte questo atteggiamento è pesante e si traduce in vigliaccheria soprattutto quando li porta ad episodi di bullismo… Risponde così a chi gli chiede cosa pensa dei giovani musicisti che cercano di guadagnare anche loro il pane e la birra, Fare musica ha due valenze, la prima è per salvare il tempo, quando uno fa musica la scrive e se la canta e sta bene perché è uno sfogo che nasce per essere ascoltati. La seconda cosa è essere cosciente del fatto che si sta facendo qualcosa di vero di inventivo e pensato, come va, va… l’importante e suonare e che ci sia gente che approvi e viva con te quello che stai facendo. Poi arriva anche il successo anche se io sono sempre diffidente verso il successo, quelle volte che l’ho avuto non me l’aspettavo e quando un mio disco vende così tanto mi fa sempre pensare che io abbia sbagliato qualcosa… preferisco accontentarmi della qualità di quello che uno da’ a se stesso piuttosto che la sterminata vendita di dischi.
Un Vecchioni che tocca anche con questo lavoro, le corde più profonde e si interroga sul senso della vita, osservando l’uomo nella sua fragilità e nella sua sfrontatezza che lo porta anche a sfidare Dio.
Tutti lanciamo il nostro Scacco a Dio intorno ai sedici, diciassette anni, la differenza è che poi magari qualcuno stempera, si addormenta oppure la vita lo costringe a seguire altre strade.
Io ho avuto la fortuna di non avere assilli e di poter fare cose contro la normalità, contro l’ovvietà. Non mi andava di seguire correnti e credo che, proprio per questo, molto di quello che ho fatto non sia stato compreso e aggiunge ho cambiato idea sulla ribellione e sul destino, perché credo che siamo noi gli artefici del nostro destino. La ribellione deve nascere quando qualcosa non ci va più…
A volte immagino che Dio, prima che noi nasciamo, ci metta di fronte a dei depliant con una serie di destini possibili e che ci chieda di scegliere. Ci sono scelte positive, felici così come dolorose, quindi non è Lui ha scegliere ma siamo noi. Dio è l’archivista di questi depliant e sa benissimo cosa succederà, poi ci meravigliamo delle cose che succedono ma forse e proprio perché le abbiamo scelta prima….
Si definisce un passatista, Vecchioni, perché preferiva la Milano di venti, trent’anni fa, oggi è una confusione di livelli di valori, dettati dalla corsa e dell’arrivismo. Milano era una città aperta, ora non lo è più, era una città divertente, ora non mi diverte più così tanto. Pensate negli anni sessanta e settanta quanta creatività passava per le nostre strade, quanti Cabaret, ora non c’è più niente di così creativo, ora ci si arrabatta come si può e questo vale anche per città come Roma. Non hanno più niente di così artistico. Io sono un passatista, non mi piace più così tanto la Milano di oggi.
Si chiude così il nostro incontro, una stretta di mano e un sorriso, un autografo sulla copertina del disco e l’eco della sua voce che si allontana in altre sale della pinacoteca ambrosiana… Grazie professore.
Ringraziamo lo staff della Universal per la collaborazione.
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