Alibia – Manuale Apocrifo delle Giovani Marmotte (Emi). Pop-rock di classe.
di: Simone Tricomi
E' uscito il terzo album della band salernitana, che raggiunge ormai la piena maturità artistica grazie ad un sound caldo e coinvolgente. Lo sappiamo un po' tutti com'è la storia. A cospetto dei pochi, selezionati e stra-pubblicizzati artisti nostrani che si dividono fra un'ospitata, mondanità ed innumerevoli passaggi radio, si snoda un sottobosco di band italiane che lavora da anni con intelligenza, stile e personalità.
Gli Alibia però ci hanno preso gusto e sembrano avere tutte le carte in regola per fare il salto. Prima la partecipazione a Sanremo Giovani, poi la pubblicazione per il mercato francese ed infine il contratto con la EMI, ultimo passo di un percorso fatto di due dischi ed un'intensa attività live.
E questa terza fatica, “Manuale Apocrifo delle Giovani Marmotte”, dimostra come il salto di qualità sia in primis artistico.
Gli Alibia sono acuti e pronti a mischiare poesia e tagliente critica sociale nei testi, che (complici anche le interpretazioni sognanti dei vocalist Katja Moscato e Massimo Bonelli) sembrano buttare uno sguardo disincantato e naif ai giorni nostri, quasi come viaggiatori del tempo capitati per caso in un'epoca caotica e priva di ideali, basti ascoltare l'iniziale “Il mio secolo”.
In realtà al di sotto del disincanto batte un cuore indomito e barricadero, “Il principio della rivoluzione” è puro vetriolo mentre la conclusiva “Coordinate per il futuro” sembra essere la mappa dove tracciare il cammino del gruppo di Eboli. Piccolo consiglio, finita la canzone non fermate il disco ma lasciatelo semplicemente scorrere, non voglio anticiparvi nulla ma colgo l'occasione per fare i complimenti agli Alibia per l'originalità e l'intuizione.
Dal punto di vista musicale la band si muove all'interno di un discorso pop-rock dalle tinte variopinte, ora infarcito di riferimenti anni 80', ora governato dagli eterei passaggi di chitarra, mentre i due pianoforti tessono tappeti sonori che spesso sfociano nella sperimentazione.
E' come se gli Alibia avessero messo nel frullatore Cure, Talking Heads, Coldplay, Jeff Buckley, Smashing Pumpkins e i primi due dischi dei Radiohead (“Pablo Honey” e sopratutto “The Bends”, vero riferimento musicale che aleggia costantemente nel disco) fino a farne una miscela potenzialmente in grado di proiettare la band in una dimensione internazionale.
Se la musica italiana ha bisogno di respiro, deve attingere a pieni polmoni a dischi come questo, che testimoniano come basta avere idee interessanti e modi stilisticamente accattivanti per emergere da una certa provincialità ed avere un prodotto di cui essere orgogliosi.
Un applauso agli Alibia.
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