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Pubblicato il 30/12/2005 alle 09:05:22Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Mango - Ti amo così (Sony BMG)

di: Ambrosia J.S. Imbornone

In un album sospeso tra poetico cantautorato e un notevole rock chitarristico, l'artista lucano canta la sacralità dell'amor profano come totalizzante occupazione del corpo e dell’anima.

Giunto al quindicesimo album di inediti, Pino Mango, fortunatamente sordo alle sirene dell’edonismo superficiale e delle fabbriche di hit di plastica senza anima, conferma la sua adesione ad una filosofia artistica che vede nella musica il luogo di un’attenta ricerca sonora e lo strumento di una sincera ricerca interiore. Il cantautore lucano continua così a credere nella necessità di un’inarrestabile evoluzione musicale, che, lungi dall’essere sterile sperimento di laboratorio, sia invece nuova, adeguata, aggiornata trascrizione di una passionalità mai retorica o di forma, ma cifra indelebile della sua visione della vita e delle sue interpretazioni intense, in grado di coagulare le tensioni degli spettatori, portandole in concerto fino allo spasimo con acuti vertiginosi e magnetici. Questa volta il sound eletto a rappresentare l’attuale fase del suo infaticabile percorso di autore (“E’ destino d’autore il cammino” – scrive non a caso Mango sul libretto dei testi) è prepotentemente chitarristico; già nel precedente “Ti porto in Africa”, il Mango musicista e autore aveva consapevolmente ridotto le tastiere di riempimento a favore di doppie linee di chitarra, che erano diventate poi la costante dei nuovi arrangiamenti live della relativa tournee, in cui a fianco dello storico chitarrista Graziano Accinni appariva per la prima volta anche Carlo De Bei (già nei gruppi Unarazza e Carlito, nonché con i Matia Bazar). In “Ti amo così” le chitarre dello stesso De Bei diventano ormai voce che fa da contrappunto alla straordinaria ricchezza della vocalità di Mango, le cui corde vocali si fanno strumento principe delle linee melodiche delle canzoni; si ascoltino per es. i dolcissimi ricami vocali e chitarristici di “Mio fiore mio”, con i suoi assolo e il leggero delay dell’outro, l’incisività dell’accompagnamento inquieto di “Piccolissima” o la sorprendente “Di quanto stupore”, in cui le linee di chitarra si sovrappongono, intrecciano, dissociano, componendo un tripudio di riff e arpeggi e determinando un sensibile passaggio dell’atmosfera del pezzo dall’iniziale solarità ad un mood dal fascino più cupo e tenebroso. Il cantautore di Lagonegro in questo brano, da gran professionista e perfezionista, prosegue ancora il lavoro sulla sua voce, toccando gli esiti più estremi. Da “Credo” in poi (1997) Mango ha riscoperto infatti la sua antica passione per il rock e già in “Ti porto in Africa” si era misurato con sonorità più aggressive e tonalità profonde e sensuali, soprattutto in “Saturday”, cover del gruppo belga dei Soulwax. In “Di quanto stupore” l’artista si cimenta persino in versi in cui la ripetizione ipnotica e ossessiva diventa formula magica, che ingabbia la melodia e lascia esplodere il ritmo, grazie anche al notevole basso di Nello Giudice. Anche nel singolo “Ti amo così” Mango, prima dell’arioso ritornello, esplora nelle strofe le note più basse, con esiti che ricordano i suoi primi pezzi(“Angela ormai”, “Sentirti”, entrambe del 1979), mentre l’uso sapiente dei sintetizzatori di Rocco Petruzzi (tastierista e coproduttore del disco) riporta alla mente la produzione degli anni ’80. Non si tratta però di autocitazioni, ma di rielaborazioni fresche e inaspettate, che dimostrano la poliedricità di Mango, il quale in questo album esprime a pieno anche la sua anima più acustica: in particolare la maestria di Accinni fa di “Così è la vita” una nuova “Fragile”, giacché questo brano rivisita la saudade brasiliana con sonorità di un’eleganza anglosassone, come piacerebbe a Sting. “Sempre”, scritta con De Bei, è invece una nuova “Come Together”, dal sapore non solo beatlesiano ma anche più genericamente folk-rock. La sobria ed emozionante dimensione cantautorale di “Io ti vorrei parlare” torna invece nel capolavoro “Il dicembre degli aranci”, cantata in coppia con Laura Valente. I duetti di qualità hanno bisogno di un’alchimia particolare e della giusta complicità tra gli interpreti; era pertanto lecito aspettarsi da due performer dotati di una sensualità fuori del comune, innamorati e affiatati, un brano conturbante e appassionato. Il segreto delle unioni durature sembrerebbe però un’attrazione che travalica l’estasi dei sensi in una completa e indispensabile fusione delle anime in una superiore armonia: è proprio un sentimento siffatto che le due voci si ritrovano a cantare, specchiandosi l’una nell’altra in interventi paralleli che, anziché essere terrei e terreni, risultano invece celestiali. D’altra parte sono ormai chiare le tematiche e le caratteristiche stilistiche del Mango paroliere, che, dopo essersi esercitato scrivendo per la prima volta i suoi testi per l’album “Disincanto”(2002), si è misurato anche con la scrittura poetica: l’anno scorso ha pubblicato infatti il libro “Nel malamente mondo non ti trovo” e un altro volume dovrebbe arrivare nei negozi nei primi mesi del 2006, probabilmente con il titolo “Di quanto stupore”. Nei suoi versi Mango rapprende l’evanescenza delle emozioni sfuggenti e dei fantasmi del cuore nella tangibilità di piccoli simboli reali e nella concretezza di singole immagini fisiche, sicché la presenza dell’amata si fa respiro percepito con l’udito e la sua assenza spazio vuoto, percepito con il tatto. Non si fa cantore di eterei sentimenti metafisici né di turbamenti passeggeri, ma di passioni viscerali, durature e radicate, che sono illimitata sete del corpo; la donna amata è però descritta e adorata come il Tutto, che irrompe come un’epifania luminosa e numinosa (“pioggia caduta dal cielo” la si definisce in “Di quanto stupore”)e disegna il solo orizzonte in cui la vita può svilupparsi e l’amore, come gioia e tormento, assorbe così la totalità dell’essere, assumendo un’importanza quasi sacrale. L’atto di amare diventa infatti esclusivo, annullando gli altri bisogni e attività mentali e fisiche(“Sarò, di noi, quello che non è più, non sogna più, non mangia più, ama di più” in “Così è la vita”), mentre la donna è anche fonte di vita, complementare come Eva, ma anche ancestrale genitrice: “E’ da te che nasco, è in me che vivi”(“D’amore sei, d’amore dai”). L’assenza si carica quindi di ansie smaniose ed oscure, perché il silenzio è voce della nostalgia e la libertà un vuoto che inghiotte, tra le ossessioni dei ricordi. Se insomma in “Ti porto in Africa” la varietà di temi e sonorità disperdeva il consueto intimo nucleo di fuoco che giace a fondo della musica e dei versi di Mango, questo album si presenta invece come un unico canto d’amore a varie voci. L’amore d’altronde è celebrato esplicitamente in “Solo d’amore” come solo argomento possibile dell’arte, che per Mango non può essere cronaca delle macerie e delle devastazioni fisiche e spirituali dell’uomo, ma è poesia, che trasfigura le immagini crude di quella sofferenza che percepiamo attorno a noi o entra nelle nostre vite con il telegiornale. La musica è programmaticamente in questo brano mezzo di catarsi, estremo baluardo dei sentimenti, che tenta di ricreare un’innocenza ingenua del sentire nei bambini (rappresentati in un tenero “girotondo” dai figli del cantautore, Filippo e Angelina) e negli adulti, la cui immaginazione in entrambi i casi è violentata dalla violenza della storia. Questo brano, tramato di limpidi acuti che a tratti ricordano le meravigliose canzoni composte da Battiato per Giuni Russo, è emblema della sontuosità melodica, pure presente nel disco(cfr. “D’amore sei, d’amore dai”, classica ballata da brividi, colorata di tinte soul, con la batteria di Ian Thomas, già collaboratore di Elton John e Mick Jagger) talvolta persino contemporaneamente alle sperimentazioni rock (è il caso di “Tu non sai”, con inserti molto sensuali di chitarra elettrica e una bellissima ritmica di Giancarlo Ippolito). Le tante potenzialità della voce di Mango e le multiformi sfaccettature della sua musica sono sintetizzate dalla duplice canzone di chiusura del cd: nella cover di “I te vurria vasà”, classico napoletano firmato da Russo e Di Capua, l’essenzialità dei violini accompagna un lento crescendo drammatico d’emozione, che culmina in un acuto finale commosso e commovente; questa canzone sfuma poi nell’originalissima “Mille male penziere”, che canta la possessività con tonalità suadenti, mescolando un ritmo degno dell’hip hop metropolitano ad una chitarra acustica arabeggiante, che ti lascia facilmente immaginare il sole del testo arrampicarsi nel ramificarsi dei vicoli antichi di una città mediterranea. Il nuovo Mango quel sole lo porta dentro, nella sua passionalità, vivificando con la sua sensibilità le sonorità raffinate e anglosassoni del rock.


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