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Pubblicato il 05/07/2008 alle 00:08:32Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

La maratona del Cube Festival: da Il Genio a The Niro e Bluvertigo

di: Ambrosia J.S. Imbornone

Nella 2°serata della manifestazione si fa notare l’electro-pop cinématographique dei leccesi Il Genio, il carisma di Clou dei Serpenti,la classe e la voce straordinaria di The Niro.Si chiude con la reunion dell’anno,quella di Morgan,Andy,Livio,Sergio

Bari, 28 giugno. C’è fermento all’Arena della Vittoria già nel pomeriggio per la seconda serata del Cube Festival e durante la fila degli appassionati intenzionati a seguire l’evento per intero e dei fan aspiranti alla prima fila transennata già circola il nome dell’artista più atteso, Morgan. Questo non è il suo concerto, quanto piuttosto quello della reunion della sua band, ma è già chiaro che gli occhi saranno puntati su di lui. Sarà al suo nome che inneggerà lo stadio stracolmo, impaziente di assistere all’esibizione degli headliners, sarà lui l’osservato speciale nel suo rapportarsi ad Andy e soci. Si comincia sotto il sole i baresi Akustica, fuori gara, per poi proseguire con la seconda e ultima terna delle band scelte nelle varie aree territoriale italiane per il Cube Contest. Il concorso ha coinvolto infatti cinque gruppi selezionati dalla Commissione artistica tra quasi 600 iscritti e una band scelta sullo space della manifestazione (www.myspace.com/cubecontest) grazie alle votazioni del pubblico: in 48 ore sono state espresse quasi 1800 preferenze, di cui 445 per i romani Astenia, esibitisi il 27 giugno sul palco di Ministri, Jolaurlo, Le luci della centrale elettrica e Max Gazzè al pari di Loud! Saturday (Roma), vincitori area centro e The River (Trani), vincitori delle selezioni per la Puglia. Il 28 è la volta invece di Nena And The Superyeahs (Bergamo), vincitori area nordovest, Soviet Ladies (Padova), vincitori area nordest e Waines (Palermo), vincitori area sud. Ricco di vitalità e ritmo è il power-pop intriso di energia rock della prima band, la cui frizzante frontwoman Serena Marinelli ricorda nello stile vocale Gwen Stefani. La “virulenza” delle canzoni più veloci rammenta invece i Be Your Own Pet. Tra new-wave alla Franz Ferdinand e indie si muovono invece i secondi, mentre i terzi hanno proposto un’accattivante miscela blues-rock, che strizza l’occhio ai Seventies per una musical attitude in pieno rock ‘n roll style. Poco prima dello show dei Bluvertigo, Dado Minervini (Controradio, Rockstar, qui in veste di responsabile del Cube Contest) annuncerà che la giuria, composta da Michele Wad (Popolare Network), Luca Serpenti (Producer, Discografico), Milena Triggiani (Regista), Tullio Ciriello (Sound Engineer) e Daniele Quarto (Direttore artistico Cube Festival) ha decretato proprio la vittoria dei siciliani,
seguiti a ruota da Nena & the Superyeahs e dalla promettente indie-rock band The River.
Il Cube Festival prende avvio invece all’insegna dell’electro-pop retrò. Un salto nella Nouvelle Vague ed ecco sul palco il duo più “cinématographique” dell’indie, quello composto da Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis, in arte il Genio. Un’elettronica rarefatta e discreta è la base dell’innesto di basso e tastiera, poi sostituita dalla chitarra elettrica. Ed è da ricordare proprio un bell’assolo chitarristico di Gianluca in quella che è forse la canzone migliore del set, “A questo punto”. La genialità del nome della band è quella dell’ironia tra Stereo Total e Baustelle dei versi, che, apparentemente ingenui, apparentemente innocui, spargono polvere di sarcasmo su manie e stasi claustrofobiche del quotidiano. Ovviamente non si può non accennare alla micidiale “Pop porno”, dal titolo eloquente e icastico di tipo quasi “meta-musicale”. Funziona bene l’alternanza vocale femminile/maschile nelle canzoni del gruppo, con il contrasto tra la voce profonda di Gianluca e quella sensuale e sottile di Alessandra in “Tutto è come sei tu”. Semplicemente favolosa è l’immagine del duo; in particolare, impagabile è il look pulito e ambiguo da bambina cattiva della Contini. Altro giro, altra band: è la volta dei Serpenti, progetto electro-dance e synth-rock di Luca Serpenti e Clou/Gianclaudia Franchini (entrambi già negli Ultraviolet). Canzoni piacevolmente “ossessive” e sensuali nell’iterazione voluta delle parole catturano magicamente nel ritmo gambe e braccia e la voglia di ballare, nonostante l’ora inconsueta per atmosfera da club, e l’affollamento dell’Arena, è inevitabile. Colpisce la personalità di Clou e il suo formidabile carisma live. Colorato e sarcastico è stato invece il punk dei Fratelli Calafuria tra non-sense e vocalizzi indie-pop. Il trio ha un’ottima tenuta del palco, un sound piacevole e testi mai scontati. Dopo due duo e un terzetto, è l’ora della prima band completa del festival: si entra nel vivo della serata con The Niro e la sua band. L’artista romano si conferma dal vivo una rivelazione di cui il nostro paese non può che andare fiero: atmosfere british (v. la marcia di “An Ordinary Man”), cura degli arrangiamenti, eleganza, classe e aplomb sono gli ingredienti di un set sicuramente molto “suonato”. Davide Combusti conferma anche live la limpidità, i colori e l’estensione notevole della sua voce stupefacente. Polistrumentista di valore e cantante eccezionale, sul palco si fa musicista tra i suoi musicisti: non c’è un attimo di divismo nella sua esibizione e la tentazione di farsi vanto, negli atteggiamenti e nelle pose, di un raro talento gli è completamente estranea. Non basta la gavetta a rendere inossidabile l’umiltà: dal vivo The Niro è silenzioso, immerso nelle sue canzoni, non si esalta con gli applausi, non si fa distrarre dal pensiero della fama. Precedere i Bluvertigo non è compito da poco, ma il gruppo non fa una piega e Combusti (chitarra e voce), Paolo Patrizi (batteria), Adriano Viterbini (chitarre), Maurizio Mariani (basso) tengono eccellentemente i cambi di ritmo: così si scivola velocemente dai vocalizzi che, non per imitazione, ma per qualità intrinseche, rimandano all’indimenticabile Jeff Buckley (v. la magnifica “About Love and Indifference” inclusa nell’EP “The Ordinary Man”), fino alle accelerazioni e alle staffilate di intensità della vertiginosa “You Think You Are” e della pulsante “Baisers Volés”. Davvero molto potente e incisiva è inoltre live la seconda strofa dell’ottima “Liar”.
Un po’ di emozione e qualche brivido serpeggia in tribuna, mentre il prato ormai scalpita: le voci di Controradio finalmente annunciano che è giunto il momento dei Bluvertigo, che fanno tappa nel capoluogo pugliese per il loro reTour. Nel pubblico ci sono giovanissimi sostenitori che forse vedono per la prima volta la band al completo, ma soprattutto tanti fan storici, che, come sull’attenti, scatteranno in piedi a cantare le canzoni della cosiddetta “trilogia chimica” del gruppo, rievocando frammenti di ricordi associati ad un percorso musicale cominciato all’inizio degli anni Novanta. E c’è orgoglio nel rammentare le parole dei testi dei brani di “Acidi e basi”, oltre ad un pizzico di nostalgia dolceamara nei tuffi nel passato che si affacciano addirittura sugli anni Ottanta: “Iodio” diventa nello stadio un vero inno anticonformista contro il buonismo e si trasforma, tra i cori dei fan, in “Wham Rap!(Enjoy What You Do)” degli Wham!, mentre “Complicità” sfuma nell’originale “Here Is the House” dei Depeche Mode, con Morgan ad emulare la voce oscura da crooner new-wave di Dave Gahan. Struggente e drammatica è invece “I still love you”: Castoldi ironizza in una finta telefonata filtrata ed elettronica con Andy sulle amarezze della sua vita famigliare (“Come va la famiglia?” “Male, grazie. La vita è una me*da”. “Porta fortuna!”), ma al fondo della sua figura istrionica ci sono fonde ombre di tristezza e nei testi delle canzoni più intimiste si sonda una condizione di disagio, sia pure vissuta talvolta con distacco da sé e senza nessuna forma di autocompatimento. Sofferta è infatti anche l’ambigua “So Low” sulla solitudine, caratterizzata da un piano volutamente disarmonico, e accorate risuonano le parole e le note di “Cieli neri”, entrambe tratte da “Metallo Non Metallo” (1997). Morgan si muove in penombra tra basso, glockenspiel, piano, sintetizzatori e quando a bordo palco chiama e riceve le ovazioni del pubblico il suo sorriso, tra narcisismo e disincanto, ha qualcosa di mefistofelico. Però sono le canzoni malinconiche gli ridanno l’anima, mentre le inarrivabili perle di “Zero” compattano gli spettatori, ridando alla band la sua storia e la sua filosofia. Si parte infatti proprio dalla programmatica “Sono=Sono”, ma non mancano neanche le ironiche “Soprappensiero”, “La crisi” nel secondo encore e un’entusiasmante “Zero”, con le lettere del titolo numerico scandite all’unisono dalla vasta platea accorsa in quel di Bari. Sono proprio i pezzi del 1999 quelli che compattano meglio il gruppo, che sembra ancora un po’ disorientato attorno alla figura di Castoldi, presentato da Morgan letteralmente “al centro dei Bluvertigo”. Morgan pare zoppicare e non essere in grande forma, ma anche il concerto non sembra decollare. Le pause sono frequenti, ma sono comunque anche l’occasione di siparietti divertenti. Ex pattinatore, Fumagalli si improvvisa ballerino allorché Morgan accenna il piano di Rondò veneziano. Dopo una esaltante “Altre F.D.V.”, il frontman invece divide i cori del pubblico per inclinazioni sessuali, snocciolando prefissi greci per ironizzare sulle etichette omo/etero e contare molteplici sfaccettature da uno a venti, come i lati di un poligono! Sergio Carnevale si dedica anche al basso acustico in un paio di brani con batteria campionata, mentre meno incisive del solito sono negli arrangiamenti le linee di chitarra di Livio Magnini. Ma il bilancio della reunion è senz’altro positivo: sul palco ci sono quattro amici che si sono ritrovati a fare gioco di squadra, una delle band più innovative degli anni Novanta, che fu cavallo di razza della fucina di talenti Mescal e ha scritto pagine importanti della musica italiana grazie ad una personalità artistica netta e inconfondibile. I Bluvertigo per fortuna hanno un presente. Non resta che augurarsi che abbiamo anche effettivamente un meraviglioso futuro.

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