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Pubblicato il 30/10/2009 alle 16:15:53
La notte e' un pazzo con le meches: ne approfittiamo per fare quattro chiacchiere con Sergio Caputo
di Alessandro Sgritta
In occasione del concerto romano al The Place dove ha presentato il suo nuovo disco live La Notte e' un pazzo con le meches, ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con Sergio Caputo, il cantautore che da dieci anni ormai vive negli Usa.

In occasione del concerto romano al The Place del 15 settembre scorso dove ha presentato il suo nuovo disco live "La Notte e' un pazzo con le meches", ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con Sergio Caputo (nella foto), il cantautore che da dieci anni ormai vive negli Usa.

“La Roma di oggi è incasinata come quella dei primi anni ‘80, con macchine più moderne, ma il casino è sempre quello”. Sergio Caputo vive ormai da ben dieci anni a San Francisco ma, ogni volta che torna nella sua città natale per una tournée, gli sembra tutto uguale a come era partito. Un po’ come la sua musica che, in un mondo dominato dalla tecnologia e da format come "American Idol", viene ancora proposta con lo stesso spirito artigiano di un tempo e la stessa capacità di divertirsi. L’autore di "Un sabato italiano" e di "Bimba se sapessi" è tornato in Italia per presentare il suo nuovo album live "La notte è un pazzo con le meches". Per l’occasione ha fatto un concerto spettacolo al The Place di Roma, cui hanno partecipato alcuni ospiti a sorpresa come il comico Max Tortora, il direttore del Tg3 Antonio Di Bella, il cantautore e conduttore di "Ho perso il trend", Ernesto Bassignano, gli emergenti Pierluigi “Piji” Siciliani (che ha pubblicato di recente con i Masquèra un disco omaggio a Caputo distribuito esclusivamente online) e Antonio Pascuzzo (dei Rossoantico) e persino il regista Michele Guardì. L’autore de "I Fatti Vostri", ispirato dalla serata di Caputo, ha annunciato l’apertura, nel suo programma di Raidue, di uno Spazio Caputo “in cui presentare al pubblico italiano quei personaggi che hanno delle eccellenze che vanno rispettate. Ti ringrazio per avermi dato la gioia di capire che esiste un mondo nel quale è piacevole vivere, nel quale chi fa il grande giornalista, la televisione e il grande attore si mette anche al piano per cantare” (ha detto Guardì a Caputo).

Questo tuo secondo disco dal vivo esce a 22 anni di distanza dal precedente "Ne approfitto per fare un po’ di musica". E’ un modo per fissare le idee in attesa di un nuovo lavoro?
Assolutamente sì. Innanzitutto ci tenevo a documentare questa attività artistica con la mia attuale band, che è stata il punto di arrivo di questi ultimi anni. E poi il disco dal vivo si è reso necessario perché mi capita di imbattermi in persone che, pur avendo tutti i miei vecchi dischi, non mi hanno mai ascoltato dal vivo. Quindi era per me fondamentale fissare su un album le emozioni e le atmosfere dei concerti.

Nel CD ci sono tutti i tuoi maggiori successi e un inedito. Com’è avvenuta la scelta dei brani?
Abbiamo seguito innanzitutto le richieste dal pubblico. Poi ci sono dei pezzi che considero fondamentali per la mia carriera. E infine c’è anche la componente della qualità. Ci sono dei brani che sono stati registrati ma non sono riusciti bene e quindi per questo sono stati esclusi.

Il titolo riprende una frase di una tua vecchia canzone "Anche i detective piangono". Perché “la notte è un pazzo con le meches”?
La frase mi sembra in linea con lo spirito dell’album. Infatti ci sono brani rubati e ascoltati a tarda notte. E poi rispecchia anche lo spirito letterario dell’album. Quanto alla frase, all’epoca capitava di fare spesso le 4 di mattina e ritrovarsi in locali dove c’era sempre uno che suonava il piano, scatenato e completamente andato. Poi erano anche tempi in cui c’era una cultura dell’immagine piuttosto bizzarra e abbastanza improponibile oggi.

Se non ricordo male però nel 2006 avevi realizzato "A tu per tu", una sorta di live chitarra e voce?
In realtà quello è più un album in studio ma registrato chitarra e voce come se io fossi a casa. In pratica ho cercato di mantenere un suono semplice e pulito come se io andassi a suonare direttamente a casa del mio pubblico.

Da dieci anni vivi negli Stati Uniti d’America. Com’è stato ricominciare da musicista in un paese straniero che ha dato i natali ai grandi della musica moderna?
In realtà credo che non ci sono grandi differenze. Sia in America che qui da noi ci sono le stesse cose, solo che lì sono ingigantite all’ennesima potenza. Anche lì ho una band di musicisti come quella italiana che mi accompagna nei vari concerti. Certo poi c’è un approccio diverso. Ad esempio negli Usa le radio sono impostate per format. Ci sono radio che vanno per genere e non per fasce di età. Così ti puoi ritrovare centinaia di radio pensate solo per chi ascolta solo rock anni ’70.

Proprio negli Usa hai pubblicato il tuo primo album strumentale di smooth jazz "That Kind Of Thing". Pensi che il tuo prossimo lavoro seguirà questa strada?
Il mio prossimo album lo vedo a metà tra questo stile strumentale e canzoni vere e proprie. Quel disco in effetti ha avuto un successo inaspettato.

Lo scorso anno è uscito per Mondadori il tuo primo romanzo "Disperatamente (e in ritardo cane)". Come mai hai sentito l’esigenza di passare dalla canzone alla narrativa?
Da una parte c’era una richiesta del pubblico, che voleva che raccontassi le mie storie. Infatti nel romanzo ci sono una serie di episodi che mi sono accaduti veramente. E poi perché era un’aspirazione che avevo da tanti anni.

Nel libro parli di questo “Trinkangolo delle Bermude” («il distretto immaginario i cui confini invisibili racchiudono piazza Navona, Campo de’ Fiori, Trastevere e Testaccio»). Ci puoi spiegare di che si tratta?
“Il Trinkangolo delle Bermude” rappresenta un gruppo di locali raggruppati nelle zone da te citate e dove noi trascorrevamo le nostre serate. Il Trinkangolo esiste ancora e quando torno a Roma e guido di notte mi diverto a fare lo stesso giro.

Ai tuoi esordi cantavi in "Vita dromedaria" della vita da single. Come ti rapporti oggi a quella canzone?
Erano ovviamente altri tempi. Devo dire che ultimamente mi sono ritrovato a vivere da solo per la prima volta dopo quasi 30 anni. E ho rivissuto e risperimentato quella dimensione lì, che è stata molto divertente.

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