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Pubblicato il 08/08/2007 alle 13:17:18
Tao: il suo Love Bus, James Dean e il rock ‘n roll
di Ambrosia J.S. Imbornone
Da domani il cantautore milanese girerà la riviera romagnola a bordo di un pulmino per rivivere un po’ la Summer of Love del ’67. A settembre sarà nei negozi il suo nuovo disco,"L'ultimo James Dean".Ecco cosa ci ha raccontato quel bel tipo di Tao

E’ un bel tipo Tao. Non nel senso che è bello (pure lo è), ma nel senso che continua a confermarsi fuori dagli schemi. Cantautore, polistrumentista, poeta e produttore, da domani girerà la Romagna a bordo di un pulmino per portare il suo rock ‘n roll sulle spiagge e nelle piazze estive. Trovata pubblicitaria? Non si può dire di no, la promozione serve inevitabilmente a tutti gli artisti, ma non si tratta solo di questo. Il cantautore milanese, il cui nuovo album, “L’ultimo James Dean”, sarà nei negozi di dischi a settembre, dopo essere sbarcato già nei negozi di musica digitale, nutre un amore sincero e personalissimo per la musica e le atmosfere del passato. Così, eccolo sulla scia della beat generation o degli hippie ad inondare le località della riviera con la sua energia. Tao è cresciuto a pane e Beatles, tra le hit dei Rokes e lo struggente intimismo di Luigi Tenco. Ha come modelli vocali Bono e Jeff Buckley, ma non si colloca in correnti, non segue mode specifiche, riversa la sua individualità sulla sua musica, suona chitarra elettrica, acustica, basso e batteria. Si sente “un ritardatario cronico nel capire come funziona il mondo”. Che sia anche questo che lo trasporta di continuo verso le immagini e le sonorità del passato? Di sicuro è questo che lo rende quanto meno particolare.

Ambrosia: Come mai hai pensato di realizzare un tour itinerante con tanto di pulmino anni ’70 e ragazzi vestiti da hippie? Cosa ti ha ispirato e fatto venire in mente quest’idea così scenografica e, per così dire, cinematografica?

Tao: Ho sempre amato lo scenario della beat generation e lo spirito degli anni ’60 e ’70…così, a quarant’anni esatti dalla famosa Summer of Love del ’67, ho pensato di celebrare il mio folle amore per la Musica promuovendo in modo decisamente vintage il mio secondo disco in uscita, “L’ultimo James Dean”…cioè suonando dentro il TAO Love Bus in viaggio per le strade e per le spiagge della Romagna!

A: Il tour toccherà solo la riviera romagnola?

T: La riviera romagnola ci è parsa da subito una meta estiva obbligata. Oltretutto adoro la Romagna e ogni pretesto per me è buono per girarla, anche se questa volta in un modo assolutamente diverso dal solito… Ma terminata l’estate, l’idea è quella di estendere la TAO Love Bus Experience a città come Milano, Bologna, Firenze, Ravenna, Roma: tutte mete dell’amorevole e amorosa invasione del rock ‘n’ roll di TAO!

A: “L’ultimo James Dean” è un titolo quanto meno “impegnativo”: come mai hai deciso di dedicare il tuo album in uscita, già disponibile in versione digitale, al divo di “Gioventù bruciata”?

T: Il titolo di questo disco è per metà una provocazione e per metà una metafora: qualcuno ha sicuramente pensato “e questo qui crede di essere davvero un nuovo James Dean?” Ovviamente non posseggo né la bellezza né il successo di un tale mito…In realtà la cosa che ho sempre adorato di Jimmy Dean è che ha sempre recitato sé stesso, mettendo in ognuno dei tre film che ha girato un pezzo della sua tormentata vita. Ed è quello che ho fatto anch’io con questo disco nel quale ho trattato tre temi che mi stanno molto a cuore: la vita, la morte e l’amore...

A: Com’è nata la collaborazione con Alberto Fortis?

T: Ho suonato per due anni in tour con Alberto come chitarrista solista: un grande privilegio ed una grande esperienza. Da qui è nata una profonda stima e ammirazione reciproca sfociata nella sua ospitata al piano e alla voce in “Spirito del Rock”. E’ stato davvero incredibile vedere Alberto scatenarsi con l’energia di un ragazzino in questo sanguigno rock ‘n roll: con quell’aura da sciamano non ho avuto dubbi…Attraverso di lui sono entrato in contatto direttamente con il grande Spirito del Rock!

A: In “Nessuno ti ama per quello che sei” esprimi l’insoddisfazione per la tendenza di tanti a non cercare di comprendere quel che gli altri veramente sono, ma a giudicarli per la maschera che indossano o per l’etichetta, talvolta molto impropria, a loro appioppata. Musicalmente sembri molto indipendente da limiti di generi ed emulazioni: è molto difficile per te, come persona ed artista, essere amato per quello che sei?

T: E’ sempre difficile essere amati per quello che si è, ma è un diritto e insieme un dovere. Mentire agli altri equivale a mentire a se stessi. La paura di essere esclusi ci porta ogni giorno ad indossare maschere anche molto diverse tra loro. Nonostante il titolo decisamente negativo e perentorio, in realtà il messaggio di fondo della canzone è positivo: c’è sempre qualcuno che ti accetta e ti ama per quello che sei, a volte basta semplicemente aprire gli occhi e te lo ritrovi di fianco…

A: Come mai avete girato il video di questa canzone alle Officine Meccaniche?

T: Volevamo un’atmosfera che rievocasse i vecchi studi televisivi degli anni ’60, quindi quale location migliore delle Officine Meccaniche di Mauro Pagani? Poi il regista Davide Enrico Agosta ha saputo dare quel calore che in quasi tutti i video attuali secondo me manca. La ragazza manichino che ad un certo punto prende vita è una metafora di ciò che spesso accade nella vita: colei che viene vista come un mero oggetto dalla stragrande maggioranza delle persone è invece qualcosa di vivo e prezioso.


A: Il tuo sito ha una ricca sezione video molto interessante. Quanto pensi conti sapersi proporre anche attraverso la forma d’arte dei videoclip, che coniuga immagini e musica, vista e udito, in tempi di multisensorialità sempre più netta?

T: Penso conti molto…è vero viviamo nella multisensorialità ma viviamo anche (almeno nella musica) in un periodo dove ci sono budget scarsissimi per girare video. Bisogna far frullare le idee in testa e non fermarsi ai limiti del portafoglio Almeno questo è il mio personale punto di vista…

A: Tra i videoclip del passato, mi ha colpito in particolare il divertente e realistico “L’Ultimo”[n.d.R. in cui Tao arriva in ritardo al suo matrimonio!], che ha una fotografia e una regia da telefilm americano che lo rendono ancora più avvincente: ti senti ancora in guerra contro il tempo?e l’ultimo a prendere coscienza delle realtà spiacevoli?A volte si arriva tardi agli appuntamenti col destino e con la verità?

T: Si, mi sento ancora un ritardatario cronico nel capire come funziona il mondo…ma è anche vero che arrivare tardi non è sempre uno svantaggio. A volte perdere un treno è un bene, quello successivo può essere in realtà ricco di grandi sorprese, così come essere un romantico perdente non è sempre un difetto. Poi credo che rimanere “l’ultimo” ti renda in qualche modo prezioso, ricercato.

A: Il video di “Quello che tu vuoi” ha atmosfere beatlesiane, l’album d’esordio si intitolava “Forlìverpool”…Che rapporto hai con la musica dei FabFour?

T: Sono cresciuto a pane e Beatles…i quattro baronetti hanno segnato la mia infanzia e hanno costituito una sorta di “imprinting” per la mia crescita musicale. Per me la musica dei Beatles rappresenta un classico, qualcosa che non passerà mai di moda (come tutte le cose di valore), un modello da seguire: musica che piace a tutti, sia all’ascoltatore medio che all’intenditore, sia al “canzonettaro” che all’alternativo.

A: E’ vero che tra i tuoi modelli di riferimento conti anche Tenco e Morricone?

T: Assolutamente si! Adoro Tenco, trovo che sia attualissimo e per questo ancor più rimpianto: mancano figure come lui, capaci con un linguaggio assolutamente diretto e sincero di toccare le profondità dei sentimenti più intimi. Per quanto riguarda il mio folle amore per Morricone, beh…basta ascoltare “Senza Anima”, “Sarò sempre qui” o la stessa “L’ultimo James Dean” per capire quanto gli sono debitore…

A: Hai scritto di amare le sonorità vintage, ma di non appartenere ad alcuna corrente vintage. Hai fatto anche una cover molto coinvolgente di “Che colpa abbiamo noi” dei Rokes: hai un rapporto molto personale con la musica, l’immaginario, la rabbia del rock ‘n roll storico…Che ci dici a questo proposito?

T: Ho amato “Che colpa abbiamo noi” fin da bambino. Ricordo che l’ascoltavo da solo nella mia cameretta mentre i miei genitori litigavano e volavano sberle…Mi sentivo solo e impotente, parte di un’ideale folla di incolpevoli vittime delle incomprensioni degli adulti. Credo che non sia casuale che il mio primo amore sia stata la batteria, uno strumento col quale puoi buttar fuori tutta la rabbia che hai dentro con una facilità estrema. Poi diventando grande ho preferito incanalare la mia rabbia cantando e scrivendo canzoni…ma non mi sono dimenticato di “Che colpa abbiamo noi” ed ho voluto battezzare la mia carriera proprio con questa struggente, epocale canzone…

A: Tu sei un polistrumentista: il tuo primo strumento quindi è stato la batteria?

T: Sì, la mia prima batteria era costituita da barattoli del caffè e fustini del detersivo! Ricordo che suonavo sui dischi dei Beatles e dei grandi successi degli anni ’60 della Rca italiana. Ho una nostalgia immensa di quel periodo: ero solo un bambino ma avrò distrutto una quantità infinita di matite…Per forza, le usavo come bacchette!

A: Infine, una domanda banale, ma necessaria per i lettori che non conoscano ancora la risposta: come mai hai scelto il nome d’arte Tao?

T: Sono sempre stato affascinato dal taoismo e dal simbolo dello yin-yang (con tutti i significati annessi). Il nome TAO poi significa “movimento, cammino, andare”. A questo punto, per coerenza e per tenere alto l’onore di questo nome d’arte che porto, non potevo che propormi al pubblico suonando in movimento lungo le strade della riviera adriatica a bordo del TAO LOVE BUS!!!

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