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Interviste
Pubblicato il 24/09/2005 alle 15:53:41Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Fabbricante di canzoni: la nostra intervista a Simone Cristicchi

di: Antonio Ranalli

Dopo i singoli di successo Vorrei cantare come Biagio e Studentessa universitaria arriva l’album di esordio di Simone Cristicchi. Canzoni intelligenti per tutti nella macedonia pop del cantautore romano.

Dopo i singoli di successo Vorrei cantare come Biagio e Studentessa universitaria arriva l’album di esordio di Simone Cristicchi. Canzoni intelligenti per tutti nella macedonia pop del cantautore romano.

Bisogna ammettere che da tempo da queste parti non ci entusiasmavamo così tanto per un lavoro di un’artista emergente. Sarà che Simone Cristicchi avevamo già avuto modo di apprezzarlo sui palchi romani prima di “Vorrei cantare come Biagio”. Sarà anche perché questo simpatico ragazzo della Tuscolana ha, per citare Piero Ciampi “tutte le carte in regola”. Sta di fatto che “Fabbricante di canzoni”, album uscito per la SonyBmg, è un disco che ti coinvolge dalla prima all’ultima nota. Il cantautore mette dentro tutte le proprie passioni musicali, dal pop alla musica brasiliana, estraendone poi una manciata di canzoni di assoluta raffinatezza sia dal punto di vista stilistico che compositivo. Armato di ironia, Cristicchi spara a zero contro un sistema discografico che non capisce (vedi la divertente “Ombrelloni” e la stessa title-track) e che chiede agli artisti di scrivere canzoni in cui il pubblico “ci si riconosce”. Ma riesce anche a descrivere lo stato d’animo che quotidianamente vivono gli studenti fuori sede (“Studentessa universitaria”) e realizzare brillanti composizioni divertenti e riflessive come “La canzone della Morlacca”. Per capire di più i contenuti di questo album abbiamo incontrato Simone Cristicchi.

Finalmente il pubblico può ascoltare un tuo album ufficiale. “Fabbricante di canzoni” si conferma come un lavoro fresco ed originale. Eppure se non ricordo male tre anni fa doveva uscire un tuo album per la Carosello. Uscì un singolo, ma poi non se n'è saputo più nulla. Che cosa è successo in tutto questo periodo?
E’ stata una fortuna e anche una sfortuna. O meglio, la sfortuna ha generato la fortuna. Io ho inciso un disco che poi non è mai uscito. Le radio non accettavano i miei pezzi e per questo la casa discografica non aveva investito su un videoclip e su altre attività promozionali. Alla fine quel disco non è più uscito. La vecchia casa discografica però è stata gentile a concedere per “Fabbricante di canzoni” la registrazione del brano “Questo è amore”, incisa nel 2001 con il suo autore Sergio Endrigo. Il caso ha poi voluto che il pezzo venisse fuori poco dopo la scomparsa di Endrigo, artista cui sono molto legato. E’ stata una coincidenza, visto che il pezzo era nella track-list finale e in stampa molto tempo prima della sua morte. Quel materiale potrebbe in futuro anche uscire…

Dunque i brani di “Fabbricante di canzoni” risentono in qualche modo di questa tua esperienza con i meccanismi contorti della discografia. Penso ad “Ombrelloni” un brano decisamente geniale che, in un’atmosfera da canzoni anni ’60, in stile Piero Focaccia, ironizza e massacra la cosiddetta “canzone balneare”. Sei d’accordo?
Si. Credevo molto nelle potenzialità del mio progetto di allora. Pezzi che venivano considerati di qualità, ma che poi non riuscivano a trovare uno spazio. La finta conversazione telefonica che fa da introduzione ad “Ombrelloni” si riferisce proprio ad una cosa che è successa veramente. Il mio promoter di allora fece ascoltare ad una nota radio un mio pezzo. La risposta è stata che il brano nel complesso era carino, ma siccome c’era l’estate non si adattava bene al periodo. Mi sono così ispirato per “Ombrelloni” a suoni e melodie tipo Nico Fidenco, ma il testo è tutt’altro che estivo. Devo dire che il primo disco forse non è uscito perché presentava anche testi più difficili.

E’ anche per via di quell’esperienza che questo nuovo disco presenta pezzi di circa 3 minuti?
Le radio chiedevano pezzi da tre minuti, che rimanessero e che fossero d’impatto. In realtà, nel mio caso, è dovuto al fatto che in questi ultimi anni ho aperto molti concerti di artisti più famosi di me, un’esperienza che tutto sanno non è facile. Mi ritrovavo sul palco da solo, in versione chitarra e voce, e non era facile conquistare un pubblico che aspetta un altro artista con canzoni di circa 5 minuti.

Nel brano “Fabbricante di canzoni” c’è un attacco ad un certo modo di “fabbricare” le canzoni con quell’”intro – strofa – strofa – ponte – ritornello” come dici nella canzone?
E’ un attacco che ho fatto ad un modo di scrivere le canzoni in maniera scientifica. Per esempio entro il primo minuto deve entrare il ritornello perché altrimenti non passi in radio. Questo mi ha spaventato molto. Mi è capitato di vedere gente che grazie a dei piccoli accorgimenti tecnici è riuscita ad ottenere delle hit radiofoniche. John Lennon, poco prima di morire, stava facendo uno studio sui suoni che potevano influire sulla psiche umana. Alcuni lo hanno portato all’opera con il mastering (il bilanciamento tra frequenze alte, medie e basse). Madonna per esempio è un’artista che ha puntato su questo.

“Vorrei cantare come Biagio” è stato un brano che ha colto tutti di sorpresa. Tutti l’hanno cantata e fatta propria, ma non tutti hanno colto il vero senso di questa canzone. Che opinione ti sei fatto?
Il senso in una canzone è molto importante. In molti infatti si sono stupiti che quello di “Biagio Antonacci” ha fatto anche un duetto con Sergio Endrigo. Sono un tormentone per caso. Mi è successo di trovarmi a suonare in contesti opposti l’uno dall’altro: dal Festivalbar davanti a tante ragazzine, fino al Premio Giorgio Gaber, dove c’era invece un pubblico più attento e con la puzza sotto il naso. Quella è stata una delle cose più belle che ho fatto: ho proposto 20 minuti di monologhi e canzoni, e ho ricevuto un lungo applauso da questo pubblico che ora io devo convincere. Poi ci sono i bambini che vengono a vedermi, cantano le mie canzoni a memoria e confesso che questa è una cosa stranissima. Mi intimidisco quando vengono ad incontrarmi perché non riesco a capire cosa è scattato in loro.

E’ un brano che comunque intende invitare ad essere se stessi….
In occasione della recente apertura dell’anno scolastico mi sono esibito al Vittoriano a Roma, davanti ad una platea di studenti delle scuole elementari, e a Ciampi e alla Moratti. A quei bambini ho detto di essere sempre se stessi e prendersi cura della propria originalità, perché oggi si fa fatica a trovare la propria personalità. La canzone vuole infatti dire l’esatto contrario di quello che può sembrare: ovvero essere se stessi e non imitare altri artisti. Ho scelto Biagio Antonacci perché secondo me lui ha una coerenza in quello che fa, così come ce l’ha Gigi D’Alessio. Loro hanno trovato una chiave che li ha resi popolari. Il mio pericolo è proprio quello: faccio 13 generi musicali diversi. Il mio disco è una “macedonia pop”, una coppa con tanti pezzetti colorati ed ognuno con il suo sapore. I dischi di Daniele Silvestri erano un po’ così all’inizio.

Quanto è importante l’ironia in una canzone?
Per l’ironia ci vuole intelligenza e il tempo per capirla. Può cambiare il senso di una frase, di un quadro o di una trasmissione televisiva. In “Vorrei cantare come Biagio” mi rendo conto che molti non hanno capito quello che volevo dire. Ti accorgi che la gente vuole cantare solo un ritornello o una parte della canzone. Io credo nell’ironia e credo sia il nodo di dire le cose, lasciandoti qualcosa. Per esempio quando dico in “Fabbricante di canzoni” che sono un “pedofilo musicale che va dietro le ragazzine”, mi riferisco a chi scrive apposta per quel pubblico, come nel caso delle boy band.

Mi ha colpito molto “Studentessa universitaria”. Sei riuscito a descrivere in maniera perfetta lo stato di uno studente fuorisede e soprattutto sei il primo cantautore ad affrontare questa tematica. Ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
A nessuno in particolare. Ho conosciuto delle ragazze nel quartiere di San Lorenzo a Roma che mi raccontavano sempre le loro storie di studentesse fuori sede. Il fatto che non si sentivano a casa loro mi faceva sempre molto riflettere. Si rifiutavano in qualche modo di riempire le case in cui abitavano dei loro oggetti. Deriva da qui la storia, che è poi la storia di molti. Ho voluto creare un contrasto tra la prima strofa dove si racconta del paese natale della studentessa siciliana, e la seconda dove si affronta la sua vita nella metropoli, tra lunghe file e caos.

Tu appartieni ad una nuova generazione di musicisti romani, che si è aggregata intorno al locale “The Place”. Penso a Pier Cortese e Marco Fabi, con cui ti sei spesso esibito insieme. Qual è la tua opinione su questa nuova “scena romana” e quando tornerai al “The Place”?
Il mio prossimo concerto al “The Place” ci sarà martedì 27 settembre, una sorta di prove aperte prima dello show live per Radio1 Rai. Con Pier e Marco abbiamo suonato per tanti anni insieme in concerto. Facevamo serate che si chiamavano “Canzoni sul divano”, dove in un clima molto familiare a turno proponevano le nostre canzoni. A differenza della scena romana dei primi anni ’90 che era molto disunita, noi siamo invece stati molto uniti, come una famiglia. C’era l’idea di fare cose in comune, spontaneità e creare l’evento proprio su questo. La gente veniva spesso a sentirci. Abbiamo sofferto tutti all’inizio, ma adesso ognuno di noi ha trovato la sua strada nella discografia, ognuno con la propria peculiarità: io con l’ironia, Pier con un lato poetico e Marco con il suo lato oscuro e particolare.

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