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Interviste
Pubblicato il 05/10/2006 alle 18:02:03Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Lasciamoci prendere dal panico, c’è il suono di Giovanni Allevi

di: Antonio Ranalli

Lo avevamo lasciato in giro per il mondo a presentare “No Concept”, album diventato un piccolo caso discografico. Ora Giovanni Allevi torna con “Joy”, un disco nato da un attacco di panico dovuto ad un eccesso di gioia…

Diceva Glenn Gould che il musicista “deve essere sicuro di fare istintivamente la cosa giusta, di poter scoprire possibilità di lettura di cui neanche il compositore era pienamente consapevole”. Se fosse ancora in vita oggi il celebre pianista canadese direbbe le stesse cose di Giovanni Allevi, un’artista che, per citare lo stesso Gould, risponde perfettamente a quel concetto per cui “il pianoforte non si suona con le dita, ma con la testa”. Dopo il sucesso di “No Concept”, uscito il 20 maggio del 2005, e che ha venduto oltre 20 mila copie, il pianista marchigiano si ripresenta con “Joy” (pubblicato da Bollettino / Ricordi / SonyBmg). Un album di grande interesse, sia sotto il profilo compositivo che dal punta di vista dell’esecuzione. L'incisione proposta da Allevi è sicuramente una lettura affascinante di tante emozioni che ti entrano ogni giorno nella vita e nella testa. Un disco prima di tutto autentico. Lo dimostrano composizioni come “Portami via”, “Viaggio in aereo” e “Follow You”. Chi è disposto a seguire le intenzioni di Allevi scoprirà nella sobrietà della sua interpretazione un mondo che si distacca totalmente da quella ridondanza che caratterizza le usuali registrazioni dei compositori moderni. Ne abbiamo parlato con l’artista. Ecco cosa ci ha risposto.

Antonio Ranalli: La prima cosa che mi viene da chiederti riguarda la composizione del disco. Un disco molto interessante sotto vari profili. Quando hai iniziato a lavorarci?

Giovanni Allevi: Ho iniziato a pensarlo un anno e mezzo fa. Me lo sono suonato sempre in testa. Poi l’ho registrato in una settimana ad agosto. Tutto è nato da un attacco di panico, dovuto ad un eccesso di gioia, che mi ha sconvolto. Ero appena tornato dalla tournee in Cina. Riflettevo su quanto era avvenuto. Non so come, sono stato preso dal panico e mi sono ritrovato su un’ambulanza che mi portava al Policlinico di Milano. Una musica dolcissima mi è venuta ad accompagnare in quel momento. E così è nata “Panic”, la canzone che apre il disco. Poi di getto sono venuti tutti gli altri brani, anche contemporaneamente. Ho avuto 12 composizioni in testa, un grande frastuono.

Antonio Ranalli: Mi ha molto colpito “Portami via”. In che momento è nato questo brano?

Giovanni Allevi: Non è che vengo ispirato da un’immagine, ma in un particolare contesto la musica viene a trovarmi, indipendentemente da dove sto e come sto. Quindi ad un certo punto è arrivata “Portami mia”, con tutta la sua freschezza e la sua voglia di vivere, perché quello voglio esprimere. Un brano che è in un certo senso anche in controtendenza rispetto ad atmosfere così new age e morbide. Un pezzo estroverso.

Antonio Ranalli: In una nostra precedente conversazione discutevamo della difficoltà che incontra la musica classica e strumentale ad uscire fuori dal suo guscio accademico e ad essere in qualche modo meno autoreferenziale. Tu al contrario ci sei riuscito molto bene. Qual è il segreto?

Giovanni Allevi: Molto dipende dalla passione travolgente con cui faccio queste cose e dalla mia coerenza quasi suicida. Io ho girato il mondo perché l’ho voluto fortemente. Non ho mai aspettato che le cose mi cascassero in testa. E poi anche per la fiducia che ho in questo concetto: nel momento in cui faccio una cosa con tutta la mia più grande passione metto in moto delle conseguenze, spesso incalcolabili - come poi è successo - ma che mi portano lontano. Non c’è una ricetta.

Antonio Ranalli: Tra l’altro hai avvicinato alla tua musica un pubblico sempre più eterogeneo. Trovo che il tuo stile unisce alla tradizione colta, anche qualche elemento “pop” se così vogliamo definirlo. Qual è la tua opinione in merito?

Giovanni Allevi: E’ il più bel complimento che mi si potesse fare. L’aspetto colto sta nello sviluppo musicale dei brani. C’è una semplicità che non spaventa l’ascoltatore. In ogni brano succede qualcosa. Io prendo l’ascoltatore per mano e lo porto a fare un giro per Marte, poi però si torna per terra. E lì si torna all’aspetto colto. In genere una canzone che ha una bellissima melodia, spesso nasce e finisce con quella melodia. A me piace pensare che nella canzone devono succedere più cose. C’è una semplicità che è una complessità nascosta, frutto di 20 anni di studio accademico. Probabilmente è questo il segreto.

Antonio Ranalli: Qual è il tuo rapporto con i fan, che ogni giorno sono sempre più numerosi?

Giovanni Allevi: Entusiasmante. Penso che l’ascoltatore sia parte dell’opera d’arte. Non è una persona che viene solo ad ascoltare una musica, ma a completare il quadro iniziato dalle mie note. Per questo quando vedo l’ascoltatore lo bacio e lo ringrazio per essere venuto, perché così completa il mio lavoro. Per tanti anni ho fatto concerti davanti a poche persone ed ero felice così. Oggi quando vedo un teatro con 3 mila persone sono contento alla potenza. Il pubblico se ne accorge e mi ripaga con maggiore affetto. Non so dovremo andremo a finire…

Antonio Ranalli: Parliamo dei prossimi concerti. Ci saranno a breve alcune anteprime. Poi come si svilupperà il tuo nuovo tour?

Giovanni Allevi: Si, il 22 ottobre sarò a Roma all’Auditorium Parco della Musica, il il 27 ottobre al Blue Note di Milano e il 10 novembre al Festival “Time Zones” di Bari. Nel 2007, invece, ci sarà il “Joy Tour”, che si svolgerà nei grandi teatri italiani. Ci sarà sicuramente un ritorno a New York e a Shangai. Sogno di suonare a Mosca, perché con l’impulso europeo presente in “Joy” tornare a Mosca significa tornare nel luogo di origine di quel pianoforte europeo che voglio attualizzare.

Antonio Ranalli: “Joy” sta avendo molti commenti. Che idea ti sei fatto?

Giovanni Allevi: La cosa che mi fa piacere è che il disco crea discussione, anche dissenso. A me spaventa l’unanimità di giudizio. Come artista bisognerebbe imparare a non preoccuparsi di come un’opera d’arte viene giudicata, perché vince chi ci crede di più. Ma mi fa molto piacere che su Internet sta impazzendo una battaglia furibonda tra i miei sostenitori e i miei detrattori.

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