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Pubblicato il 16/12/2005 alle 12:20:39 | |
Franz Ferdinand - You Could Have It So Much Better (Domino, 2005)
Geniali? Ruffiani? Gli irresistibili Franz Ferdinand con la loro ritmica fulminante e un’ironia fuori dal comune hanno conquistato il mondo della musica e sono pronti a conquistare Milano, Firenze e Bologna.
Geniali? Ruffiani? Gli irresistibili Franz Ferdinand con la loro ritmica fulminante e un’ironia fuori dal comune hanno conquistato il mondo della musica e sono pronti a conquistare Milano, Firenze e Bologna.
Giunti alla loro seconda prova discografica, dopo il clamoroso boom di popolarità ottenuto con il primo album omonimo, cosa dimostrano di essere i Franz Ferdinand? Smaliziati contaminatori delle più accattivanti formule della musica commerciale?Strenui difensori, nonché dotati esponenti dell’entertainment puro? Può darsi. Eppure appellativi del genere non dovrebbero suonare per loro offensivi, perché, per fortuna, in un panorama musicale sovraffollato di pseudo-divi pronti ad ergersi a miti di inarrivabile genialità, almeno loro non si prendono sul serio. Persino il pop rigurgita icone trash che non esitano a proporre brani imbarazzanti come capolavori di tutto rispetto, ma Alex Kapranos e soci, no, non fanno sul serio. Si divertono a divertire. Anche in questo disco difatti il quartetto di Glasgow elargisce progressioni ritmiche vertiginose, manciate di robusta ironia, crescendi elettrizzanti e ricchi di un’energia irresistibile e danzereccia. Sintomatica è stata la scelta della frivola “Do You Want To” come singolo di lancio: prima di una concitata e trascinante outro, il pezzo snocciola e mescola spavaldamente frasi al limite del non-sense, orecchiate al più classico dei party. La trascrizione musicale e verbale della leggera ebbrezza festaiola è perfetta. I Franz Ferdinand si presentano d’altronde davvero come un bel gruppo stiloso ed estroso, in grado di utilizzare alla meglio il linguaggio delle immagini, eppure non sono bellimbusti vagamente effeminati da copertina, né eccedono in un look troppo eccentricamente glam. Non sono nemmeno brutti, o particolarmente sporchi e cattivi: persino quando fanno qualche fugace cenno alle droghe, non aleggia su di loro un’aura maledetta. Identificarsi con questi every-men è quindi piuttosto facile e naturale. Allora il segreto del loro successo potrebbe essere la capacità di rispecchiare in modo piano ed efficace una certa gioventù spensierata e un po’ libertina?No, i FF vanno oltre. Nel loro primo disco c’erano gli ingredienti strettamente indispensabili per scatenare il diabolico meccanismo della fascinazione ritmica: gli ascoltatori erano stati così sedotti dal ritmo indiavolato di brani immediati e fulminanti. In “You Could Have It So Much Better” c’è di più di qualche tormentone usa-e-getta. La produzione di Rick Costey e della band è sontuosa e precisa. Si è persa un bel po’ di orecchiabilità, ma la contropartita sono divertenti coretti brit-pop, qualche sapiente tocco di Hammond degno di famose colonne sonore e in genere accurate stratificazioni di suoni. Persino i pezzi più acustici hanno un sound ricercato e ben poco ingenuo. Permangono invece, per la gioia dei bassists-wanna-be, i micidiali riff di basso, in evidenza come in una learner’s guide. Il citazionismo del gruppo intanto è ormai diventato cronico e costante: ecco quindi che Alex Kapranos (voce e chitarra), Nick McCarthy (chitarre e tastiere), Bob Hardy (basso) e Paul Thomson (batteria) giocano ad indossare molteplici sonorità vintage come fossero realistici costumi per un corteo storico. Gli illustri predecessori a cui possono essersi ispirati sono una caterva. C’è un tributo al glam-rock (vi ricordate i R.E.M. di “The Wake-Up Bomb”, che strizzavano l’occhio a “Velvet Goldmine”, prodotto tra gli altri proprio da Michael Stipe?), in particolare a David Bowie, che non a caso si sarebbe complimentato in passato con i quattro ragazzi, dopo aver assistito alla loro veloce ascesa nel mondo della musica internazionale; si intravede tra il lusco e il brusco l’anima graffiante del punk, nella scatenata “This Boy” vibra lo ska tipico di un gruppo pre-Franz Ferdinand di Kapranos, gli Amphetameanies, mentre nel groove della camaleontica e travolgente “I’m Your Villain” si sente una non inedita eco di dance, ma qualcuno potrebbe persino giurare di averci visto il fantasma di una “Another One Bites the Dust” dei Queen. Al delizioso basso un po’ sommesso del John Deacon dei seventies, ma soprattutto agli struggenti brani piano e voce scritti da Mercury si riallaccia più chiaramente d’altronde la bella “Fade Together”. Già, perché, udite, udite, in questo disco i FF non si fanno nemmeno mancare le ballate. Kapranos ha infilato infatti nell’allettante pacchetto del disco anche una spremuta di cuore per la sua ragazza, “Eleanor Put Your Boots On”, che forse ha un testo un po’ maldestro e insipido, ma risveglia senza dubbio il beatlesiano che sonnecchia nel cuore di ogni appassionato di musica, inglese o meno che sia. Quasi si stenta a credere infatti che questo pezzo non sia il trascurato lato B di una “You’ve Got to Hide Your Love Away”; d’altra parte qualcosa da nascondere anche questo gruppo ce l’ha. Non facciamoci ingannare dalla spruzzata di allusività a buon mercato che condisce i testi. Le apparenze quasi “carnevalesche” esorcizzano la paura della solitudine, della fragilità emotiva, dell’imperfezione e dell’insoddisfazione, da cui si cerca di fuggire rifugiandosi nelle notti brave dei club. I versi dei Franz tentano di ostentare un’impermeabilità ironica, cinica e orgogliosa nei confronti della sofferenza, ma qui e lì è evidente un po’ di fatica nel trattenere le lacrime (“I’m figthing not to cry”, recita precisamente “You’re the Reason I’m Leaving”). E’ questo anche il mood sostanziale dello splendido secondo singolo “Walk away”; non si pretende che la recita possa funzionare per davvero: i sentimenti contraddittori che avevano costituito già l’anima dell’originale “Auf Achse” diventano così il cuore di “Well That Was Easy”, che sfoggia i bei cambi di ritmo ormai marchio di fabbrica della band e un’accelerazione rock, potente come una staffilata. I testi dei FF hanno acquisito spessore e certi versi particolarmente indovinati mostrano una ricchezza poetica inattesa (cfr. “Evil and Heathen”, l’iconografia religiosa della traccia di apertura, “The Fallen” e la vaga polemica sociale della title-track). E’ vero, non si perdona a questo gruppo di non crogiolarsi nella malinconia claustrofobica, ossessivamente introspettiva di un certo rock più profondo e sofferto, o, meglio ancora, di un indie molto osannato, popolato da giovani emaciati dall’aria un po’ sfigata. I Franz Ferdinand probabilmente soffrono troppo poco e ogni tanto sono troppo cool per apparire “alternativi”. Però costituiscono un’alternativa ai tipici artisti dell’indie iper-sperimentale sempre molto post (rock e non solo), di cui costituiscono appunto anche un alter-ego più gioviale e disincantato. Sul palco o sul carrozzone colorato del rock, loro recitano la loro parte, mostrandoci apertamente, divertiti, il loro copione e nel frattempo sdrammatizzano le tante, solite angosce e i disagi esistenziali contemporanei. Non chiediamo loro di essere seri, come loro non ci chiedono di essere presi troppo sul serio. Non chiediamo loro di cambiare la storia della musica. Non ci hanno promesso in fondo nient’altro che divertirci e girls (and boys) just want to have fun. Sometimes.
Le tappe dei Franz Ferdinand in Italia:
17/12/05 Feltrinelli Libri e Musica, piazza Piemonte, Milano
(signing session,ore 13:30)
17/12/05 Mazda Palace, Milano
18/12/05 Saschall, Firenze
19/12/05 Paladozza, Bologna
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