L'Aldiquà maturo e sereno di Samuele Bersani
di: Stefania Schintu
Abbiamo incontrato Samuele Bersani in occasione della presentazione del nuovo disco intitolato "L'Aldiquà" (SonyBmg). Ritroviamo un artista maturo e sereno. E sempre più felice della sua condizione di cantastorie. Abbiamo incontrato Samuele Bersani in occasione della presentazione del nuovo disco intitolato "L'Aldiquà". Ritroviamo un artista maturo e sereno. E sempre più felice della sua condizione di cantastorie.
D: Caramella Smog l'avevi definito Cupo.
Samuele Bersani: da solo l'avevo definito così?
D: Più che cupo, velenoso...
S: Forse perchè non mi piaceva il termine "cupo"... non mi è mai piaciuto come termine. In realtà poi mi rendo conto alla distanza che cos'è un disco, non quando l'ho appena realizzato; perchè ci sono ancora troppo con la testa e non sono distaccato per definirlo. E' difficile!
D: Ma quello era un disco dove c'era molto sarcasmo sulla condizione umana e sui vizi della società.
S: Secondo me quello era un disco dettato da certe reazioni che avevo avuto da telespettatore più che da essere umano! "L'Aldiquà" è un disco, musicalmente, molto diverso dal precedente, intanto è il primo disco che scrivo a Cattolica, nel posto dove sono cresciuto - cosa che ritengo molto importante e lo dico non per un fatto di campanilismo. Io, la metà della mia vita, ormai, l'ho trascorsa a Bologna, però la prima parte della mia vita l'ho trascorsa a Cattolica, e sono cresciuto lì, e per me tornarci, scrivere delle canzoni è stata prima di tutto un'esigenza che si è poi realizzata man mano, canzone dopo canzone. Per certi versi, è un omaggio, agli amici ritrovati e alle radici che ormai pensavo di non avere più. Ma che in realtà sono tornate fuori. L'ultima cosa che si ascolta nel disco, quella che di solito uno dovrebbe scoprire - a meno che non gli piaccia il disco e allora lo spegne prima che arriva - è la ghost-track, questa traccia fantasma, dove l'amico Benito che ho rincontrato dopo 25 anni, un signore di settant’anni con una sola corda vocale, mi ha raccontato delle storie estremamente suggestive... delle mie parti si direbbe "Felliniane" per fare prima; talmente raccontate bene che ho deciso di inserirle nel disco proprio come atto, documentazione del periodo che ho vissuto a Cattolica. Che comunque è stato un lungo periodo, perchè sono stato, come al solito, tanto a lavorare, stavolta nove, dieci mesi. "L'Aldiquà" è un disco diverso, dicevo, musicalmente è un disco più sereno, per il quale credevo di avere pensato più alla musica che alle parole, ma in realtà non è vero perchè il punto conclusivo, il punto finale, sono sempre le storie che mi interessa raccontare. Lo faccio in musica, ma diciamo che, mai come in questo caso, sono stati gli elementi musicali, l'arrangiamento, le note, l'architettura delle canzoni, prima ancor dell'idea dei titoli a determinare il racconto.
D: Si può dire che è un disco più rock, sintetizzando al massimo nel senso che ci sono più chitarre!
S: Si... se questo significa più rock... probabilmente si. Ci sono più chitarre perchè i miei primi dischi nascevano direttamente dalle mie dita... mettiamola così! Ho sempre suonato tanto le tastiere, e quindi per forza di cose erano i dischi precedenti avevano più che altro suoni di sintetizzatore o di tastiera. Invece negli ultimi anni la scoperta della chitarra la devo alla collaborazione con musicisti che anche in questo caso, sono stati con me in studio a lavorare e lo devo anche all'invidia di non saper suonare la chitarra, se vuoi. E poi perchè è uno strumento che mi facilita il racconto. Mi sono sempre sentito e raccontato come un cantastorie e il cantastorie aveva la cetra, non aveva il sintetizzatore! In questo disco narro come se fossi il gallo George di Robin Hood, cioè, quello che nel racconto entrava ogni tanto, come posso dire... da collante fra quello che si era già visto e quello che ancora si doveva raccontare... il narratore vero e proprio!
D: Quindi le tue canzoni sono collegate, come se fosse una specie di vecchio concept?
S: No. Non è un concept album. Le canzoni sono molto diverse l'una dall'altra, e musicalmente e per le storie che racconto. Oltre tutto ci sono un paio di episodi che musicalmente non partono da me, nel caso ad esempio di "Maciste" la canzone musicalmente è di Pacifico; nel caso di "Come due Somari" la canzone è musicalmente mia, ma è diventata mia dopo che mi sono incontrato con Armando Corsi che mi ha portato quella che poi è diventata un canzone.
D: Mi incuriosiva questo incontro con Armando Corsi, che è un musicista straordinario.
S: Armando, appunto è un musicista straordinario...
D: oltre che una persona fortissima...
S: Lo conoscevo poco io... E' il Cohelio della chitarra, è un filosofo della chitarra, insomma. Secondo lui c'è la chitarra che porta l'acqua, e poi invece quella un po’ più schiava, nell'arrangiamento, quella fondamentale in questa canzone, quella che spinge un po' la voce a raccontare. Ma comunque, io vivo di suggestioni, quindi anche delle cose che arrivano dagli altri e riesco a farle diventare in qualche modo mie. Poi è chiaro che non riuscirei mai a cantare una cosa che non sento anche mia. Nel caso de “Le mie parole” ho cantato una canzone scritta dall'inizio alla fine da un altro (n.d.r. Pacifico) perché provavo una tale invidia che non è stato difficile farlo. Nel caso di "Maciste" mi piaceva molto la musica, il testo non esisteva, esisteva nel titolo e mi piaceva l'idea di poter raccontare a modo mio la storia di un maciste. Ho fatto, qualche giorno fa, una chiaccherata con una ragazza che avrà avuto, credo, 24-25 anni, non sapeva chi fosse Maciste, non aveva mai visto un film su Maciste. Un po' come quando ho scritto di Pietro Mennea e Sara Simeoni, se lo chiedi a un ragazzo o ragazza di 15 anni non sanno chi sono.
D: Anche la "127"...
S: La "127", però, è più facile averla vista, dura ancora con la "127". E quindi, riprendendo il discorso, tanto per finirlo: "L'Aldiquà" è un disco che è partito sicuramente dalle note. Sono entrato a Cattolica che non avevo una canzone, avevo delle idee, avevo voglia di raccontare, avevo scritto delle frasi, più che altro, dei piccoli appunti, ma non avevo una canzone. Quindi non siamo entrati in studio per arrangiare una canzone già scritta. Io le canzoni le scrivo nel momento in cui entro in studio, è un po’ così... è per questo che poi ci sto così tanto. Ed è stato, sotto questo punto di vista, più facile del precedente perchè, in certi casi, le parole e la musica sono sgorgate parallelamente in pochissimo tempo. Come nel caso de "Lo Scrutatore non Votante" che ho scritto, per quanto riguarda la parte letteraria, credo in 20 minuti, se vuoi, c'ho messo 3 anni ad incontrare uno che era scrutatore e che non aveva mai votato: mi è capitato di incontrare questo personaggio, mi ha fatto questa confessione nel pomeriggio, e per me era già una canzone, appena lo avevo sentito confessare...
D: Ma anche per "Occhiali Rotti" c'ha messo 20 minuti?
S: No, per "Occhiali Rotti" un pò di più. "Occhiali rotti" è nata, forse c'è una scia del disco precedente, in questo senso lo spiego; perchè da telespetattore mi è capitato di vedere l'annuncio dei figli di Baldoni, che si sono presentati davanti alle telecamere con uno sguardo unico, secondo me, una dignità rara e, devo dire, ormai ci stiamo abituando ai parenti delle vittime, e i suoi figli, forse perchè giovani, forse perchè belli... non lo so! Forse... io non conoscevo così tanto la storia di Baldoni, ho provato un'empatia fortissima, sono stato male, mi sono commosso; e nel momento in cui sono andato a leggere i vari racconti di Enzo Baldoni sul suo Blog, ho trovato - lo ripeto per l'ultima volta sennò userò per tutto il giorno questo termine(n.d.r. "empatia") - ho sentito un'empatia forte per tutto ciò che scriveva, per il suo modo ironico di raccontare il dramma, per il suo modo paradossale di raccontare Bagdad negli ultimi giorni e altri argomenti prima.
D: Quello sulla Colombia è molto bello, per esempio.
S: Si.
D: Scusa, ma "La Soggettiva del Pollo Arrosto", io non l'ho capita!
S: "La Soggettiva del Pollo Arrosto" è, forse, una di quelle canzoni che capirò anch'io un pò più avanti. Però "La Soggettiva del Pollo Arrosto", ragazzi è molto semplice! Partiamo dal principio che io, se non avessi fatto il cantautore, avrei voluto fare il regista,mi piaceva tantissimo, sempre detto che avrei voluto fare il maestro d'asilo... ma si rispondeva così per far prima. Quindi non ho potuto realizzare questo mio sogno, non lo realizzerò, perchè è meglio continuare a fare il proprio lavoro e non quello degli altri. Mi è capitato di vedere questo pollo arrosto che girava dentro una rosticceria pachistana e ho immaginato che fosse lui a vedermi, dal suo punto di vista, e farsi un'opinione di me e del mondo, e pensando di girare, girare e girare, di essere, in qualche modo, il motore, il centro dell'universo, proprio perchè lui in movimento, mentre gli altri gli sembravano un po’ più statici; quando in realtà era quello che stava dall'altra parte della vetrina a muoversi e non lui. Poi, in periodi di aviaria, in periodi di Povia, di piccioni vari eccetera, in qualche modo, stavo quasi per fare, come poche volte mi è capitato, cioè tenermi la musica e raccontare un'altra storia, invece ho capito che la storia doveva essere quella. Nello spiegare le canzoni entro in crisi! Quindi ti prego di non chiedermi esattamente cosa dico, la parafrasi del testo lasciamola fare agli altri!
D: Ma tu in concerto leggerai le parole?
S: Leggerò le parole. Non è il caso de "La Soggettiva del Pollo Arrosto", che forse me le ricorderò. Ma nel caso de "Lo Scrutatore non Votante" ho provato e non ce la faccio. Purtroppo ognuno ha dei grandi difetti e io ho questo.
D: Ho letto in una tua vecchia intervista che tu collezioni ritagli di giornale particolarmente sfiziosi e costruisci le tue storie su questi ritagli. Al riguardo dei personaggi delle tue canzoni, mi divertiva sapere come nascono...
S: Sono stati carini se hanno scritto questo, ma non è proprio così. Non colleziono dei ritagli, cosa che ho visto descritta benissimo da Moretti in "Aprile", mi pare, dove c'era quella specie di coperta fatta con i ritagli. Io mi nutro di informazioni, è naturale, è ovvio, se non sono le informazioni dirette che uno mi può dare parlando per telefono, sono le informazioni che mi colpiscono prima di tutto. Come ho sempre detto, il televideo, è la super sintesi della quotidianità, cioè, in una riga bisogna mettere il contenuto della notizia e in una riga è difficile! Sembrano solo titoli, anche gli articoli sembrano solo dei titoli. E il televideo continua a darmi degli spunti. Come è stato scritto nella cartella stampa per raccontare il disco, che è la realtà al di là della fantasia... il concetto classico "della realtà che supera la fantasia", dire che la realtà è molto più ai confini con l'inferno e il paradiso, di quanto non sia l'aldilà, cioè che c'è già molto di infernale e di paradisiaco in questo mondo! Poi è chiaro che i quotidiani aiutano, soprattutto alcuni che, devo dire, stanno a proprio agio sul banco del frigo.
D: Un’altra canzone che mi ha colpito molto è “Sicuro Precariato” ad un certo punto si parla di questa situazione che diventa da contingente della situazione di lavoro, anche situazione generale di precariato che coinvolge i rapporti interpersonali, mi è piaciuto moltissimo. Vorrei qualche riflessione interiore.
S: Un po’ mi sento così, in realtà l'unica cosa che mi differenzia dal protagonista è che non sono mai stato un supplente in ambito scolastico. Però se scrivo di un personaggio è perchè mi incarno in lui, nel momento in cui lo racconto; è un po’ come l'attore che dimagrisce perchè deve fare la parte del vagabondo o dello sbandato. Io credo nelle storie che racconto, i singoli personaggi non finiscono nel momento in cui finisce la canzone, continuano ad avere, secondo me, una vita propria che io gli ho dato, magari. Il personaggio del supplente mi è venuto in ultimo, perchè in realtà questa canzone ho continuato a cantarla in “finto Inglese” fino ad una settimana prima che ci mettessi il testo, e avevo una settimana per farlo perchè poi dovevamo consegnare il disco. Mi è venuta di getto questa canzone...
D: E' bellissima!
S: Ti ringrazio! E' una di quelle che preferisco anch'io se si può dire. Mi piaceva l'idea di raccontare lui, ma a quel punto ho raccontato anche il mio concetto di precarietà che è ben diverso dalla precarietà di cui ha parlato anche ieri Napolitano per dire. Precarietà è un argomento serio, io sono noioso, lo so, perchè dico sempre la solita frase, che avevo la partita Iva a 21 anni, ormai mi annoio da solo a dirlo, però è la verità. Io ho avuto la fortuna di realizzare il desiderio che avevo già da bambino, molto presto. Ed è comunque un lavoro nell'instabilità della musica di oggi, nel mondo della musica di oggi, è un lavoro abbastanza sicuro possiamo dire. Parlare di precariato, lo faccio, perchè mi rendo conto che c'è una generazione, anche la mia, che non ha niente. E il fatto di rendere paradossale la precarietà, cioè fare in modo che lui si sentisse incapace di avere, non solo un lavoro fisso, un posto fisso, ma anche un cuore fisso. Il momento in cui torna a casa, mi è venuta così, poi, sai, delle volte scrivi una frase, capiterà anche a voi di scrivere una frase che vi sorprende; una volta che siete arrivati a mettere punto la rileggete e vi piace. E' cosi... vuol dire che stava dentro di voi... quindi l’ho scritta perchè ce l'avevo dentro.
D: Tu prima dicevi che ti piace fare questo mestiere, che non vorresti farne un'altro; però non hai mai pensato di scrivere come fanno tanti altri cantautori dei racconti?
S: Sì ci ho pensato e, secondo me, imputo il fatto a questa stupida coerenza sostenendo: "se ti va bene una cosa, devi continuare a fare bene quella". Sono stupido! Perchè in realtà mi pregiudico la possibilità di ampliare anche un lavoro che comunque faccio, quello dello scrivere delle storie. Farlo con la musica è molto più difficile, devo stare nello spazio metrico, è difficile, non è un flusso da romanziere quello del cantautore. Quindi sicuramente fino ad oggi mi sono pregiudicato questa possibilità da solo. Io continuo a scrivere delle storie, non ti nascondo che avrei già del materiale da poter pubblicare.
D: Chissà quanti editori te lo avranno chiesto?
S: Ho diversi contatti, già da molti anni. Però vorrei essere un po’ più convinto per farli leggere. Perchè fino adesso li leggo a me e a pochi amici. Non ho ancora avuto questo coraggio, poi, magari, potrebbe essere l'anno e il momento buono. Però non lo so! Sarebbe la prima caduta di coerenza da parte mia. Visto che io punto quasi tutto sulla coerenza, ne parlo spesso. So già che prima o poi verrò preso in castagna!
D: Mentre ne “La Soggettiva del Pollo Arrosto” è un'immagine che mi è rimasta molto impressa. Mai sarebbe venuto in mente a me una cosa del genere... io la trovo un'idea geniale! E la canzone è bellissima!!
S: Io la troverei un'idea geniale se fossi un regista di videoclip, direi: "Forte! Facciamo vedere la realtà, e poi solo all'ultimo facciamo vedere che è un pollo arrosto!" (n.d.r. a buon intenditor!)
Io ho sempre parlato dei miei autori preferiti. Io leggevo Rodari da bambino e anche quando ero cresciuto continuavo a leggere Rodari, mentre gli altri leggevano già cose più profonde. Per me la fantasia è sempre stato il punto di partenza e d'arrivo del mio modo di essere. Per quello anni fa quando mi sono incontrato al Festival della Letteratura a Mantova con Mogol, in un dibattito ho avuto la fortuna di avere a che fare con Mogol per me era poter toccare davvero la musa ispiratrice, in un certo senso. Quando ha detto che non è tanto importante la fantasia, quanto un discorso tecnico, io lì l'avrei strozzato! Ho continuato ad ascoltare le sue canzoni...
D: Forse c'è una differenza di spontaneità?
S: Non è tanto questo. La differenza sta nel fatto che uno scrive per altri, in quel caso lì 50, 100, forse 200 lavori, ad un certo punto diventi un'industria. Ora, fare un disco ogni tre anni, con il tuo stile, è un po’ più semplice, secondo me, è un po’ più facile, non lo so... è vederla in un altro modo. Invece una cosa seria la dico: non esistono scuole per imparare a fare questo lavoro. Questo lavoro già fa parte di te prima di farlo; devi essere uno che è tagliato per raccontare, è chiaro che si affina con il tempo, anche una certa tecnica, però deve proprio far parte delle tue corde, non puoi andare a pagare una retta scolastica per diventare cantautore. Perchè, come poi gli ho detto io in quell'occasione: "se l'insegnante sono io, quella scuola non è seria". Siccome mi avevano invitato a fare l'insegnante: non posso insegnare i miei trucchi - se ho dei trucchi - non lo trovo nemmeno giusto. Ognuno deve arrivare al punto d'arrivo da solo, non ci può essere il maestro che ti insegna a scrivere le canzoni.
D: Tempo fa parlavi che avevano proposto, per queste elezioni, una tua candidatura a un partito e che in qualche modo aveva influenzato Lo Scrutatore non Votante. Vuoi raccontarci quell'episodio?
S: E' arrivata dopo aver scritto la canzone, era già uscita in radio. Mah! Adesso posso anche dirla perchè fa ridere. Era la Rosa nel Pugno, lo potevate immaginare! Credo di esser stato l'unico a cui hanno spedito una proposta di candidatura "con la certezza di non essere eletto". E questa certezza di non essere eletto, e che io ho ancora nel mio computer, perchè mi hanno mandato una e-mail; mi è sembrata in linea proprio con l'idea de "Lo scrutatore non votante", mi sembrava proprio il lato B de "Lo scrutatore non votante" la certezza di non essere eletto. E così quando sono andato da Fazio e ne ho parlato perchè mi era appena capitato. Non è che ho dato troppo peso a questa cosa, anzi! La Rosa nel Pugno è un partito che mi sta simpatico.
D: Tu citavi Rodari come scrittore di riferimento. Ma un cantautore italiano che ti abbia colpito, come Rino Gaetano, per esempio?
S: Rino Gaetano è arrivato in un secondo momento. Prima non è che non lo considerassi. Ero ancora troppo piccolo, e a casa mia non avevano ancora comprato il disco di Rino Gaetano. Quindi, io ascoltavo - per un certo periodo come tutti - la musica che i genitori ascoltavano: mio padre ascoltava molta musica classica, mia madre molti cantautori, quindi direi Tenco, che proprio mi ha anche forzatamente fatto ascoltare quando non ne volevo sapere di incupirmi. I miei gusti spaziano da Battiato, che per me è stato fondamentale nel momento in cui ho comprato "La Voce del Padrone" quell'estate lì è stata bellissima per me. De Gregori, che non capivo, non capisco, anzi, riesco a capirlo adesso nelle ultime cose, non lo capivo però mi piaceva un sacco. Al di là del non capirlo, io interpretavo i suoi testi a modo mio e mi sembrava forse di arrivare a spiegarmelo. Lucio Dalla, di un certo periodo, quello degli anni '80. Paolo Conte, fondamentale. Ce ne sono tanti. Quando si sente dire che il lavoro del cantautore oggi sta morendo, io rimango malissimo perchè comunque non si tiene conto che ci sono, oltre al sottoscritto, altri che fanno questo lavoro ancora in senso artigianale, non in senso industriale o meccanico.
D: Che ne pensi di Music Farm?
S: Una Boiata!!! Non è un giudizio sulle persone, sull'umanità. Qualche volta l'ho visto, devo dire la verità! Nella penultima puntata hanno messo sei volte come stacchetto “Lo scrutatore non votante”! Però non mi sentivo proprio a mio agio! Non è una delle trasmissioni che serve alla musica italiana, serve a fare delle tourneè estive.
D: Ma Califano ti piace?
S: Ma Califano va al di là. Califano è un personaggio, oltre che un grande autore; ha scritto delle bellissime cose, ma non stiamo a parlare della voce di Califano oggi perchè non è questo il punto. Califano comunica, è schietto!
D: Invece molti altri?
S: Ma non sto a giudicare, non voglio giudicare dal vetro quello che c'era dietro perchè era un pò triste. La dinamica della sfida del pomeriggio sulle basi midi da piano bar, con gente costretta a stare lì seduta a fare l'applauso, non mi sembra che possa aiutare a sollevare le sorti della musica italiana. Poi sicuramente è un trampolino di lancio: Pago stesso se non avesse fatto questa trasmissione, forse avrebbe una popolarità legata al singolo dell'estate scorsa e non alla sua fisicità che sicuramente è venuta fuori. Ma non ho bisogno, e mi sono stancato di vedere gli altri per capire che sono deboli come me.
D: Se tu adesso dovessi scrivere una canzone sul casino che sta succedendo nel calcio come la intitoleresti?
S: Non lo so! Intanto io sono uno juventino e quindi scusate, allora parliamo di questo! Io sono juventino anni '70, quindi di una squadra che non aveva stranieri e aveva delle persone che si chiamavano Cucureddu, Furino, Benetti...
D: Mi diresti qualcosa riguardo il tuo lavoro di cantautore, ti piace ecc... E' molto interessante, vista la tua posizione, l'attuale panorama, io credo che un cantautore, diciamo un esordiente, abbia bisogno di farsi conoscere, uno può essere un genio musicale più bravo del mondo, ma se non si fa conoscere... Io vedo, per lo meno qui a Roma, c'è una grandissima tendenza a non far suonare le nuove cose, addirittura c'è la tendenza terribile di far suonare dei gruppi che imitano gli altri gruppi. Più li imitano bene, più sono bravi.
S: Gli U2, The Doors...
D: Perfetto! Mentre, invece, magari meno bravo tecnicamente ma che riesce... Io volevo sapere: tu come la vedi dal punto di vista della discografia, visto che sei abbastanza affermato.
S: Guarda, sono tanto affermato che se vado per strada nessuno mi riconosce. Mai come in questo momento ho trovato un equilibrio. Nel momento in cui ero riconosciuto, ma non stimato o meno stimato, ero più popolare ma infelice. La mia felicità di oggi sta nel fatto che vado in un negozio, sento che c'è la mia canzone, e mi chiedono: "Desidera?". E' vero, è così, non andando in televisione. Ma io vivo meglio così. Mi arrivano moltissimi cd ed io li ascolto tutti. Però non rispondo, perchè la mia sofferenza sta nel dare a qualcuno una delusione. Cioè dirgli: "Guarda facciamo cose diverse" potrei cavarmela così, ma cosa c'entra, uno non è che ti manda una cosa perchè ti imita. Io non so se tu ti riferisci agli spazi che si danno ai ragazzi nei locali, a Bologna le possibilità ci sono, cioè ci sono delle situazioni, ho la sensazione che Bologna sia, da questo punto di vista, una città ancora viva.
D: Ma è gente originale?
S: Ma l'originalità sta nel fatto che, davvero c'è della gente originale e molti che non lo sono, secondo me. Ci sono anche dei calciatori mediocri, che non andranno mai a giocare in una grande squadra, al di là del procuratore che hanno. Io ho letto un articolo bellissimo di Michele Serra domenica scorsa, dove diceva che adesso ci dobbiamo spaventare all'idea che ci siano dei ragazzetti che faranno il dribbling alla Ronaldinho, cioè che impareranno a fare queste mosse da "Spot Nike" e poi non sanno passare la palla al giocatore. Così anche nella musica avviene. Io conosco, ascoltando queste cose che mi arrivano, intanto devo dire che giovane non significa sempre "originale- moderno". C'è una forma di antichità in certi giovani che sembra veramente che siano andati a scuola di anni '50 prima di mandarti il cd. "La canzone di Sanremo" ci sono tanti che la fanno. Poi secondo me ci sono anche delle strade che all'inizio non comprendevo, perchè era un linguaggio diverso dal mio, di cantautorato particolare: i Baustelle, stiamo parlando di gente che è uscita, o Bugo, o comunque nomi nuovi, per non dire sempre Silvestri e la Consoli. Che hanno una dignità e un'originalità non indifferente.
D: Nei locali preferiscono far suonare la cover-band degli U2 piuttosto che i Pinco Pallo.
S: Sì, ma Pinco Pallo può mandare il demo a Demo, la trasmissione di RadioRai del duo Pergolani e Marengo. Tempo fa potevano andare in televisione da Red Ronny che li avrebbe comunque, gratuitamente fatti esibire, anche in un orario buono, magari. Ma non esiste più questo spazio, non esistono più spazi televisivi per la musica, se non quelli canonici, o quelli da classifica. Dove vai a registrare prima ancora di essere in classifica!
D: Quest'anno le abbiano chiesto di fare Sanremo?
S: Si me l'hanno chiesto...
D: E quindi......(risata generale)... Dimmi qualcosa!
S: Me l'hanno chiesto anche con una gentilezza spropositata, perchè hanno tenuto lo spazio aperto fino all'ultimo giorno possibile. Il disco non era ancora finito, ho un precedente che mi insegna, che per andare a Sanremo serve avere la canzone, ma anche il disco. Io quando sono andato a Sanremo nel 2000 avevo una canzone e poi il disco è uscito quasi cinque mesi dopo.
D: Però hai vinto il premio della critica...
S: Si, che ho a casa e ci apro il pandoro la mattina. Non è bello! Ci metti un anno a fare un disco, hai bisogno anche di un altro tipo di gratificazione, è lavoro, no?
D: Ci racconti di Lino?
S: Lino detto il Baratle. Allora Lino era un incrocio fra...non vorrei dire il matto del paese, perchè lui era il matto del paese Lino, era sano Lino, però aveva delle punte di follia che lo portavano ad esibire in pubblico, platealmente, d'estate, quando c'era proprio il periodo dello "struscio" di Ferragosto in questa veranda sotto l'albergo Haiti. Parliamo degli anni '70, quindi io, con il passeggino, venivo portato lì, tutte le sera, dalla mia mamma e dal mio babbo, e andavamo a vedere Lino. Lino, chiaramente, aveva un gruppo alle sue spalle, ma era la musica che andava dietro a Lino - come dice l'amico Benito che lo racconta (nella traccia fantasma del disco nda)- Lino era davvero capace di calamitare l'attenzione di tutti, anche degli stranieri, svenivano. Come lui racconta, c'era il proprietario dell'Haiti che tutte le sere l'andava a vedere, e una volta gli è venuto persino l'infarto. Lino si inventava le parole, lui non le sapeva le parole delle canzoni, come dice Lino. Lui voleva fare il cantautore, pensava di sapere: “un po’ come te” diceva. E la cosa che mi è piaciuta, se vuoi al di là del pretesto di raccontare Lino, che comunque è una delle prime figure legate alla canzone, che io ho incontrato nella mia vita, è un modo per raccontare il punto di vista di Benito. Perchè Benito io lo considero, tradotto in Italiano, purtroppo non ho la traduzione con me, ne ho una versione molto più lunga, perchè l'ho tagliato...
D: Perchè per me è incomprensibile!
S: E' incomprensibile per alcuni, per altri, mi sbalordisco, per altri è comprensibile. Quindi l'ho messa nel disco e la traduzione la metterò sul mio sito che ancora non ho fatto. La cosa che mi divertiva era proprio il modo di raccontare di Benito, che diceva: "Mettiamo che venisse su Celentano a Cattolica. Perchè Lino ti faceva ribaltare. Lino era come i Beatles. Con i Beatles le donne cadevano. Cadevano anche con lui. Ma era un'altra cosa: con i Beatles cadevano perchè erano forti, con Lino no, perchè era il contrario". Mi sono un po’ ritrovato! Io il disco l'ho dedicato a Lino, che è scomparso tre mesi fa; è rimasto gli ultimi anni dei 95 anni in uno spizio e mi sono sentito di fare questa cosa. Poi l'ho dedicato a Baldoni, chiaramente, per un'altra ragione, e a Baldini, che è un po’ la conferma, se vuoi di Lino e di Benito. Baldini scriveva in dialetto di Sant'Arcangelo, quindi in dialetto romagnolo e ha vinto anche un premio Montale per la poesia. Lo considero il De Andrè della poesia romagnola. Per me è importante l'opera di Raffaello Baldini tant'è vero che quando ero andato da Fazio un anno fa, mi ero portato, addirittura, un libro suo. E poi Baldini mi telefonò e mi disse, mi dicevano: " guarda che è uno che se lo inviti... Ha 80 anni, sta a Milano, potete andare a mangiare. Lui è uno buonissimo" Io l'ho chiamato e lui mi ha detto: "No, non esco più di casa. Perchè ho ottant'anni e sono depresso", io a pensare che ad ottant'anni si possa avere la depressione e non che la depressione sia un pericolo, come dicevano oggi a Bologna, in Emilia Romagna si dice che a Bologna un ragazzo di 20 anni su dieci tenta il suicidio, io pensavo che fosse legato più ad un fattore ormonale, è anche eraditaria la depressione. Ma non potevo mai immaginare che uno ad ottant'anni, con una mente geniale come la sua, potesse chiudersi sul divano. E non ho avuto la possibilità di incontarlo perchè dopo la telefonata che abbiamo fatto, una settimana dopo è scomparso. E mi è rimasto il magone, come se mi fosse morto il nonno.
D: Dicevi del matrimonio, che serve solo alle donne e ai venditori di bomboniere. Lo pensi ancora?
S: Si! (risata) Certe volte faccio degli aforismi di cui, poi dovrei pentirmene tutta la vita. Tre anni fa dicevo questo? Ma secondo me non c'è questa necessità di sposarsi. Se due persone stanno bene, ed intendono sposarsi... io non mi sposerei, personalmente.
D: E i Pacs?
S: Pacs perchè no! Il dibattito poi sull'affidamento dei figli alle coppie omosessuali, mi trova ancora un pò indeciso nella risposta. In linea di massima, credo che un bambino stia meglio con due persone felici, che con due persone infelici. Al di là del fatto che siano etero o omo.
D: Quindi tu non ti sposi!
S: Io non sento la necessità di sposarmi, no! A te questa cosa interessa, un sacco!!
D: Molto! Anche alle mie colleghe.
S: Caspita!!!
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