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Recensioni |
Pubblicato il 30/10/2002 alle 12:09:20 | |
ZZ Top a Milano – Domenica 27 Ottobre
Novanta minuti di riff scolpiti nella storia del rock blues
Come uscire sul palco di fronte ad un pubblico selezionato e conoscitore attento del tuo repertorio e farlo felice?
Alla domanda che tutti i gruppi con una lunga e gloriosa storia, fatta di qualche decina di album e classici da non dimenticare, si pongono prima di ogni infinito tour, specie se in città dove non tornano da anni, gli ZZ TOP hanno risposto con una track list di provata solidità. Questo volevamo, questo abbiamo avuto.
Un po’ come montare in sella ad un vecchio custom Harley con motore Shovelhead: sai benissimo che è tutta una vibrazione, che la frizione ti piegherà i tendini, che la strumentazione è ridotta al necessaire e che il solito piegone-Jap ti sorpasserà al primo curvone: ma le sensazioni e il rombo sono impagabili!
Ecco che i 90 minuti secchi di puro rock ZZ TOP, preceduti da un set essenzialissimo e tutto blues old style del buon Fabio Treves, hanno dato ad un pubblico non numerosissimo ma molto caloroso presente al Pala Trussardi-Vobis-Tucker (indiciamo un referendum per dargli un nuovo nome o sponsor prima di cadere nel ridicolo!) esattamente tutto quello che si sarebbe atteso.
Incorniciati in una scenografia minimalista , con qualche lustrino e dei cactus a ricordare il loro Texas, i nostri hanno snocciolato Tube Snake Boogie per iniziare, la sincopata e classicissima I Thank You per continuare e poi via senza troppi fronzoli con I’m Bad I’m Nationwide, Tush, Beer Drinkers & Hell Raisers, Jesus Just Left Chicago, l’immortale La Grange e ovviamente Gimme All Your Lovin’.
Unica nota stonata l’inserimento in scaletta di quello che ritengo il brano meno riuscito dell’intera discografia del trio texano, la mielosa Rough Boy. A molti ha spezzato il ritmo nelle gambe, e a proposito di ritmo, se il duo di barbuti vive sul palco un’intesa musicale e una complicità di atteggiamenti evidente e inossidabile, molti dei presenti si stanno ancora chiedendo se il batterista fosse in realtà un replicante, non avendo infatti dato segno di emozione alcuna e imperterrito al punto da sembrare un impiegato del catasto intento a presentarti una pratica: sarà l’assuefazione che dopo 30 anni di onorata carriera avanza, ma un pizzico di coinvolgimento o di approvazione verso il pubblico non avrebbe guastato.
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