Pearl Jam – Backspacer (Universal Music). It’s only rock’n roll but we like it!
di: Simone Tricomi
Eddie Vedder ed i suoi Pearl Jam erano uno dei ritorni più attesi. E non hanno deluso. Con onestà e coerenza, giocando al loro gioco preferito, fare grandi canzoni rock. Ci sono band che fanno della continua sperimentazione e delle mutazioni camaleontiche il loro punto di forza, il loro tratto distintivo.
C’è una seconda categoria di artisti che preferisce battere la strada più sicura e commercialmente redditizia, e ripropongono lo stesso disco e la stessa canzone anno dopo anno.
Infine ci sono gruppi come i Pearl Jam. Non si può dire al quintetto di Seattle di aver fatto rivoluzioni epocali in ambito musicale, né per questo si può imputare alla band di Eddie Vedder scarsa ispirazione o ripetitività. L’obbiettivo dei Pearl Jam è sempre stato quello di esplorare le possibilità di quello che può essere definito un rock’n roll onesto, coerente e senza fronzoli.
Figli di band come Who, Rolling Stones e Ramones, più che del grunge vero e proprio, la loro credibilità è cresciuta grazie alla qualità dei loro brani e a dischi fra i più importanti nell’ambito rock degli ultimi vent’anni (“Ten” e “Vs.” su tutti). I Jam si sono alternati dopo la prima, più importante, fase della loro carriera, fra opere più a fuoco e centrate (“Yield” e “Rioct Act”) ed altre più complicate e meno ispirate, come “No code” e “Binaural”, sempre e comunque al di fuori di un circuito commerciale imperante, anzi spesso brillando per onestà ed impegno.
Ed eccoci arrivati a “Backspacer”. E’ un piacere sentire quanto suoni fresco questo disco.
In alcuni tratti, come nel potente trittico rock iniziale, sembrerebbe di sentire una qualsiasi garage band di ventenni che si diverte nella sua scalcinata sala prove nei sobborghi di Seattle!
Ed è proprio questo che fa di Backspacer un buon disco… la rabbia, la voglia di divertirsi, di suonare nudi e puri oltre ad una capacità di comporre ancora dell’ottimo rock’n roll e delle canzoni che suonino credibili.
Inutile dire quanto la voce ed il talento di Eddie Vedder emerga una spanna sopra rispetto a quello dei compagni d’avventura. Sono da brividi i toni caldi che sfodera nei pezzi acustici come la conclusiva “The End” e la meravigliosa e romantica “Just breathe”. Ed anche quando deve spingere e sfoderare tutta la gamma emotiva di quella che è la più bella voce rock in circolazione, Eddie non delude, facendo risplendere composizioni come “Unthought known”. Tutta la band è sugli scudi, invece, nella beatlesiana “Speed of sound”, con un’inaspettata e piacevole virata pop, ed in quello che è forse il pezzo più convincente e solido dell’intero disco, “Force of nature”.
Quello dei Pearl Jam è in generale un ritorno convincente, anche nei testi, dove vengono accantonate le tematiche barricadere un po’ abusate negli ultimi dischi e viene riscoperto il piacere dell’intimità.
Nessuno si accosti a questo disco pensando di trovarci un altro capolavoro generazionale come “Ten” però. Mettete da parte le vostre camicie a scacchi ed i capelli al vento, i Pearl Jam oggi sono solo una grande rock’n roll band. Forse gli unici, veri, eredi degli Who.
A loro va bene così, ed anche a me.
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