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Pubblicato il 18/08/2006 alle 19:12:13Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Rolling Stones, una rete piena di outtakes

di: Christian Diemoz

Internet restituisce un nastro sinora sconosciuto, che svela il volto inedito dell'album Steel Wheels, il "ritorno" nel 1989.

Internet restituisce un nastro sinora sconosciuto, che svela il volto inedito dell'album Steel Wheels, il "ritorno" nel 1989.

Se “Apocalypse Now” ha rappresentato il primo tentativo, attraverso la cinematografia, di cauterizzare la ferita aperta nel cuore dell’America dal Vietnam, “Steel Wheels” è l’album grazie al quale i trentenni di oggi hanno conosciuto i Rolling Stones.

Non solo. Il trentatré giri che sfoggia una delle copertine meno fantasiose della sterminata discografia di Jagger e soci ha riportato al movimento l’elettrocardiogramma di una band allora silente da tre anni in studio e da ben sette dal vivo. Un battito che, in tutto il mondo, ha assunto l’eco di una deflagrazione, la cui onda d’urto è stata amplificata dal conseguente omonimo tour.

In termini di rilettura ed approfondimento dell’opera, prodotta da Chris Kimsey e dai Glimmer Twins, nulla ha permesso, sino ad oggi, di scavare più di tanto nel dietro le quinte di “Steel Wheels”, arrivato nei negozi esattamente il 29 agosto 1989. Le uniche concessioni al suo “making of” sono infatti rappresentate dal videoclip promozionale del singolo “Mixed Emotions”, costruito su immagini rubate alle sessions negli Air Studios di Montserrat, nelle Indie Occidentali (oltre a qualche analoga sequenza del documentario “25x5”). Tuttavia, le voci sull’esistenza di registrazioni che permettessero una versione Redux dell’album non hanno mai smesso di circolare. Si mormorava persino che quei nastri fossero già nelle mani dei pirati della Vigotone (gli stessi dei dieci cd zeppi di inediti e prove da Voodoo Lounge), ma che un blitz avesse messo la parola “fine” alle speranze degli appassionati.

A distanza di diciotto anni, si può concludere che ai fans degli Stones sia andata bene quanto a Coppola (arrivato ad aggiungere quasi un’ora di sequenze alla sua pellicola). Nelle ultime ore del ferragosto 2006, mentre metà degli aficionados era in vacanza (e l’altra metà in tour con la band), dai flutti dell’oceano virtuale di Internet è emerso l’equivalente digitale di una cassetta contenente quindici brani, per un totale di ottanta minuti e due secondi di musica. Tredici rappresentano delle versioni alternative delle canzoni presenti sull’album, o pubblicate sui singoli da esso estratti, mentre due suonano assolutamente inediti. Del tutto sorprendente la qualità, trattandosi – verosimilmente - di un nastro di prima generazione rispetto ai master registrati dal mixer dello studio (e fu la prima occasione in cui gli Stones ricorsero a tecnologie digitali). Caratteristiche che, unite alla peculiarità dei contenuti, ne fanno indubbiamente il “ritrovamento” più significativo degli ultimi dieci anni in materia di lavori in studio degli Stones.

Capire come ciò sia potuto accadere richiede di volgere lo sguardo verso le debolezze dell’animo umano. La spiegazione è infatti contenuta in una menzione che accompagna i files musicali. “Un amico – si legge – mi ha consegnato varie cassette da trasferire su CD. Queste tracce provengono da una di quelle. […] So che i nastri sono stati dati al mio amico dalla vedova di un componente dello staff tecnico degli Stones e non nutro pertanto dubbi sulla loro autenticità”. Non è difficile pensare che colei che ha richiesto inizialmente la digitalizzazione su compact disk (forse la compagna di “Chuch” Magee, scomparso nel 2002?) volesse compiere tale operazione per perpetuare il ricordo del marito, più che per condividere il volto inedito delle Pietre con i fans di tutto il mondo, ma – come disse John Lennon – “i segreti sono ciò che si confida ad una sola persona alla volta”.

Al di là di ciò, l’ascolto delle quindici tracce (registrate, appunto, a Montserrat, nel periodo tra il 15 maggio e il 29 giugno 1989) lascia lo stesso amaro in bocca di diverse altre “compilations” di outtakes degli Stones. Se un brano è bello, lo si esclude dall’album. Se un assolo è da sballo, lo si accorcia. Se un finale è esaltante, lo si azzera, preferendogli una dissolvenza. Se un pezzo suona creativo, lo si banalizza. E’ una sensazione che fa fumare le tempie, specie considerando quanto l’album ha raccolto (secondo nella chart britannica e terzo in quella Usa, dove fu due volte Platino) e quanto in alto sarebbe potuto ancora andare se (il produttore, la band?) avessero osato di più. Esiste però anche un rovescio della medaglia. Rappresentato, nel caso specifico, dall’eliminazione, nella versione finale dell’album, di svariate pacchianate presenti in queste versioni alternative. Orpelli, in molti casi, alla base di quel “Vegas sound” per cui il disco non ha fatto breccia nel cuore di tanti. A mo’ di sintesi, ecco le note finite sul taccuino di yours truly durante gli ottanta minuti (e due secondi) di Steel Wheels Redux.

Almost Hear You Sigh (Durata traccia: 4:52 - Versione ufficiale: 4:37) – L’annotazione “Keith on vocals” a corredo del file, basterebbe per l’acquisto a scatola chiusa. Qui, però, siamo oltre. La base musicale è praticamente completa, ma Richards plasma il testo (ancora inesistente, eccezion fatta per il verso che dà il titolo al brano) in tempo reale, lasciandosi andare a una quantità industriale di biascicati “Honey, please”, “I split with my girl” e “Yeah, baby”. Nonostante la forma incompiuta, un concentrato fenomenale del chitarrista pensiero (autore del brano, assieme a Steve Jordan, per il suo “Talk Is Cheap”). Geniale è dir poco.

Between A Rock (And A Hard Place) (Dt: 5:49 - Vu: 5:25)- Indicata sul nastro con il titolo di lavorazione “Steel Wheels” (che svela anche, implicitamente, l’origine del nome dell’lp, visto che nessun riferimento alle “ruote d’acciaio” ritorna nelle dodici canzoni), assumerà infine la denominazione “Rock And A Hard Place”. Questa versione differisce sul piano lirico nel primo verso, in cui Jagger canta “Garden Of Eden” (anziché “The Fields Of Eden”), mentre musicalmente siamo in presenza di un diverso, più marcato, arrangiamento dei fiati (destinati a divenire meno presenti nel mix finale, a favore dell’aggressività del pezzo). Inusuale il lancio, con Charlie Watts a sottolineare, con il battere delle bacchette, il conteggio di Mick.

Blinded By Love (Dt: 5:34 - Vu: 4:37)– Praticamente una fotocopia della versione pubblicata sul trentatré giri, con una differenza minimale nel cantato. Il verso “The Philistines paid / For Samson's blind rage” diventa qui “Well, The Philistines paid”. Non va dimenticato che Sir Mick è inglese…

Call Girl Blues (Dt: 3:50 - Vu: 3:07) – Dietro a questo working title si nasconde, in realtà, “Break The Spell”. Il testo è quello definitivo, ma il mix è diverso. Il basso saltellante di Ron Wood (Bill Wyman era impegnato a Londra con Mandy Smith) risulta in prima linea (a sfoggiare abilità e gusto lontani anni luce dalle possibilità del roboante Darryl Jones) e l’armonica di Jagger è nascosta tra le pieghe del canovaccio del brano. Una volta sul vinile, le parti si invertiranno.

Continental Drift (Dt: 6:22 - Vu: 5:14)– E’, di tutto il nastro, il pezzo maggiormente diverso da come lo si sentirà su “Steel Wheels”. Sul canovaccio ricamato dai “Masters Musicians Of Joujouka” si adagiano molti più suoni. Tra questi, un organo che sottolinea le parti cantate (in cui Mick fa il verso a un Muezzin) ed alcuni effetti che riducono quasi a un videogioco il cuore strumentale del brano. Sparirà tutto, a dimostrazione di come l’abilità degli Stones sia non nel plasmare un suono, ma nel riempirlo di silenzi. Punto, a capo.

Fancyman Blues (Dt: 6:46 – Vu: 4:54) – Il piano è sempre da tre del mattino, ma in questa versione il dialogo con la chitarra di Richards è molto meno educato ed ortodosso di quanto non traspaia dal b-side del singolo di “Mixed Emotions”. Sul versante delle liriche, Jagger canta “You’ve got another man on the side” per i primi tre versi, mentre nella take finita su vinile ciò accade solo in quello iniziale (per diventare, negli altri, “You’ve got a fancyman”). Con tutta probabilità, una variazione dovuta ad una maggiore facilità interpretativa.

Hearts For Sale (Dt: 4:35 - Vu: 4:40) – La chitarra che srotola il pezzo non ha ancora l’eco che la fa lievitare nell’lp. In compenso, suona più distorta. Miracoli della produzione.

Hold On To Your Hat (Dt: 4:10 - Vu: 3:32) – Keith Richards ride, poi Mick Jagger conta, quindi scivola via un’esecuzione che ricorda al mondo come gli Stones siano la prima garage band londinese. Arrabbiati, assetati di sangue e decisi a non fare prigionieri. Così è la band di questo pezzo, che uscirà incomprensibilmente “ammorbidito” dal missaggio ai londinesi Olympic Sound Studios. Il testo contiene ancora qualche imperfezione (manca, nel ritornello al termine delle prime due strofe, il verso “We never make it / why don’t you fake it”, che il frontman riempie con “Yeah” e “Got To Get Out” a pioggia). Il pezzo perfetto da b-stage, tanto che gli stessi Stones, al termine, se ne compiacciono con commenti goduti.

Can’t Be Seen (Dt: 5:25 - Vu: 4:10) – Anche in questo caso, ad una composizione praticamente conclusa sul fronte musicale si accompagna l’incertezza delle liriche. Keith Richards si lancia in equilibrismi verbali da vero funambolo, cantando fuori microfono. Una vecchia consuetudine degli Stnoes, per testare la resa di una base senza “sporcarla” con la traccia audio.

Mixed Emotions (Dt: 6:36 - Vu: 4:39) – E’ il pezzo del nastro (battezzato da qualcuno “Monitor Mixes”) più simile a come sarà nell’album. La sensazione, oltre ad una significativa differenza di lunghezza, è che in questa veste il singolo “apripista” di “Steel Wheels” sia più “rilassato”. Forse troppo.

Precious Love (Dt: 6:39) – Dal punto di vista oggettivo è la cover di un classico firmato Jerry Butler (titolo esatto: “For Your Precious Love”). Da quello personale, l’esclusione di questo brano dall’lp sarebbe il primo motivo per odiare gli Stones, se non ne avessero offerti – nel tempo – altri mille per amarli. Su un’atmosfera da ballo del liceo, un’interpretazione vocale di Jagger da brivido e un coro da antologia, modello “Thru’ and Thru’”, a metà tra cameratismo maschile e poesia, in cui i nostri sibilano “I’m so surprised / I didn’t realize / That You Were Fooling Me”. Forse la più avvolgente outtake di sempre, dopo quella “You’ve Got It Made” mai finita su “Voodoo Lounge”. Averla lasciata fuori è l’immagine dello spreco allo stato puro, compiuto probabilmente per non alterare gli equilibri tra i generi presenti sull’album.

Ready Yourself (Dt: 3:45) – Uno strumentale dall’identità indefinita. Non una ballad, non un brano che affonda i canini nella giugulare dell’ascoltatore, non un lento, non funky, non disco. Niente. Riporta alla mente alcune cose sentite nelle sessions parigine a metà tra anni settanta ed ottanta, ma non merita altro che lo status di leftover.

Sad, Sad, Sad (Dt: 4:00 - Vu: 3:35) – La lavorazione del pezzo è pressoché ultimata. Mancano i fiati a sottolineare i versi dalle parti di “I get a cold thrill”. Mick prova ad infilare, nel ritornello dopo l’assolo, un “Bad, Bad, Bad”, ma la rima con il titolo del brano è stucchevolmente baciata. Tentativo bocciato.

Slipping Away (Dt: 5:38 - Vu: 4:30) – Il testo resta da completare in alcuni punti (o Keith non lo ricorda?), ma per il resto ci siamo. I fiati si notano appena e nel mix dell’album saranno molto più presenti. Potere a Chris Kimsey.

Terrifying (Dt: 5:53 - Vu: 4:53) – E’ già presente, nei cori, l’effetto eco sul cantato che costituisce il marchio di fabbrica del brano. Anche l’assolo di tromba è già al suo posto. La differenza è però costituita da ricami di chitarra più audaci, destinati a farsi più educati in sede di pubblicazione. E dire che esiste chi continua a chiamare “ragazzacci” gli Stones…

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