Oasis - ''Heathen chemistry''
di: Massimo Giuliano
Il nuovo cd dei fratelli Gallagher come al solito delude le attese, ma meno che in passato. Se gli Oasis non fossero così spocchiosi, potrebbero anche essere accettabili. Diciamocela tutta: gli Oasis sono stati sopravvalutati. La band di Manchester non è sicuramente la sola ad aver recepito la lezione dei Beatles, eppure per diverso tempo è stata accostata ai fab-four con proclami che sapevano di magniloquenza: "I nuovi Beatles" è l’espressione con cui i Nostri sono stati più frequentemente indicati, da “Wonderwall” in poi.
Nonostante tutto, proprio “(What’s the story) Morning glory?”, il loro lavoro del 1996 che li consacrò a livello mondiale, è rimasto fondamentalmente una promessa non mantenuta: bei pezzi, belle atmosfere, begli spunti, ma gli Oasis dovevano ancora crescere. In occasione del disco successivo, “Be here now” (1997), ci fu addirittura chi lo presentò come “il loro Sgt. Pepper’s”… ma dove?! Quell’album non fu altro che una stanca ripetizione del loro precedente successo, e anche “Standing on the shoulder of giants” (2000), che mescolava confusamente pop e psichedelia, ci ha dato l’impressione di trovarci sempre di fronte alla “stessa pappa”.
Con queste premesse, era logico immaginarsi – dopo, oltretutto, un singolo come “The hindu times” – un’altra copia sbiadita di se stessi. E invece no: lo stucchevole effetto di “già sentito” stavolta è presente in misura minore. C’è, ma non si nota come prima. Il che non vuol dire che i fratelli Gallagher abbiano sfornato un capolavoro, anzi: continuano a rimasticare la musica che più hanno amato da ragazzini senza però rielaborarla con un loro tocco personale (come hanno fatto, per esempio, i Coldplay di "A rush of blood to the head"). Un merito però dobbiamo riconoscerglielo: l’album si fa ascoltare e riascoltare, grazie alle buone intuizioni anni ’70 che troviamo in “Force of nature” e “A quick peep”, alle belle sonorità acustiche di “Song bird” – uno dei pezzi migliori – e “She is love”, e alla psichedelia (ancora una volta, ahimè, in stile Beatles) di “(Probably) All in the mind”.
Difetti? “Stop crying your heart out” e “Little by little”, gli altri due estratti dal cd: il primo ha un ritornello che fa gridare “basta!” per via di quella linea melodica eccessivamente Oasis, il secondo ha una strofa interessante… peccato che ricordi un po’ troppo, nella struttura, “Breathe” dei Pink Floyd (ecco perché è interessante…)! Per non parlare dell’inciso, riguardo al quale vi rimandiamo a quanto detto sopra per “Stop crying your heart out”. Se gli Oasis non fossero così spocchiosi, potrebbero anche essere accettabili: il problema è che ogni volta presentano la loro ultima “fatica” come il disco del secolo, e purtroppo così non è.
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