Niccolò Fabi - Solo tour Bologna, Arena del Sole 20/04/2011
di: Martina Neri
L’Arena del Sole e' gremita in ogni ordine di posti ed accoglie calorosamente la tappa bolognese del tour in solitaria di Niccolo' Fabi, partito ad inizio aprile. L’Arena del Sole è gremita in ogni ordine di posti ed accoglie calorosamente la tappa bolognese del tour in solitaria di Niccolò Fabi, partito ad inizio aprile.
La scena che ci si presenta davanti appena si apre il sipario è quella di un interno casalingo, quasi a prefigurare il tono intimista della serata: gli oggetti scenici (un divano, uno specchio, una palla luminosa, uno sgabello, una lampada a stelo) si mescolano agli strumenti musicali ( tre chitarre, due tastiere, l’armonica, un tamburo a pedale) e agli amplificatori formando un semicerchio. Un po’ spostata sul lato destro sta una coppia di palloncini, uno rosso e uno blu, simboli muti che tutto il pubblico riconosce. Fabi entra accolto da grida e applausi, si posiziona al centro della scena e comincia a parlare salutando i presenti e facendo un invito: “In questi casi si dice: allacciate le cinture di sicurezza. Io vorrei chiedervi il contrario: lasciatevi andare, perché dove voglio portarvi non c’è nessun pericolo.” Queste saranno le uniche parole che dirà nell’arco di tutto lo spettacolo.
Comincia con “Il mio stato”, pietra angolare del suo repertorio, quasi un manifesto programmatico di questo viaggio durante il quale veniamo accompagnati per mano nel suo intimo, in cui si mostra nudo e senza nessun tipo di appiglio, destrutturando e demolendo tutti i possibili cliché legati al suo percorso artistico e al repertorio. La scaletta è un racconto precisamente congegnato che pesca dalla passata produzione pezzi emblematici che ora, a distanza di anni e alla luce di degli avvenimenti che tutti conoscono, acquistano un senso imprevisto.
Non è un concerto nel senso stretto del termine, è costruito come uno spettacolo teatrale vero e proprio. Chi si aspetta di sentire i pezzi più famosi degli esordi non avrà pane per i suoi denti, “Vento d’estate” è l’unica concessione alla “carriera” perché qui si parla d’altro, si scava a fondo guardando in faccia i demoni senza averne paura e li si esorcizza, insieme.
Niccolò si aiuta con una loop station con cui costruisce l’impalcatura ritmica e melodica dei pezzi, alternando pieni e vuoti, creando al momento tappeti vocali a seconda delle necessità. “Acqua” è costruita così, come anche “Essere speciale” che risulta, di primo acchito, irriconoscibile.
I pezzi godono di nuova vita: “Il negozio di antiquariato”, ad esempio, acquista una intensità ed una dolcezza inusuali eseguita alla tastiera. Il pubblico partecipa discreto e rispettoso, si sente il grande affetto che aleggia nel teatro che raggiunge l’apice durante l’esecuzione di “E’ non è” e “Costruire”, autentici gioielli del cantautorato italiano, ormai canzoni simbolo di Fabi che, anche spogliate dall’arrangiamento originale che le caratterizza, mantengono una pienezza ed una intensità prorompente. La scaletta è perfettamente bilanciata tra momenti di varia intensità.
Mano a mano che le canzoni si susseguono il cantautore romano porta dietro le quinte un elemento della scena, strumenti compresi, fino a rimanere da solo con la chitarra per l’ultimo pezzo: “Lasciarsi un giorno a Roma” che da sempre chiude i concerti ed è per tradizione il momento di maggiore energia, in cui il pubblico si ritrova a saltare sotto al palco. Ma stasera niente è come lo si aspetta, nulla è abituale, non ci sono le solite certezze neanche per il pubblico più affezionato e infatti, inaspettatamente, mentre la gente batte il tempo e si prepara al climax finale Fabi rallenta il ritmo, posa la chitarra e finisce il pezzo sussurrandolo a voce nuda. Dopo l’ultima nota stacca il jack al microfono ed esce di scena. Sul palco rimangono solo i palloncini illuminati.
Il silenzio stupito si scioglie in un lungo e caloroso applauso, la gente lo acclama e Fabi torna in scena a ringraziare. Di solito, dice, chi va in tour da solo lo fa per semplificarsi la vita. Lui, al contrario, se l’è complicata in maniera ulteriore per offrire qualcosa di diverso, per meritare quell’applauso che il pubblico gli tributa con grande partecipazione.
Ci lascia intonando “Parole, parole” mostrandosi, sereno, nella sua più segreta intimità non nascondendosi al dolore, bensì vivendolo con una profonda dignità.
Verso il finale della canzone, quando la commozione tra il pubblico si potrebbe fare inevitabilmente intensa si accendono le luci e Niccolò invita tutti a cantare insieme queste “parole d’amore”, a condividerle. Abbiamo assistito ad una grande lezione artistica oltre che umana, ad un viaggio che non scade mai nel sentimentalismo, ma che ha nel sentire la sua radice più solida.
Si va via con le lacrime agli occhi e la pace nel cuore.
Articolo letto 4855 volte
|