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Interviste
Pubblicato il 14/10/2012 alle 14:21:54Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Fabio Zuffanti (autore del libro O Casta Musica), confessa ... Sono un frustrato con gli attributi!

di: Gianni Della Cioppa

Un musicista italiano innamorato del prog rock scrive un libro dove attacca la discografia e tutti i suoi perversi meccanismi, sapendo con certezza che verrà odiato dai paladini di Vasco, Ligabue e non solo. E si scatena l'inferno.

Un musicista italiano innamorato del prog rock scrive un libro dove attacca la discografia e tutti i suoi perversi meccanismi, sapendo con certezza che verrà odiato dai paladini di Vasco, Ligabue e non solo. E si scatena l'inferno.

Un lunga chiaccherata perche' e' lunga la sua carriera, ma anche il modo in cui si muove e' variegato...

Fabio Zuffanti da oltre due decenni si è costruito una solida reputazione come musicista di matrice progressiva, con numerosi progetti (La Maschera di Cera, Finisterre, Höstsonaten e molto altro). Non ha mai smesso di sperare che in Italia le cose potessero cambiare, vedere ciò un pubblico più ricettivo a stili diversi, scoprire una discografia capace di muoversi su più piani di condivisione e radio capaci di trasmettere musica di più generi. Quando ha verificato l’impossibilità di tutto ciò, si è chiesto perché e sono nate così tante domande ed infinite risposte. Ed è bastata una sua lettera pubblicata dal sito di Repubblica, per scatenare un putiferio di reazioni. Quella lettera è stata poi postata da più blog e le repliche, a favore e contro, si sono moltiplicate. È nata così l’idea di ampliare i contenuti e quella lettera è diventata un libro O casta musica (Vololibero), che non ha smesso di alimentare discussioni, a favore e contro. Un libro dove Zuffanti attacca la discografia che alimenta denaro per i soliti dieci artisti famosi, per i dj che non hanno nessun tipo di coraggio, se non trasmettere musica di chi paga la pubblicità. Un assalto frontale che non risparmia le cover band, i talent show, le scuole musica e persino il mondo indie. A questo punto approfondire l’argomento con l’autore del libro è diventata un’esigenza anche fisica. Ma è tutto da buttare?

Scrivi nel libro, ed io condivido, che negli ultimi trenta anni il “berlusconismo” ha appiattito la cultura in Italia, riportandola allo stato primitivo e questo dazio l’ha pagato anche la musica. Quindi un legame politica-cultura che anche i recenti scandali di amministratori corrotti, incapaci di formulare una sola frase in Italia corretto, confermano ed amplificano. Ma come se ne esce da questo cul de sac? Io credo che ci rappresenti la gente che abbiamo scelto. Insomma l’italiano non è tanto diverso dalla gente che lo governa.
Assolutamente no! Michele Serra qualche giorno fa scriveva che il Fiorito di turno non è altro che l'italiano medio che incontriamo ogni giorno dal lattaio, al bar, dal salumiere. Non si tratta più di una classe politica che in qualche modo si eleva al di sopra del cittadino e, servendosi della sua saggezza e cultura, cura gli interessi di tutti, ma semplicemente di ladri analfabeti e pure fessi che pensano solo alla propria tasca e al proprio benessere. Quando si mettono ignoranti di tal guisa al potere non ci si può aspettare nulla di diverso. Facile a questo punto dire “si ma tanto l'Italiano medio è ladro!”, in realtà è vero ma anche no. Nel senso che sicuramente c'è tra i nostri simili chi ha nel DNA l'arte di farla franca con raggiri di ogni tipo (però almeno una volta erano più intelligenti, ora si fanno beccare subito. O meglio, quelli intelligenti restano al potere e mandano alla forca gli stupidi), ma in Italia l'onestà, la cultura e l'arte e non sono caratteristiche scomparse, anzi. Io tra le mie amicizie e conoscenze sono circondato da persone di questo genere e basta farsi un giro nelle librerie o in qualche social network per capire che non siamo solo un popolo di deficienti. Una buona metà del nostro paese è però in mano all'ignoranza più abissale, al soldo di gente che non sa cosa sia un libro (o che al massimo legge Fabio Volo), che non va al cinema, che non ha un hobby e non si interessa di nulla. Per queste persone la divinità è rappresentata dalla tv. Un Berlusconi, avendo fiutato una situazione del genere, da' in pasto a questo tipo di persone le sue televisioni e il “patto con gli italiani” è fatto! Alla fine a gente del genere basta esaltarsi davanti a due vecchi rincitrulliti che ballano grottescamente a “Uomini e donne”, grasse risate e stop. E guai a portare via loro programmi del genere. Guai a dire che sono stronzate! Tutto via a colpi di “si ma la gente semplice vuole questo” “non sono mica tutti intellettuali” “ogni tanto c'è bisogno di farsi due risate in santa pace”, “sei uno snob” e via dicendo. Il problema è che fintanto che penseremo che bisogna fare tutto per la gente “semplice” o che “non capisce” non se ne uscirà mai! Questo riguarda la nostra società e di conseguenza anche la musica. Tutto quello che passa nei media importanti passa per compiacere una fetta di pubblico ignorante. Ignorante a volte per scelta, a volte per circostanze. E che non avrà mai la possibilità di fare uno scalino in più per mitigare tale ignoranza. Capisci bene che non si può continuare così. Però fa comodo a molti. Le cose devono rimanere così perché sennò si romperebbero degli equilibri pazzeschi di potere, anche a bassi livelli. Sono di ritorno da un convegno al MEI di Faenza dove uno stimato giornalista dopo avermi detto che lui comunque ascolta del sano rock progressivo, mi ha messo letteralmente al tappeto impedendomi di dire anche una parola e scolpendo sulle tavole di marmo la seguente legge: “Non esiste, non esisterà e non DEVE esistere la democrazia in musica! Chi è bravo emerge, chi non è bravo a casa. Inoltre se sei bravo lo devi dimostrare entro i 20 anni di età, se arrivi a 40 e ancora ci provi sei un povero sfigato illuso e coglione”. Nota bene, io prima di questo sciagurato intervento stavo parlando del fatto che è tremendo che solo la peggiore musica pop abbia ampie vetrine e altri generi no, mica stavo dicendo che TUTTI i musicisti devono emergere anche se non hanno talento. Ma tant'è il personaggio in questione ha usato foga e rabbia per dirmi la sua e zittirmi, non curante di ciò che avevo appena espresso. E queste cose me le ha dette uno che in privato poi ascolta certa musica. Ma allora perché le dice? Sai che esiste un certo tipo di musica, la ascolti pure e sai che a questa viene puntualmente negata visibilità, ma allora perché dici ciò che dici? Difendi la musica che ami, cavolo! No. E la cosa terribile sai qual è? Che il pubblico in sala simpatizzava con lui. A queste sue parole è partito l'applauso. Un pubblico di ascoltatori di musica alternativa, gente che va al MEI, mica fan di Laura Pausini. Lì allora capisci che chi sta al potere è un osso duro, ma osso ancor più duro è il cittadino che è pieno di preconcetti e che alla fine è schierato dalla parte del più forte. Perché? Perché fa figo dire che altri sono sfigati e mettersi nella posizione di chi ha capito tutto della vita. In realtà non hanno capito niente e mi auguro che qualcuno venga a dir loro che devono svolgere il proprio lavoro, qualunque esso sia, entro i 20 anni altrimenti sono dei perdenti.

Nel tuo atto di accusa e confessione allo stesso tempo, parli di quattro DJ che tengono in scacco la musica in Italia. Io voglio i nomi e poi semplicemente ti dico se sono d’accordo o meno e casomai ne aggiungo qualcuno anch’io.
Se vuoi dei nomi direi sicuramente Cecchetto e Linus, due amanti sfegatati della dance music più becera che chiaramente hanno imposto in tutti i modi e maniere i loro gusti al pubblico.

Senza tanti giri di parole sappiamo tutti che certi nomi (Ligabue, Pausini, Ramazzotti, Zucchero e compagnia bella), in radio ogni giorno non possono mancare e con più passaggi. Questo avviene perché le case discografiche pagano e spingono questi artisti. Ma io ti chiedo: se un miliardario decide di pagare e di promuovere la musica del figlio che suona jazz rock, o prog sperimentale o black metal e dice: pago il triplo, ma dovete passare questa musica nelle ore di massimo ascolto. Secondo te i grandi network accetterebbero per denaro di inondare il pubblico di musica “diversa”?
Mi viene in mente quel tipo, Alfonso Luigi Marra, che pubblica in proprio romanzi non so di che genere e che ha pagato - immagino - fior di milioni per farsi pubblicità in tutte le più famose emittenti televisive usando una serie di personaggi famosi. Uno così è l'esatto emblema di quello che tu chiedi, ma come vedi non è che per questo, al di là di una effimera celebrità più per presa in giro che altro, i suoi libri siano arrivati in classifica. Il problema è che per essere nel sistema devi essere parte del sistema. E il sistema accetta pochi nel suo club esclusivo. Quindi se ci fosse il figlio del miliardario probabilmente in cambio di tanto danaro il suo pezzo lo passerebbero ma non avrebbe lo stesso trattamento dei “big”, cioè sarebbe sempre un po' una cosa freak. E diventerebbe famoso non in quanto bravo musicista, ma come la “cosa buffa” che tuttavia dopo poco tempo, a meno che non continui tutta la vita a pagare come una banca, verrebbe rimossa e dimenticata. Perché cose del genere devono essere rimosse e dimenticate perché il sistema continui a girare imperterrito. Diverso il discorso sarebbe se il potente dj di turno decidesse che è ora di far cambiare un po' aria alle persone e quindi di sua spontanea volontà cominciasse a pompare in maniera pazzesca un musicista un po' diverso dal solito; questo magari ha successo e scatena una nuova moda di musicisti “strani”. Questo sarebbe il massimo. Rimangono i Ligabue & C. ma anche gli “strani” hanno una fettina di visibilità nelle radio. Una volta questo succedeva, si badava anche agli ascoltatori dai gusti un poco più raffinati. Ora no, se fai pop (becero), hai la major e altre cose che ti sostengono, altrimenti non esisti! Pensa solo a un pezzo come ”Per Elisa” di Alice. Ma ce lo vedi il festival di Sanremo attuale far vincere una canzone del genere o la radio e tv a passarlo? Una roba da film di fantascienza. Sai cosa bisognerebbe fare? Organizzarsi tra tutti quelli che sono stufi di questo andazzo, scendere nelle piazze e protestare di brutto come protestano operai e altre categorie. Un movimento di ascoltatori e musicisti che pretendono un maggiore rispetto per l'arte; ANCHE altra musica nei canali dei media nazionali e urlare ai quattro venti la nostra indignazione! Ma in un paese come il nostro, dove tra un po' si pensa che non serva a nulla nemmeno scioperare per le cose serie, figurati scendere in piazza per cavolate tipo la musica. La gente è pigra, è disillusa, è rincitrullita da discorsi tipo quello dell'amico a Faenza. E SOPRATUTTO non si vuole schierare con gli sfigati! Non c'è nulla per cui valga la pena di combattere. Al limite ci si può lamentare (l'arte del lamento fine a se stesso per l'italiano è qualcosa di imprescindibile) ma più di tanto...

A pagine 43 fai una considerazione bellissima, che ho sempre pensato anch’io: abbiamo gruppi fantastici, come il BMS, PFM, Orme ed altri, che hanno davvero reso grande la musica italiana nel mondo e che ancora oggi sono considerati all’estero come dei veri artisti. Tuttavia in Italia li abbiamo lasciati morire nel disinteresse, preferendo montagne di musichetta insignificante che oggi non ricorda più nessuno, se non Carlo Conti quando fa i suoi programmi di nostalgia, dove chiama tutti a rivivere tre minuti di gloria, in mezzo a ragazze mezze nude ed un pubblico di ventenni che ancheggia e finge commozione. Oggi invece queste band storiche vivono una terza giovinezza e la loro musica è ancora viva ed ha sfidato il tempo. Ma secondo te chi ha vinto l’arte o il business?
La PFM gira perché fa il tributo a De Andrè (bastaaaaa!!!), Orme e BMS suonano per i nostalgici che nel '73 avevano 18 anni. Ogni tanto c'è anche qualche giovane ai loro concerti. ma succede perché hanno un padre, un fratello, un amico che ha raccontato loro che nell'era mesozoica questi gruppi facevano una musica particolarissima e - colmo del mistero - avevano successo e riempivano teatri e palasport, quando non stadi. I giovani, affascinati da tale leggenda, vanno a vedere ed effettivamente si trovano innanzi a una musica che sembra uscita fuori da qualche tunnel spazio-temporale. Se non proprio ottusi o fan del Liga, ne rimangono affascinati e a volte scatta l'amore. Ma per chi non ha un fratello o un padre che sia disposto a tramandare la “leggenda” per via orale come si fa? Non si fa! Del resto non esistono trasmissioni serie sui media più popolari (a parte qualche radio che fa revival dove passa di tutto un po') o monografie sui grandi della musica (su Albano invece ci sono special periodicamente ma d'altronde si sa, bisogna accontentare i gusti delle persone “semplici”), quindi ci si becca quello che passa il convento e si vive con la convinzione che Vasco sia il rock in Italia. Questo perché a molti giovani piacciono le radio e tv popolari, non quelle sfigate via digitale o web. E nei luoghi popolari di musica “strana” non ne passa, quindi... devo risponderti se ha vinto l'arte o il business?

Ho apprezzato molto il fatto che tu non rifiuti a priori la musica leggera o altri generi, chiedi solo parità di trattamento, ovvero che venga trasmesso dalle radio ogni genere e poi sarà il pubblico a scegliere. Ma questo atteggiamento è ingenuo, in fondo il business ha scelto sempre il cavallo vincente, cambiando di volta in volta la musica su cui puntare. Oggi forse c’è un autentico monopolio di musica immondizia, fatta per durare poche settimane e nessuno tra i nomi famosi punta a qualcosa di più che non a scrivere canzoncine carine e nulla di più. Insomma il Battisti che rischia e pubblica “Anima latina” non ci sarà davvero mai più? Tu lo definisci “il coraggio perduto”.
Io non rifiuto nulla. In una società equa dovrebbe esserci spazio per musiche leggere e pesanti. Che poi i massimi rappresentanti della musica leggera in Italia non mi piacciano è un mio problema. Il mio discorso verte sul fatto che nei media nazionali più importanti, a parte rarissimi casi, solo la musica leggerissima ha spazio mentre altri generi vengono relegati nella nicchia. Tra l'altro a proposito della nicchia, sempre nel famoso incontro a Faenza di qualche giorno fa una gentile rappresentatore del pubblico a un certo punto ha fatto una riflessione dicendomi: “Se io consumatrice di prodotti biologici voglio i semi di lino sono felice di trovarli solo nella botteguccia che tiene prodotti di nicchia e non all'Ipercoop”. Giusto ragionamento ma è visto solo dalla parte di chi acquista, magari al produttore dei semi di lino farebbe piacere se i suoi prodotti avessero più visibilità. Quindi al musicista può anche andare bene avere la sua nicchia e muoversi all'interno di essa (io ad esempio nella mia nicchia del prog sono assai conosciuto, i miei dischi vendono e ci sopravvivo pure), ma non credo che sia giusto accontentarsi e lasciare i “big” al top sempre e comunque e tutti gli altri nella nicchia in eterno. E chi è nella nicchia, ricordate, oggi come oggi non ha NESSUNA possibilità di salire qualche gradino in più. Sarebbe ora, anche solo per un discorso di dare al pubblico italiano più materiale per sfamare le menti oramai atrofizzate, che si proponessero in tv e in radio in contesti e orari “popolari” anche cose più difficili, come si faceva una volta. Magari sarà un 20% ad apprezzarle ma quel 20 % è humus fertile per fare crescere una società più equa. Ora viviamo in una sorta di lager dove c'è spazio per tutto solo in teoria, in pratica la nicchia resta nicchia e i big restano big. Sul discorso “Anima latina” è presto detto. Non è che non ci potrà più essere qualcuno che produce un'opera innovativa e fuori dagli schemi come l'album di Battisti, il fatto è che se lo produce un rappresentante della musica indie rimarrà sempre confinato nella nicchia indie quindi se ne accorgeranno in pochi. Che possa venire dai “Big” invece sarà impossibile. Cavolo, ricordo nel 1985 Ramazzotti che fece uscire un album con un pezzo di 11 minuti (“Musica è”). Pazzesco, Ramazzotti! Lì c'era ancora la voglia di dire “Do al mio pubblico i pezzi facili ma ci piazzo in mezzo anche qualcosa di più complesso che mi rappresenti in toto e dia alla gente la possibilità di apprezzare anche cose più particolari”. Ora invece il Ramazzoti sforna le sue solite cose da anni e gli va bene così. Però io mi chiedo, ma uno come lui, che magari in fondo vorrebbe fare anche dischi più complessi (lo ricordo dire che “The lamb...” dei Genesis era uno dei suoi favoriti) non si pone mai il problema di essere diventato unicamente una macchina per far soldi senza potere avere la minima possibilità di esprimere il pizzico di arte che ha dentro? Sarò ingenuo ma avendo guadagnato fiumi di denaro, togliti lo sfizio e fai una cosa diversa, apri la mente alle persone, dai degli stimoli, esprimiti realmente per quello che sei.

Un altro tema che affronti con decisione è quello delle cover band, che come me ritieni in parte responsabili del degrado culturale della musica in Italia, visto che si limitano ai soliti nomi di successo e fa sorridere che dei ventenni si sentano alternativi perché rifanno qualche canzone dei Led Zeppelin. Ma penso che questo fenomeno è la dimostrazione che alla fine il pubblico vuole sentire sempre le solite dieci band. Tu cosa vuoi aggiungere?
Guarda, credo che in ogni caso, indipendentemente dal nostro pensiero, il fenomeno delle cover band non si esaurirà tanto in fretta. E' un settore remunerativo, chi suona si diverte, il pubblico è contento, quindi la risposta è chiara. Per assurdo dovrebbero essere i locali ad impedire che tali formazioni si esibiscano accettando solo band con musica originale, oppure il fenomeno non avrà fine, purtroppo. Poi diciamolo, c'è cover e cover. Tu citi il caso della cover band dei Led Zeppelin, come io ti posso citare una degli Yes. In questo caso, in mancanza di radio e tv che propongano una sana storia del rock, forse si fa anche opera di educazione musicale e magari i giovani ascoltatori possono avere la possibilità di conoscere questi mostri sacri del passato. E poi di cover band citate ne girano relativamente poche quindi diventa realmente un qualcosa che può anche avere un senso “educativo”. Il grosso problema è la tonnellata di gruppi che suonano Vasco, Liga, Queen. Ma ce n'è veramente bisogno? Non bastano gli originali ad ammorbarci? Anche i Queen, d’accordo gli originali non si possono più sentire per ragioni manifeste ma che palle! A me i Queen non hanno mai fatto impazzire ma più o meno qualcosa l'apprezzavo; dopo la morte di Mercury non se ne può più, Queen in ogni dove, tributi a non finire. Un po' come con de Andrè.

Un altro capo di accusa è legato ai talent show ed alle scuole di musica, che indicano solo un percorso dove la tecnica è tutto, e si tralascia emozione, istinto e personalità. Infatti dici che tutti cantano come Giorgia e Alex Baroni, con queste voci sparate finto soul, una cosa a mio avviso disturbante, pensa che mi da fastidio anche solo vedere queste cantanti sempre con la bocca spalancata, pronte solo ad urlare. Io dico che non abbiamo bisogno di cantanti, ma di autori, arrangiatori, di professionisti capaci che consigliano, producono e che stimolano la creatività dell’artista, non di professorini che ti dicono dove migliorare la voce. Se ne viene fuori in qualche modo secondo te?
Sono assolutamente d'accordo con te, c'è bisogno di emozione, non di tecnica a ogni costo. Di bravi autori che abbiano voglia di osare e andare oltre il giro di do, di cantanti che sappiano apprezzare e proporre le finezze di una voce sussurrata e non solo le urla sguaiate. Come scrivo nel libro la colpa secondo me è solo in parte dei cantanti; si tratta spesso di giovani con zero cultura musicale o con il minimo sindacale indotto da quello che passa in radio e tv. Vedono tutti cantare come Aretha Franklin e tutti a fare Aretha Franklin. Poi vanno nelle scuole di canto dove promettono fama e danaro se ululi come una sirena di ambulanza e quindi il cerchio si chiude. La gestione di queste scuole è in mano a gente che di musica ne sa solo a livello teorico ma come ascolti è ferma a Giorgia e alla Pausini. Questo è un danno pazzesco per le menti di questi giovani e per lo sviluppo di una possibile cultura musicale in Italia. Insegnami a cantare come Giorgia ma non solo, fammi anche capire che ci sono diversi modelli di espressività, non uno e un unico. Proporrei che chi vuole aprire strutture del genere dimostri di essere dotato di mente aperta e cultura musicale altrimenti non apri la scuola. Punto.

Verso la fine del libro, prima delle lettere che indirizzi a vari artisti vivi e defunti, e delle interviste ad alcuni addetti ai lavori (Molto interessanti, nda), allarghi il raggio e dici che anche nel mondo indie c’è una sorta di casta, con sola differenza che non c’è denaro e quindi ci si muove per mance, favori ed amicizie, una situazione ancora più triste e squallida. Ma, ti ripeto, la cosa non mi sorprende, siamo italiani.
Il mondo indie è quantomeno strano e oscuro. Faccio un esempio, ho un mio disco da presentare. Il mio nome è ben conosciuto in un certo ambito quindi una presentazione sarebbe a molti gradita. Vado alla Fnac e chiedo di poterlo presentare, così come accadeva fino a un paio di anni fa. “Impossibile”, mi rispondono, “abbiamo cambiato politiche e le presentazioni le fanno solo i big”. Va bene penso, la solita mafia delle major. Poi esce un disco di un'etichetta indie fighetta ed ecco che l'artista di tale etichetta fa il giro delle Fnac. Ora, sono io che non ho capito come gira il mondo o c'è qualcosa che non va? Perché alla Fnac (che tra l'altro sta per chiudere quindi sparo sulla croce rossa) non ascoltano i prodotti e poi decidono in base alla validità della proposta se può presentare il disco o no? No! Eppure arriva l'etichetta indie fighetta e le porte si spalancano. Comunque la cosa non riguarda solo la musica, lo sto vedendo ora con il mio libro. L'editore sta provando a proporre una presentazione da Feltrinelli. Impossibile, solo se mi porto dietro un personaggio conosciuto. Ma perché? Quello che voglio dire diventa più interessante se ho un personaggio famoso vicino? Credi che il popolo gregge verrà solo se il nome è importante? Si ma allora smetti di vendere libri e di fare cultura, diventa un ipermercato e falla finita. Il problema in Italia è che è tutto finto, falso. Ovunque ti muovi senti discorsi del genere, tutte le porte si chiudono. Ci vorrebbe un ariete per buttarle giù queste porte e tanta ma tanta gente dovrebbe andarsene a casa.

Quando ho letto il tuo libro ho pensato: ma perché non l’ho scritto io? Perché ci ha pensato un musicista? A conti fatti credi che il giornalismo musicale faccia parte di questo meccanismo di dare e avere che rimescola sempre i soliti nomi o qualcosa si salva?
Ho scritto questo libro mettendomi dalla parte dell'ascoltatore e dell'appassionato di musica, cosa che sono da sempre, cercando di vedere le cose meno da musicista e più da fruitore. Chiaramente il “lato musicista” di me è spesso uscito allo scoperto ma credo sia giusto che un libro del genere sia stato scritto da uno tipo me che è un ultra-fanatico ascoltatore, ma è anche un musicista con una sua storia alle spalle, una piccola notorietà in un certo ambito senza essere una superstar e che ha quindi una sana voglia di indignarsi e lottare. Credo e spero di avere dato una visione 360 gradi dei problemi mettendomi anche nell'ottica di tanti miei simili, sia a livello di ascolti che di professione. Chiaro, se il sasso che ho lanciato verrà seguito da tanti altri sassi sarebbe molto bello, si creerebbe realmente un movimento di giornalisti, ascoltatori, musicisti, eccetera, che pensa e dice come stanno le cose senza peli sulla lingua. A quel punto veramente si potrebbe pensare a un inizio di cambiamento. Io voglio credere che i giornalisti siano persone oneste che parlano col cuore di quello che a loro piace. Chiaro, se ne leggono tanti anche molto bravi che scrivono sempre dei soliti ma conosco una marea di giovani dalle menti aperte che fanno tutto il possibile per cercare di parlare di chi merita e non solo di chi viene loro imposto. Anche qui si tratta di fare venir a galla questa nuova generazione di giornalisti e mandare a casa i vecchi che oramai hanno delle idee fuori dal mondo reale.

Ultima ed inevitabile domanda. Per tanti il tuo libro è stato solo l’atto di un frustrato che invidia il successo di artisti famosi. Chi ha un minimo di intelligenza ed apertura mentale sa che non è così, ma tu cosa ti senti di dire a questi difensori della musica dei padroni?
Come al solito molta gente invece di guardare la luna si sofferma sul dito che la indica, facendo pure notare se ha l'unghia sporca. Il fatto che io sia frustrato, invidioso e tante altre cose non dovrebbe essere un problema di chi legge. Il problema è quello che sto dicendo, non i motivi oscuri e personali per cui lo sto dicendo. So di stare antipatico a molti per quello che dico e so che moltissimi pensano di me che io sia frustrato. Il gioco carino a questo punto sarebbe dire “Si è vero, ho scritto perché sono frustrato e invidioso” così almeno chi lo pensa direbbe “Ah! visto avevo ragione?!” si prende il suo contentino e magari può anche leggere più tranquillamente e capire se il succo di quello che scrivo è valido, indipendentemente dal fatto che io sia frustrato o no. Quindi faccio pubblica ammenda e lo scrivo formalmente: “Sono frustrato, invidioso e anche un poco depresso del successo di Ligabue mentre io sono vecchio, sconosciuto e senza talento”. Ora che ti ho detto ciò caro lettore, che il tuo ego è stato soddisfatto dal vedere quanti poveri idioti come me ci sono al mondo e quanto invece tu hai capito tutto della vita, puoi leggere in armonia il mio libro e capire se dico stronzate o meno?

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