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Interviste
Pubblicato il 18/11/2005 alle 09:51:39Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Il sipario cala, l'applauso sale, Roger Waters parla

di: Christian Diemoz

La prima mondiale di "Ça ira", ieri sera all'Auditorium "Parco della Musica" di Roma, va in archivio tra applausi scroscianti e il bassista svela la sua gioia.

La prima mondiale di "Ça ira", ieri sera all'Auditorium "Parco della Musica" di Roma, va in archivio tra applausi scroscianti e il bassista svela la sua gioia.

"Hello, buonasera, benvenuti". Cammina ad un palmo da terra per la gioia il Roger Waters che, dopo il successo della prima mondiale di "Ça ira", riceve un gruppo ristretto di giornalisti in un camerino del labirintico backstage dell'Auditorium.

Peraltro, quella dell'autore dell'opera che ripercorre i concitati anni della "Révolution" in terra di Francia (1789-1793), è una felicità tutt'altro che fuori luogo. In quest'ultimo scorcio di 2005, Waters ha infatti mosso passi significativi verso l'abbattimento del muro di dispotismo e impenetrabilità dietro al quale si era trincerato negli anni ottanta.

Prima la riappacificazione, seppur per una sola sera (ma chissà cosa porterà veramente il futuro), con i compagni di sempre, in occasione di un Live8 destinato a restare nell'immaginario collettivo soprattutto grazie alla reunion dei Pink Floyd. Poi, nemmeno cinque mesi dopo, l'uscita e la rappresentazione dal vivo di un lavoro ambizioso, complesso, promesso al mondo quasi quindici anni fa. Un progetto che ha visto, nel frattempo, esaurirsi il cammino terreno di tre dei suoi ispiratori (Etienne e Nadine Roda-Gil e Philippe Constantin, ai quali Waters ha dedicato la performance romana in un italiano letto, ma convincente - nella foto del fan club "Hey You").

Già, chissà da quanti anni il brizzolato bassista aspettava di poter pronunciare quel "Did you enjoy the show?" con cui ha anticipato qualsiasi domanda dei presenti. E chissà quanti colleghi, abituati alla sua attitudine da sfinge del rock, immaginavano di sentir sgorgare dale sue labbra, al minimo apprezzamento per la performance, un vero e proprio fiume di parole.

"Tutti sono stati superlativi", ha affermato Roger, riferendosi alla prova delle nove voci soliste (maiuscolo John Releya nella parte del narratore) e dell'Orchestra Roma Sinfonietta, diretta dall'"amico e collaboratore" Rick Wentworth. A colpire il papà di Pinky in modo particolare, tuttavia, sono stati il Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano, e le formazioni "C. Casini" dell'Università di Roma Tor Vergata e di voci bianche "Alessandro Longo" ("quei bambini, quei bambini... semplicemente incredibili").

Sicché - è stata la domanda naturalmente conseguente - a questa esibizione, imperniata esclusivamente sull'uso di immagini a sostegno delle parti musicali, seguirà una rappresentazione in piena regola, con scenografie e costumi? "Vedremo. Intendiamoci, sono il primo a volere che accada, ma per arrivare a ciò è necessario l'interesse di qualcuno. Quello di stasera, per me, rappresenta un punto di partenza e chi vorrà proporre una produzione di 'Ça ira' dal vivo, riceverà il mio massimo sostegno".

La soddisfazione del bassista si sposta poi sulla cornice della prima mondiale di ieri sera, ovvero la sala Santa Cecilia dell'Auditorium, progettata da Renzo Piano. "Un posto meraviglioso. E che dire poi del pubblico italiano, così caloroso, così entusiasta. Come sapete, in passato, sono stato in questo paese per dei concerti rock e, in qualche modo, me lo aspettavo, ma è sempre stupendo".

Dal vivo, forse più che nella versione cd (su etichetta Sony Classical), i tre atti di "Ça ira" mettono in evidenza la natura dell'opera di efficace melting pot sonoro, quasi facendole andare stretta la classificazione nel capitolo "musica classica", ma rendendo comunque improbo individuare una categoria più adeguata.

Accenni di canti gregoriani si amalgamano a melodie tribali (elevate dal sostanziale contributo del tenore rock Isaac Brown), con reminiscenze di Verdi in diversi momenti e un finale che ricorderebbe i Carmina Burana di Carl Orff pure ad un non udente.

Per parte sua, Waters annuisce e cnoferma "le numerose influenze". Dopodiché, sottolinea come qualcuno, negli Stati Uniti, ci abbia sentito anche Prokofiev, "altro musicista che apprezzo molto". Però, di fronte all'incalzare dei giornalisti ("ma allora, chi ti ha davvero influenzato?"), il bassista torna il rivoluzionario dei tempi d'oro. "Non credo stia a me dirlo. O meglio, mi influenzano tutti coloro che tentano di comunicare l'umanità in musica".

Il tempo è scaduto. Waters si presta al rito degli autografi e qualche collega approfitta del suo indugiare per una domanda "off the records": e il futuro? "Un rock album", ribatte lui sicuro. "Sarà un disco sulle relazioni tra esseri umani". Lo promette da anni, ma visto quanto e come quest'uomo si è buttato alle spalle, grazie anche alla serata di ieri (in replica stasera), alcuni fantasmi del passato, stavolta c'è da credergli.

Prima, però, stretto in un elegante completo nero e nella camicia bianca d'ordinanza, Roger si defila rapido, ansioso di bere al calice della felicità, per una "pietra" - prendendo a prestito una delle immagini metaforiche a cui deve la fama - infinitamente meno pesante da portare.

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