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Interviste
Pubblicato il 13/04/2004 alle 00:45:46Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Francesca Bellino: un’avventura nel jazz che ama Battisti

di: Antonio Ranalli

Lo scorso 5 marzo è uscito “Non sarà un avventura. Lucio Battisti e il jazz italiano” (ElleU), un libro a cura di Francesca Bellino che analizza la “resurrezione jazzistica” di Battisti. Abbiamo incontrato l’autrice, che è anche su Internet.

Lucio Battisti è sicuramente l’artista di musica leggera più amato e riletto dalla nuova generazione di jazzisti italiani, meno sudditi verso il passato musicale statunitense, e fiduciosi verso la cultura musicale nostrana. La giornalista Francesca Bellino, dopo aver analizzato il fenomeno Battisti nel volume “E’ ancora vivo. Lucio Battisti risorge attraverso i mezzi di comunicazione”, dove per la prima volta è stato introdotto il concetto di “resurrezione mediatica”, torna a parlare dell’autore di “Una donna per amico”, analizzando l’involontario tributo che il panorama jazzistico italiano ha riservato al cantautore di Poggio Bustone. Attraverso le testimonianze di artisti come Giorgio Gaslini, Stefano Bollani, Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, Danilo Rea, Tiziana Ghiglioni, Renato Sellani e Enrico Rava, nel volume “Non sarà un’avventura. Lucio Battisti e il jazz italiano” (ElleU) si evidenzia un rapporto fecondo tra il jazz e la tradizione melodica italiana. Negli ultimi quindici anni, i musicisti di jazz hanno rivisitato l’opera di Lucio Battisti in progetti discografici e live. Il libro mette in evidenza un aspetto cruciale: Lucio Battisti non ha mai amato né studiato il jazz, eppure i più noti jazzisti del nostro paese hanno assunto la sua opera eleggendo un brano come “E penso a te” a nuovo standard. Francesca Bellino ha avuto il merito di raccogliere importanti testimonianze e di far capire come jazzisti di fama internazionale siano riusciti a “tradurre” in chiave jazz canzoni di musica leggera. Attualmente Francesca Bellino collabora con le pagine romane del quotidiano “Il Messaggero” e svolge attività di ufficio stampa per il Festival internazionale di Roma “FotoGrafia”.

Allora Francesca, dopo “E’ ancora vivo” sei tornata ad affrontare l’argomento Battisti. Questa volta in un chiave decisamente ancora più originale, considerate anche le numerose pubblicazioni uscite negli ultimi anni sull’artista. Com’è nata l’idea di parlare del legame tra Lucio Battisti e il jazz?

Come nel primo libro, l’idea è nata dall’osservazione e la constatazione degli effetti del mito-Battisti nella società italiana. I due volumi sono collegati perché in “E’ ancora vivo” sottolineo la forza della sua figura mitologica che dopo la morte rinasce attraverso i mass media pur avendoli snobbati in vita; in “Non sarà un’avventura” racconto la nuova vita della sua melodia attraverso il linguaggio del jazz, proprio la musica che Battisti ha meno apprezzato e studiato. In entrambi i libri si parte da un paradosso che porta alla conferma dell’importanza del suo personaggio e della sua opera per gli italiani (la società ha bisogno di miti). La prima parte di “Non sarà un’avventura” è dedicata al rapporto tra Battisti e il jazz. Significativo è il racconto di Roby Matano (leader dei Campioni, uno dei primi gruppi in cui Battisti militò all’inizio della sua carriera) relativo a un concerto di Charles Mingus del 1964 a Milano. Sembra che Battisti ci andrò solo per seguire l’amico, ma che già al primo brano volesse andar via perché non gradiva le sonorità del jazz. Il resto del libro si sviluppa in chiacchierate con i jazzisti italiani che hanno rivisitato le sue canzoni e termina con tre testi di altri autori, Pompilio Battisti, Gerlando Gatto e Michele Neri.

Riprendendo la tesi del tuo precedente volume, possiamo dunque affermare che c’è stata una “resurrezione” artistica anche attraverso questo genere musicale?

Sicuramente c’è stata una resurrezione del mito Battisti attraverso il jazz. Dalle interviste ai musicisti è emersa una forte esigenza di appropriarsi della tradizione italiana e scrollarsi di dosso la dipendenza degli Stati Uniti. I jazzisti, infatti, negli ultimi 20 anni hanno frugato nel repertorio italiano e le canzoni di Battisti sono state le più rilette. Quindi a “Estate” di Bruno Martino, unico brano italiano a fare il giro del mondo come standard di jazz, oggi possiamo aggiungere nuovi standard come “E penso a te”. Come i jazzisti hanno preso a pretesto le melodie più note delle canzoni italiani per improvvisare la loro musica, allo stesso modo io ho preso a pretesto Lucio Battisti per evidenziare una delle strade in cui si è evoluto il jazz italiano della nuova generazione.

Sei impegnata su più fronti: giornalista, autrice di libri, ufficio stampa e comunicazione. Dopo tante esperienze, hai trovato il tuo ambito ideale?

Credo che non esista un ambito ideale in questo settore lavorativo. Bisogna scegliere un approccio al mestiere. Come la maggior parte dei giornalisti, io mi diverto a mettere il naso un po’ dappertutto per provare a registrare i mutamenti della società, anche esplorando ambienti uno diverso dall’altro. Sono molto attratta dalle sub-culture, movimenti artistici e culturali apparentemente nascosti ma, come nel caso del jazz, vivi e fertili, indicatori di esigenze, gusti, modi di vivere e di sentire. Avere l’opportunità di poter raccontate situazioni sotterranee, spaccati di società, mutamenti e storie, è un privilegio e una grande fortuna. E’ molto stimolante riuscire a far vedere ad altri realtà che non possono conoscere con i loro occhi.

Hai da poco inaugurato il tuo sito Internet. Cosa intendi trarre da questa nuova esperienza?

Internet è uno dei miei migliori amici. Nonostante ho un’infinita rete di amici che incontro a Roma, mantengo costantemente contatti con persone che vivono in altre regioni e altre nazioni via e-mail grazie alla Rete. Il mio sito Internet (realizzato da Francesco Guratti e Paola Nardi) è sia un biglietto da visita, sia un modo per essere rintracciabile da tutti, sia un gioco per raccontarsi in maniera diversa dal solito.

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