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Interviste
Pubblicato il 11/06/2007 alle 17:46:50Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Dentro una rosa:la sensibilità di una cantautrice di classe, Mariella Nava

di: Ambrosia J.S. Imbornone

La sua sensibilità,il suo impegno sociale,la sua intelligenza.Oltre ogni ingiustizia e miopia della discografia italiana.Mariella Nava ci parla di Dentro una rosa, il suo nuovo album.

La sua sensibilità,il suo impegno sociale,la sua intelligenza.Oltre ogni ingiustizia e miopia della discografia italiana.Mariella Nava ci parla di Dentro una rosa, il suo nuovo album.

A gennaio Mariella Nava aveva lasciato tutti di stucco, dai suoi fan agli appassionati di musica leggera. Una sua lettera, diffusa attraverso la Mailing List Mezzaluna, denunciava le ingiustizie di un sistema che tarpa le ali agli artisti, privandoli troppo spesso della meritata e necessaria visibilità; ascoltarne l’eco, equivaleva a indignarsi e gridare vendetta, in nome di doti troppo spesso trascurate nel circo massmediologico quali la classe, la discrezione, l’eleganza, la serietà professionale di cui la Nava è portatrice non sana, ma affetta, con lo stile che da sempre la contraddistingue.
Per nostra fortuna, non si è data per vinta, grazie anche all’affetto dimostratole dai suoi fan, ed è tornata con un nuovo album, “Dentro una rosa”, uscito ad aprile su etichetta Nar International/Edel.
Il disco, con cui la cantautrice tarantina celebra i primi vent’anni della sua carriera musicale, è un delicato e coinvolgente viaggio emozionale, guidato dal profumo di rosa che impregna il prezioso package, per un’esperienza che avvolge pertanto anche il senso dell’olfatto, trascurato spesso dalla multimedialità contemporanea che privilegia la vista e l’udito. La meta è appunto dichiaratamente interiore, scende in profondità nel cuore delle donne, con grazia, dolcezza, passione, ma anche ironia. L’immagine che ancora una volta le canzoni dell’artista restituiscono è quella di autrice caratterizzata di sensibilità sottile, che penetra con tatto tra le pieghe della vita, osserva con non comune e personalissima umanità le piaghe della società, racconta l’amore con sensualità raffinata, come esperienza sublime e forza onnicomprensiva, come motore immobile di gesti e pensieri.
Dopo l’incontro alle Messaggerie Musicali milanesi del 7 giugno, sabato 9 Mariella è stato allo stadio di San Siro tra gli ospiti di Renato Zero nel suo “mpZero Tour”, che proseguirà con le tappe del 13 giugno a Firenze (Stadio Franchi), del 16 a Bari (Arena della Vittoria), e del 20 a Palermo (Velodromo).
Abbiamo parlato con lei del mondo della discografia, ma anche e soprattutto del suo ultimo ed emozionante disco di cantautorato al femminile. Vi invitiamo a leggerla, per un faccia a faccia che vi riveli una volta in più una donna che non si lascia ammirare per una scollatura o per qualche servizio piccante sulle riviste scandalistiche che la riguardi, ma perché ha un cervello e un cuore. E sa farne buon uso. Per accendere i nostri. Cervelli e cuori.

Ambrosia: So che le hanno fatto ormai mille domande in merito, ma penso sia ineludibile la partenza dalla sua lettera di gennaio. Mi permetta di premettere che se il panorama musicale non valorizza artisti del suo calibro, è davvero la prova che il sistema è malato e l’indifferenza o l’acquiescenza ad esso dovrebbe lasciar posto all’indignazione. Lei ha denunciato il circolo vizioso tra visibilità-promozione-concerti, evidenziando ciò che in troppi fanno finta di non vedere. Come si è arrivati a questo, secondo lei? Per la mancanza di una cultura musicale di base, la miopia dei discografici, la volontà di proporre prodotti asettici che non rischino di stimolare le intelligenze?

Mariella Nava: La causa può essere una somma di questi aspetti, nessuno escluso. Sicuramente c’è una mancanza di coraggio della discografia di proporre e difendere certe cose, aspettandone i tempi di maturazione, e la volontà di preferire prodotti usa-e-getta, con ritorni economici immediati. Questo è uno degli aspetti più responsabili. Però non bisogna dimenticare il nulla mediatico, che dà spazio solo alla musica di consumo immediato. Non vedo spunti mediatici utili ad un altro tipo di offerta musicale. Tutto questo pesa alla fine sull’andamento del mercato: ci sono dei finti successi, che non so quanto possano aiutare un mondo discografico che registra da anni una crisi senza inversione di tendenza, e dall’altra parte un impoverimento della gestione della nostra musica da parte nostra, che non possiamo condurre sempre battaglie senza esito e senza respiro. Io ho provato ad offrire me stessa e la mia musica, senza ridurla ad una facilità commerciale, attraverso canali importanti come Sanremo, che potessero essere veicoli significativi. All’Ariston ho proposto infatti brani come “Terra mia"(1994), "Mendicante"(1992), "Gli uomini" nel 1991, "Spalle al muro"[ndr:2° posto sempre a Sanremo 1991], su una tematica importante come quella degli anziani, affidata alla voce di Renato Zero. Tolti questi di spazi, resta ben poco. Per fare un esempio, non so quanta attenzione avrebbe potuto avere una canzone come “Ti regalerò una rosa” di Cristicchi passando da altri circuiti, radiofonici e televisivi. Ormai la gente si è abituata a concepire la musica come sottofondo, badando agli arrangiamenti e alle sonorità, e mai a quello che un brano dovrebbe comunicare, all’emozione che contiene, al suo valore specifico, alla costruzione formale della canzone, alla bellezza estetica, melodica, armonica…Tutto quello che costituisce una gamma un po’ più ampia di offerta non trova spazio: c’è un’univocità di proposte che non porta neanche a dei ritorni economici.

A: Lei è sempre stata un’artista di spessore, impegnata nel sociale nelle canzoni e nella vita (è stata anche testimonial di Amnesty International). In un’epoca di valori ribaltati, di vallette e vallettopoli, c’è il pericolo che la serietà professionale non paghi?

MN: Il messaggio che se ne ha è questo ed è molto grave. Quando si dice che bisogna dare messaggi positivi anche attraverso ai media, si dovrebbe pensare proprio a questo. Se c’è veramente chi controlla i messaggi contenuti nella pubblicità, nell’informazione, nei programmi del palinsesto televisivo e radiofonico, il messaggio che vede castrata la carriera di chi si impegna seriamente a dispetto della facilità di successo di modelli come le veline può provocare danni profondi, deformando e ribaltando i piani della vita. Capita nel mondo dello spettacolo che passi in secondo piano chi ha fatto l’accademia d’arte o di ballo rispetto a chi si è fatto strada e si è segnalato in un reality grazie alla prepotenza o alla volgarità, piuttosto che con il giusto uso del proprio carattere o l’evidenza della propria preparazione, di attitudini e prerogative. Si tratta di una lezione fuorviante che andrebbe corretta.

A: Per fortuna il pubblico (o in generale la cosiddetta “massa”) è in fondo più intelligente e progressista di quanto vorrebbero i suoi persuasori più o meno occulti

MN: Io ho la sensazione però che alla gente non venga però più fornito il mezzo per potercelo dire. Ho a volte il sospetto che le indicazioni dell’audience, tutto ciò che ci dicono testato e controllato, abbia poi un vizio di forma: non so quanto sia corrispondente a quello che è la realtà. Bisognerebbe rivedere questi campioni scelti: dove sono prese le persone che bocciano o approvano un programma?Si è perso il contatto diretto con chi dovrebbe dirci cosa piace e cosa è richiesto dall’altra parte: è un abuso, dal mondo televisivo a quello dello spettacolo.

A: Il testo de “La piazza” è particolarmente interessante a proposito di pubblico e masse: per parafrasare la citazione di Victor Hugo che antepone al brano, quali sono secondo lei le idee il cui momento ormai è giunto?

MN: Una di queste è proprio la necessità di restituire alla gente la possibilità di parlare e gridare ciò che pensa. Io sento le voci delle persone e raccolgo le loro frequenze, nella vita quotidiana, per strada, sui tram, ecc. ma subiscono uno stop e non arrivano alle istituzioni: sono strumentalizzate e usate in maniera sbagliata. Una delle urgenze che ho indicato in questo disco è ad esempio la revisione della legge sull’eutanasia. Credo sia urgente: si tratterebbe proprio dell’ascolto di una preghiera…

A: A proposito di questo argomento e quindi di “Fade out”, che fa riferimento al caso Welby, cosa l’ha colpita di più della sua storia?La prigionia del corpo, l’accanimento terapeutico, l’impossibilità per l’individuo in casi come questi di scegliere quando la vita per lui è ormai conclusa?

MN: Sì, è proprio questo che mi ha colpito: se è vero che la vita è un dono, una volta che ci è donata diventa nostra. In quella condizione la sensazione è che non ci fosse più niente di veramente suo. Chiunque sia il protagonista, avverte un grande attrito tra una vita sospesa artificialmente e una non-vita vissuta da dentro.

A: L’album “Dentro una rosa” in alcuni brani scende anche nel profondo del cuore delle donne. Partiamo proprio dalla canzone omonima [ndr: che racconta la storia di una ragazza mediorientale a confronto con il padre e le sue tradizioni, da cui cerca di allontanarsi per vivere una vita “sua”]: quanto può essere difficile per una donna decidere o cambiare il proprio destino, autodeterminandolo, in luoghi diversi dal nostro, come nel nostro mondo occidentale?

MN: Ci sono vari strati di difficoltà, a seconda delle culture e delle società. C’è ancora tanto da fare: siamo ancora a metà del viaggio, dobbiamo combattere ancora troppi soprusi e chiusure mentali; ci sono ancora tante conquiste da fare. Anche se siamo avvantaggiate rispetto ad altre donne, non dovremmo andare avanti da sole, ma tirarci dietro le donne che devono raggiungere ancora alcune conquiste già presenti da noi: dare loro una mano è quanto ci darebbe ancora più forza.

A: Un episodio molto realistico e simpatico del disco è “Vita sui capelli”, in cui il suo piano dà vita ad un rock ‘n roll ironico e autoironico. Com’è nata questa canzone?

MN: E’ nato dall’osservazione di quello che accade in un salone che tutte frequentiamo, quando ci affidiamo alle mani sapienti di un esperto di capelli e di ciuffi che sa darci un’illusione di cambiamento. Consegniamo al capello qualcosa che è più in profondità, nel nostro animo: noi donne quando vogliamo cambiar vita, partiamo sempre dai capelli. Poi ho notato che nella storie delle tendenze le mode si sono sempre accanite sui capelli, dall’Illuminismo ad oggi, con i punk degli anni ’80 all’attuale nostalgia degli anni ’70: gli uomini ora si fanno ricrescere le basette e i capelli, quando fino a qualche decennio fa si rasavano per comodità…e perché cadevano!Quello che succede in un salone poi è molto divertente, perché le donne appaiono tutte nevroticamente in attesa di qualcosa: entrano e guardano l’orologio, pronte poi a rivendicare di essere arrivate a una certa ora…!E’ interessante guardare con che espressione si guardano allo specchio, se sono soddisfatte o critiche, e magari si accaniscono contro Giancarlo [nrd: Baldestein, hair stylist nominato nel brano]…Tutte queste sfumature mi sono divertita a comprimerle in una canzone.


A: “Gli ultimi” è un brano molto delicato dedicato invece agli immigrati. Secondo lei perché si ha tanta paura di chi viene nel nostro paese spesso davvero disarmato e impotente, senza possedere nulla?

MN: Probabilmente c’è un aspetto anche un po’ freudiano in tutto questo, perché sono storie che abbiamo vissuto anche noi. Siamo stati e siamo gli ultimi rispetto qualcun altro, quando siamo andati in Svizzera, negli Stati Uniti e siamo stati anche noi gli avventurieri verso nuovi lidi e storie di vita, nuove speranze. Non vogliamo rispecchiarci negli immigrati e riportare a galla questo passato e ci ostiniamo a non integrare e a fare muro. Dovremmo anche sentirci onorati da chi popola le nostre città, dando un loro contributo umilmente, anche dedicandosi ai mestieri più umili e faticosi. Io credo molto nella commistione di culture, che è una forma di evoluzione e di conservazione di certe cose nel vivere dell’umanità. Le migrazioni di massa fanno parte della storia. I loro movimenti sono come quelli del vento: a seconda delle correnti favorevoli o contrastanti, il viaggio ha una maggiore o minore durata. I venti che sospingono questi movimenti vengono spesso da E verso W e da S verso N: ne siamo stati partecipi noi e ora lo sono noi. Inoltre a fronte degli immigrati di cui leggiamo le storie nelle cronache più negative, ce ne sono tanti altri che non fanno notizia ma che sono indispensabili nella società. Dobbiamo avere il buon senso di notarlo e farlo notare.


A: Nei ringraziamenti c’è anche Karol Wojtyla per la canzone “La strada”: ce ne vuole parlare?

MN: L’incontro con lui, stringergli la mano, mi ha dato molta energia. Inoltre ho visto nel suo ultimo segmento di vita quanta forza avesse per seguire la sua vocazione e il cammino deciso per lui. Io per prima, nel mio momento buio, ho fatto leva su questa immagine. Capita di non trovare più forza nelle gambe e risollevarsi, ripartire, ritrovarsi può anche essere molto bello. Woityla dava di continuo questo insegnamento, come figura umana, al di là del credo. Per questo ha avvicinato tanti giovani…


A: Il disco ha molti momenti carichi di un pathos struggente e drammatico, grazie agli arrangiamenti d’archi, alle linee melodiche malinconiche, ecc. Ha mai pensato di utilizzare le sue abilità di autrice anche per dei musical?

MN: Sì, ci ho pensato, ma sento questa forma non aderente alle nostre tradizioni. E’ una mia personale opinione sul genere, ma mi sembra qualcosa di più americano…L’operetta faceva parte della nostra cultura, mentre il musical secondo me è una forma più ibrida. Mi attira maggiormente l’opera filmica: mi piacerebbe molto collaborare con un regista e fare della colonna sonora una derivazione del film, condendone la storia con la musica. Confrontandomi invece con il genere teatrale-musical, forse non mi troverei bene, ne soffrirei…

A: Circolarmente, un’ultima battuta sulle pecche che corrodono lo star-system. Questo disco è un nuovo esempio di cantautorato al femminile. Secondo lei in Italia ci sono pregiudizi nei confronti di determinati cantautori, anche di pari bravura e rigore classico, o il cantautorato è un mondo maschilista?

MN: La storia racconta che gli uomini sono stati numericamente di più. Non so perché, non so se dipende da chi deve compiere certe scelte e stabilire chi deve cadere nel baratro (ahimè tra questi c’erano spesso le sfortunate donne!), oppure se dipende da una paura di venire allo scoperto…Io l’apertura e l’ascolto l’ho avuto, sia da parte degli addetti ai lavori che da parte del pubblico, però oggi questo discorso non riguarda solo il cantautorato al femminile, anche se per forza di cose, essendo già numericamente ridotto, è ancora più sofferente e depauperato. Il problema è che non c’è più l’attenzione verso il contenuto. Chi deve riempire i palinsesti, ha paura di confrontarsi con i numeri degli ascolti e con la pubblicità…La musica è stata relegata nell’ultimo angolo del nostro sottofondo di vita e ci siamo disabituati ad ascoltare quello che racconta. Quando tornerà “sopra-fondo”, allora i cantautori potranno tornare a vivere di sorrisi!Se la frase che ci mettiamo dentro ed impegna una buona fetta della nostra esistenza, perché sentiamo l’esigenza di consegnare ad un verso un senso o un aspetto poetico, non è più ascoltata, perché hanno la priorità i bpm, i battiti per minuto, è tutto un parlare vano. Un cantautore vive di frasi!

A: La ringrazio, perché quando si fanno delle domande, non si sa mai che tipo di riscontro si avrà dall’altra parte ed è un piacere trovare tanta sensibilità e profondità. Le faccio tanti auguri: continui a lottare, perché questa è la musica che vale.

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