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Recensioni
Pubblicato il 25/08/2006 alle 20:33:05
Gianluca Grignani a Trani il 20 Agosto: le fragilità della normalità e l’energia pop-rock live
di Ambrosia J.S. Imbornone
Domenica 20 agosto il cantautore milanese ha convinto la platea di Piazza Quercia a Trani con il carisma della sua normalità, le sue fragilità di uomo, l’energia di arrangiamenti ben calibrati.

Domenica 20 agosto il cantautore milanese ha convinto la platea di Piazza Quercia a Trani con il carisma della sua normalità, le sue fragilità di uomo, l’energia di arrangiamenti ben calibrati.

Assistere ad un concerto di Gianluca Grignani è sicuramente sorprendente per chi ancora crede che egli sia la vittima predestinata di un narcisismo ribellistico che ne possa fare soltanto una venerabile icona per teenagers con gli ormoni in pericoloso corto circuito, nonostante il cantante milanese abbia cercato più volte di spiazzare i suoi detrattori con brani energici o sperimentali per dimostrare la sua stoffa di cantautore pop-rock. Chi si aspettava un bellimbusto compiaciuto di sé e bamboleggiante (o tutt’al più solo vagamente “vascheggiante”, in base alla sua dichiarata ammirazione per il Blasco), si è trovato davanti invece ad un concerto soprattutto molto (ben) suonato domenica 20 agosto nella suggestiva Piazza Quercia, davanti allo scenografico porto di Trani (sesta provincia BAT del nord-barese). L’apertura è affidata alle sonorità acide e alla tenebrosa linea di basso della tesa “Solo cielo”, tratta da uno degli album meno commerciali della sua carriera, “La fabbrica di plastica” (1996). La razionale laicità senza consolazione del testo, pur sospirosamente proiettato verso una religiosità altra, personale e indistinta, è già emblema dell’atteggiamento disincantato e schivo di Gianluca, incline alla riflessione su se stesso senza indulgere nei luoghi comuni, nella confessione aperta e lacrimevole o nel romanticismo più trito e stucchevole. D’altronde, per quanto sia sempre sembrato il classico bello e maledetto, Grignani non si illude, né si vanta di essere diverso dagli altri: si direbbe che il suo realismo scaltrito e disingannato lo porti di continuo a irridere i divismi e a sottolineare che il futuro del mondo è per fortuna in mano agli antieroi del quotidiano. Ecco allora che “Chi se ne frega”(dall’ultimo album “Il re del niente”), con un filo di semplicismo, esalta la concretezza della gente comune, che può cambiare la società facendo sentire la sua voce ed è speciale nella sua normalità, sebbene il voyeurismo dei reality vorrebbe cercare invece morbosamente stranezze o trasformare la vita di tutti i giorni in un fenomeno da baraccone. “Io sono come voi”, ripete più volte durante il concerto Gianluca, intimidito ed entusiasta ad un tempo della piazza gremita di spettatori; la fama per lui non santifica: “Splendido niente di un uomo che cammina (…) Sono il re del niente, vivo tra la gente ma non conto niente”, sintetizza nella title-track del suo ultimo cd, durante la quale fa salire sul palco alcuni fan in evidente visibilio. “Quello che succede nel mondo tutti i giorni è più simile a quello che capita a voi, che a quello che fanno le persone del mondo dello spettacolo”, dice Grignani, consapevole di come lo showbiz sia colmo spesso solo di vuota vanità e il successo sia spesso un mito enfatizzato dai media. Essere una star può voler dire infatti vivere da privilegiati e viziati, ma dietro la superficie appariscente può sopravvivere e sussistere invece la semplicità dell’Everyman: è il messaggio della rabbiosa “Rock star”, ricca di un’abrasiva carica brit-pop. Sono già passati 10 anni da quando è stata composta – ricorda il suo autore, ora trentaquattrenne: Gianluca nel frattempo è diventato anche papà, ma non sembra cambiato molto né il suo aspetto fisico, né l’ammirazione ossequiante dei fan, per quanto egli precisi che gli stessi umori siano stati da lui vissuti diversamente da adolescente arrabbiato e da uomo maturo. In tanti anni il segreto del suo successo sembrano proprio le sue quasi banali fragilità, raccontate con uno stile diretto e sincero, privo di fronzoli o idealizzazioni. La frase “Questa canzone l’ho scritta in un momento difficile” diventa così un po’ il tormentone del concerto, che ben rispecchia il mood dei suoi brani più celebri: è il caso per esempio dell’autobiografica “Falco a metà”, sulla voglia di librarsi al di sopra delle critiche sulle ali di una sofferta ma possibile indipendenza. Questo brano dal vivo si rivela di grande impatto, soprattutto grazie ad un bel solo di chitarra elettrica, che impreziosisce e allunga il finale della canzone. Altro brano-manifesto dallo stile asciutto e di sicuro effetto sul palco è la love-ballad “La mia storia tra le dita”, piccolo capolavoro pop degli anni Novanta, che Grignani interpreta con fresca intensità drammatica. I versi “mi vedi fare il duro in mezzo al mondo per sentirmi più sicuro” sono la presentazione che è tuttora garanzia della sua estrema umanità, che gli permette di coinvolgere e conquistare la sua platea. Altre carte vincenti sono appunto le sue doti di animale da palco e il sound pop-rock delle sue canzoni, che gli ha permesso di vincere tante sfide contro gli scettici. Presentando “Il giorno perfetto”, Gianluca ricorda infatti che c’era chi non credeva che potesse coniugare cantautorato e rock con un brano come questo, invece molto apprezzato dal pubblico; l’artista apre e chiude il pezzo alla tastiera e ne arricchisce il finale cimentandosi in vocalizzi e acuti notevoli. Vorticosa e trascinante è “+ famoso di Gesù”, che sfiora il grunge con un ritmo indiavolato, ottimi assoli di chitarra distorta e tastiere volutamente dissonanti e sghembe. Una coda strumentale psichedelica sfoggia invece “L’allucinazione”, incentrata su un realistico amore-ossessione-malattia, il cui potere “visionario” viene amplificato dalle luci che lampeggiano violente sulla scenografia a scacchi stile “optical”. Calibrate sono invece le pause voce e tastiera e le riprese di “Lacrime dalla luna”, durante la quale Grignani scende tra il pubblico e si arrampica sulle impalcature degli amplificatori, tra i cori dei fan, prima di una decelerazione del ritmo. Solo voce e chitarra è invece “Primo treno per Marte”, che con le sue profezie apocalittiche-ecologiste è presentata come un piccolo regalo per i fedelissimi che lo seguono fin dal disco di esordio del 1995. Una vera chicca è anche l’omaggio a Lucio Battisti, con la cover di “Anna”, che, come nella versione originale, si serve di un attento inserimento degli strumenti per alimentare l’attesa e il pathos degli ascoltatori, che un’interpretazione appassionata, vibrante e ruggente lascia sicuramente più che soddisfatti. Da brividi è anche l’emozionante “Che ne sarà di noi”, brano della colonna sonora del film omonimo di Giovanni Veronesi, per cui Grignani scrisse il testo su musica di Andrea Guerra. Gli spettatori infine cantano a squarciagola il singolo sanremese, “Liberi di sognare”, animata da un bel crescendo finale, con la batteria di evidenza, e le canzoni dell’encore, l’ironica e popolarissima “L’aiuola” e la tanto chiacchierata “Destinazione paradiso”: Gianluca non è un santo, non vuole essere perfetto e non è nemmeno il classico macho imperturbabile che i canoni maschilistici del rock vorrebbero farne, ma affronta senza auto-compatimento il dolore e gli smarrimenti del quotidiano e senza schermi o sofisticazioni scherza, urla, canta. E la sua spontaneità poco mediata e la sua energia trascinano il suo pubblico.

La band di Gianluca Grignani (voce, chitarra):
Luca Visigallo (basso)
Luca Meneghello (chitarra)
Diego Corradin (batteria)
Giacomo Castellano (chitarra)
Marco Baccaretti (percussioni)
Michele Fazio (tastiere)

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