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Recensioni |
Pubblicato il 27/05/2007 alle 19:21:52 | |
Alessandro Bratus - Le canzoni di Syd Barrett (Editori Riuniti)
A circa un anno dalla scomparsa del geniale artista esce per la collana "Pensieri e parole" di Editori Riuniti l'ottimo libro "Le canzoni di Syd Barrett" a firma dell'esperto Alessandro Bratus, che vanta già un volume sui Pink Floyd.
"Oh, vorrei che tu fossi qui...". Così Roger Waters, l'amico di sempre, il co-fondatore di quell'immensa macchina psichedelica chiamata Pink Floyd, si rivolgeva in una delle sue più belle canzoni a Syd Barrett, l'anima del gruppo, il geniale pifferaio matto che traghettò
il rock verso le sponde pericolose della psichedelia. A circa un anno dalla scomparsa del geniale artista esce per la collana "Pensieri e parole" di Editori Riuniti l'ottimo libro "Le canzoni di Syd Barrett" a firma dell'esperto Alessandro Bratus, che vanta già un volume sui Pink Floyd. In questo testo vengono analizzate tutte le canzoni di Barrett sia con i Pink Floyd che nella breve avventura solista. Syd,
giovanissimo e talentuoso chitarrista e cantante, era già perso alla causa della musica. Bruciato dagli "acidi" Lsd. A meno di 24 anni l'addio al mondo del rock business, poi solo silenzio fino alla morte avvenuta a 60 anni. Ma chi era Barrett, il "Diamante pazzo", come Waters lo ribattezzò in un'altra splendida canzone? A 14 anni, già talento precoce, la prima chitarra, con cui compone allucinate
canzoni jazz e blues. Proprio dai due bluesman preferiti, Pink Anderson e Floyd Council, Syd conia il nome del gruppo che ha messo insieme, con Waters, Mason e Wright, nella natia Cambridge: sono i Pink Floyd. E' il 1966, i primi singoli sono uno shock per la musica inglese. Soprattutto il secondo "See
Emily Play", che ha un discreto successo di vendite e nel quale
c'è già tutto Barrett: frasi musicali tortuose e oscillanti in un ritmo sempre incerto, che esplodono in melodie perfette, di cristallina bellezza. In un locale londinese, l'Ufo, i Pink Floyd si producono in esibizioni incredibili: è lì che Syd
inventa il "Light Show". Il successo vero arriva con il primo album, "The Pipes At The Gates Of Down", nel 1967. In piena epoca Beatles, con alle porte la rivoluzione del '68, il disco composto quasi totalmente da Barrett è un autentico capolavoro. La summa della musica psichedelica di sempre: testi intrisi di fiaba e sogno si sposano con melodie eteree, che paiono sospese su un baratro. Nove brevi gioielli, da "Matilda Mother" a "Interstellar Overdrive", da "Lucifer Sam" a "The Gnome". Un disco persino troppo avanti con i tempi, che ottiene comunque un grande successo e proietta i Pink Floyd sulle prime pagine delle riviste specializzate. Ma per Syd il successo vuol dire stress, panico
da concerto, nevrosi. La massiccia assunzione di Lsd, la cui capacità di rivelare i più reconditi lati dell'inconscio certamente ha giocato un ruolo nelle sue composizioni, minano una psiche già oscillante. Il leader indiscusso dei Pink Floyd
fa fatica a suonare in pubblico, scrive testi sempre più allucinati, spesso dice frasi sconnesse. E' l'anticamera della follia: il gruppo, preoccupato, lo sostituisce per i concerti con un giovanissimo chitarrista di nome David Gilmour. Di fatto, a 21 anni, Syd è già una scheggia impazzita. Nei concerti smette di cantare improvvisamente, o canta la stessa nota per lunghi minuti, perso dietro chissà quali ispirazioni. Nel successivo disco, "A Saucerful Of Secrets" del 1968, Syd firma un'unica canzone, "Jugband Blues", che dà l'aria dell'imminente addio. I Pink Floyd cercano di salvare la vena compositrice di Barrett, tentando di ritagliargli un ruolo puramente di scrittura, senza oneri sul palco. Ma il tentativo fallisce. Come fallisce quella sorta di "tutoraggio" con cui Gilmour accompagna l'ex leader nelle registrazioni di un paio di album solisti. Il primo, "The Madcap Laughs", è per la verità un altro
gioiello, in cui un Barrett fragile interpreta melodie ipnotiche e delicate, come "Octopus" e "Golden Hair". Segue un memorabile concerto all'"Olympia Theatre" di Londra, l'addio di Syd al suo pubblico. Nel 1970, l'album "Barrett" segna il
crollo definitivo: i dissidi tra Gilmour e Barrett sulla struttura dei pezzi (l'uno, già gelido professionista del suono, l'altro, incontrollabile creatore di melodie
impossibili) e le difficoltà di registrazione portano Syd dritto in ospedale psichiatrico. La diagnosi, instabilità mentale, suona come un epitaffio su un geniale artista. Barrett sparisce, i Pink Floyd, condotti per mano da Waters, diventano una band miliardaria, ma il ricordo del vecchio leader non
muore: nel 1975, durante l'incisione di "Wish You Were Here" dedicata proprio a lui, compare in studio come un fantasma un altro Syd. Grasso, calvo, con la busta della spesa, ascolta in anteprima il disco e dice ai compagni con un sorriso: "Mi sembra un po' datato, che dite?", lasciandoli attoniti e
commossi. Da allora, solo silenzio, in una tranquilla casa di Cambridge. Ancora nel 2005, durante al storica reunion dei Pink Floyd per il Live8, Waters gli dedicherà l'esecuzione di "Wish You Were Were": "Noi", disse al mondo Waters, "stiamo facendo ciò per tutti coloro che non sono qua, ma in particolare per Syd".
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