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Interviste
Pubblicato il 11/05/2008 alle 23:59:20
Massimo Ranieri canta perché non sa nuotare… da 40 anni!
di Massimo Giuliano
Nel suo ultimo spettacolo “Canto perchè non so nuotare... da 40 anni” Massimo Ranieri canta, balla e recita raccontando tappe emozionanti della sua vita. L'artista partenopeo, insomma, è più attivo che mai. E noi lo abbiamo intervistato...

Nel suo ultimo spettacolo “Canto perchè non so nuotare... da 40 anni” Massimo Ranieri canta, balla e recita raccontando tappe emozionanti della sua vita. Non interpreta solo i suoi brani più famosi, ma anche i classici della canzone italiana. Il tutto, con un successo pazzesco. Segnaliamo, a tal proposito, il mese intero di repliche che l'artista partenopeo terrà al teatro Sistina di Roma dal 27 maggio al 27 giugno. Intanto beccatevi questa intervista...

Massimo, tu dici: “Canto perché non so nuotare... da 40 anni”. Ma come fa un napoletano a non saper nuotare?
«Eh eh, diciamo che con il tempo, invecchiando, ho imparato a farlo! A parte gli scherzi, tutto nasce da un disco che ho voluto realizzare per i miei quarant’anni di musica: ci ho messo tutti i miei successi, ma anche alcuni fra i brani d’autore più belli degli ultimi decenni. Alcuni li cantavo da piccolo tra i tavolini dei bar di Napoli, altri avevo sempre sognato di interpretarli. Poi è venuto lo spettacolo dal vivo, ed eccoci qua».

Tra gli artisti che hai voluto omaggiare figurano anche Franco Battiato e Mia Martini...
«Sì, di Battiato ho riletto “La cura”, mentre di Mimì ho reinterpretato “Almeno tu nell’universo”. Diciamo che ho scelto tra tutto ciò che mi emozionasse. Anche dal vivo è così. In scena con me, poi, ho voluto un’orchestra di sole donne ed un corpo di ballo sempre completamente al femminile: sono tutte persone straordinariamente sensibili».

Ti stai togliendo delle belle soddisfazioni con questo spettacolo: ovunque tu vada, fai il tutto esaurito. E dire che 20 anni fa, quando sei riapparso sulle scene, avevi faticato a rientrare nel giro...
«E' vero. A 24 anni ho abbandonato tutto: non ci credevo più, mi sembrava assurdo dover andare avanti rimanendo sempre legato ad una canzone di successo. Ero “stanco”, mi sentivo vecchio, volevo staccare la spina. Sentivo l'esigenza di fare nuove esperienze. Il problema fu che pensavo di poter rientrare dopo 10 anni, e invece ne ho trascorsi 20 rinchiuso nei teatri perché trovavo sempre la porta chiusa. Ma anche questo è servito».

Il pubblico, però, non ti ha mai abbandonato...
«Assolutamente. Alla fine rientrai sulle scene e vinsi il Festival di Sanremo del 1988 con “Perdere l’amore”. Bene, oggi ai miei concerti trovi la generazione “Rose rosse” e la generazione “Perdere l’amore”. Ancora più bello è vedere che ci sono la nonna, la mamma e la figlia. Mi piace pensare che ai concerti io mi ritrovi tra amici. Non è “il pubblico” che viene a sentirmi: sono degli amici veri e propri».

Cosa ne pensi della musica d'oggi?
«Credo che ci sia una grossa differenza rispetto al passato. Prima, quando si dava a qualcuno la possibilità di fare un disco, si perseverava anche se i primi album non vendevano tanto. Si dava, cioè, ad un cantante il tempo di crescere e maturare. Oggi invece, immersi sempre più come siamo in una società consumistica, dobbiamo “consumare” anche gli artisti. Se non fai centro al primo colpo, vieni fatto fuori. In questo modo, però, i giovani non hanno l'opportunità di esprimersi appieno».

Prima, insomma, erano altri tempi...
«Si agiva in maniera diversa. Veniva pubblicato un singolo, poi un altro, e, se era andata bene, arrivava il disco. Voglio dire, cioè, che l’album non usciva subito, come invece accade adesso. Credo fosse meglio così: il pubblico deve conoscere la tua storia, devi dargli il tempo di scoprirti. Non bisogna avere fretta. E poi c'è anche un discorso di “idoneità degli argomenti” da trattare nelle canzoni».

Cosa vuoi dire? Spiegati meglio!
«Faccio un esempio specifico: a me non volevano far cantare “Rose rosse” perché dicevano che non avessi l’età. All'epoca, infatti, ero molto giovane, e si chiedevano come potesse fare un ragazzino a cantare l’amore. Oggi invece si fa cantare agli artisti qualunque cosa, e non sempre questa è una scelta giusta».

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