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Interviste
Pubblicato il 10/04/2006 alle 09:05:10
Bill Wyman, da Stone silenzioso a Re del Ritmo
di Christian Diemoz
Un’ora con l’ex bassista dei Rolling Stones e l’intervista si trasforma in chiacchierata. Una parola tira l’altra e Bill regala ghiotte anticipazioni sul futuro della sua all star band (i Rhythm Kings) e sui video e libri di prossima uscita

Ai fan degli Stones, ma anche agli appassionati di musica in generale, Bill Wyman non lascia scelta. O lo si adora, o no. Provare indifferenza nei suoi confronti significa ignorare la musica (e la storia) della più grande rock’n’roll band del pianeta. Un’ipotesi decisamente poco credibile e, in quanto tale, da scartare a priori. Nonostante ciò, al Silent Stone (così veniva appellato nei suoi giorni rotolanti) va riconosciuta una virtù: il coraggio. Ad oggi, resta infatti l’unico artista ad aver osato sfidare Keith Richards, lasciando le Pietre nel 1993 contro il parere del pirata a sei corde, svelto (e minaccioso) nel ricordargli che “da questa band si esce solo con le gambe in orizzontale”. Eppure Bill, classe 1936, ha deciso che era ora di smetterla di rimanere prigioniero del cliché della rock-star, una vita a base di alberghi a cinque stelle e successi da classifica, si è chiuso la porta alle spalle (salvo riaprirla per qualche intervista al vetriolo) e se n’è andato, senza però smettere di rotolare. La sua ultima avventura musicale lo vede leader dei Rhythm Kings, una formazione di vecchie glorie britanniche (Albert Lee e Georgie Fame, solo per citarne alcune), il cui primo album risale al 1997. Chi scrive, è alla terza intervista in cinque anni con Mr. Wyman. Forse, è anche per questo che l’atmosfera, peraltro già distesa, si è presto trasformata in un’amabile chiacchierata, durata oltre un’ora. Il bassista non si è tolto qualche sassolino dalle scarpe (come ha fatto di recente su “The Guardian”, anche se ai promoters italiani e al regista del film “Stoned” fischieranno un po’ le orecchie), ma ha aperto a Musicalnews.com le porte del suo archivio, oltre a rivelare numerosi progetti futuri. Lo si può tacciare di incoerenza, per i giudizi non sempre felici sugli Stones (band alla quale deve successo e fama, in fondo), ma quest’uomo è evidentemente stregato dalla musica e da buona parte di ciò che le ruota attorno. Basta sentire, per convincersene, il modo in cui si abbandona a ragionare di collezionismo e parla della tournée nell’est europeo da cui è appena rientrato. Un fuoco interiore, vivo dai primi anni sessanta, che gli vale un vantaggio naturale di svariate lunghezze sul grosso degli eunuchi a sette note che, oggi come oggi, appestano l’fm.

Sei tornato da poco da un tour che ha portato i Kings in alcune ex Repubbliche Sovietiche e Jugoslave. La tua band scava alle radici della musica occidentale ed è difficile pensare che tutto ciò, nel tempo, abbia oltrepassato più di tanto la cortina di ferro. Che reazioni hanno suscitato i vostri concerti là?
“Assolutamente fantastiche e il bello è stato notare molti spettatori giovani, cosa piuttosto inusuale. Direi che metà del pubblico di quelle date era formato da teen-agers e ventenni. E’ stato davvero bello”.

Ti è sembrato che avessero una conoscenza puntuale dei brani da voi proposti?
“Penso che ad averli lasciati a bocca aperta sia stata la qualità della band. Sai, a volte suoniamo in posti in cui non siamo mai stati e non si aspettano un gruppo così valido. Però, ho riconosciuto anche molti fan che ci seguono abitualmente, viaggiando. Volti familiari, giunti dalla Germania, dalla Francia e da altri paesi”.

Molte volte hai parlato della tua banda come di una squadra di calcio, vista la possibilità – da parte tua, proprio come per un allenatore – di effettuare vari cambi nella line-up. Nella formazione che ha intrapreso il tour 2005-6 mancavano due elementi storici, Mike Sanchez e Giorgie Fame, ma erano presenti Chris Stainton e Andy Fairweather-Low…
“Sì, hanno sostituito chi è uscito, appunto…”

Per cui, niente piano, ma una tastiera e un’ulteriore chitarra. Quanto, questa situazione, ha condizionato la scaletta delle serate?
“Mike e Georgie, oltre a suonare, cantavano. Chris li rimpiazza molto bene, all’organo e al piano, ma non canta. Il fatto di aver perso due vocalist ha significato gli straordinari per il resto della band. In particolare, Beverley [Skeete] ha prestato la sua voce a una o due canzoni in più, Albert [Lee] lo stesso e io ne ho fatte due, anziché una, così come Terry Taylor…”.

Ferma tutto. Terry ha cantato? Non l’aveva mai fatto nei tour precedenti. E su cosa si è esibito?
“Down In The Bottom di Howlin’ Wolf, suonando anche la slide, e Ride With The Devil di Gene Vincent. Il pubblico l’ha apprezzato tantissimo, perché è stato davvero genuino. Inoltre, si è fatto carico dei cori dei pezzi cantati da Andy Fairweather-Low, in tutto quattro o cinque”.

E tu cos’hai cantato?
“Un brano Cajun di Clifton Chenier, intitolato All Night Long, già presente su Willie And The Poor Boys”.

Interessante. E l’altra canzone?
“Quella di Chuck Berry, You Never Can Tell”.

Il tuo cavallo di battaglia, direi. Leggendo le scalette del tour mi sono reso conto del fatto che avete cambiato il pezzo di apertura durante il tour. Alcune sere siete partiti con Soul Man e altre con You Can’t Sit Down. Quindi, possiamo considerare chiusa l’era di Let The Good Times Roll, iniziata nel 1998 e apparentemente destinata a durare per sempre?
“Sì, non puoi proporre la stessa cosa in eterno. Abbiamo cambiato l’’opener’ un paio d’anni fa. Avevamo deciso di aprire attirando l’attenzione su Georgie e, in seguito, su Chris Stainton, con una canzone per organo: ‘I got a woman…” [canta]. Ray Charles la faceva con l’Hammond, quindi abbiamo voluto suonarla nello stesso modo. L’abbiamo eseguita per un anno e ha funzionato benissimo, ma quando Georgie ha lasciato, l’abbiamo sostituita con You Can’t Sit Down, che funziona benissimo ancora oggi. E’ un bel brano, l’unico strumentale che abbiamo mai fatto”.

Il tour 2005-6 non ha visto date inglesi (i Kings hanno tenuto solo un concerto a Liverpool con Chris Barber, ma era una serata speciale, ndr.), sicché l’ultima volta in cui vi siete esibiti a Londra risale all’ottobre 2004, alla Royal Festival Hall, quando Ron Wood fu vostro ospite per vari brani. Suonerai presto di nuovo nella tua città natale?
“Sì, faremo un concerto ad aprile (si è tenuto il 6, ndr.)”.

Oh, una serata sola, o inserita in un tour?
“Una sola. Si tratta di un evento di beneficenza alla Royal Albert Hall, con ospiti speciali”.

Che ruolo avranno i Kings?
“Saremo la band residente [ride]. E’ sempre un bel complimento essere scelti per questo compito”.

Capisco a cosa ti riferisci. Mi vengono in mente lo show “One Generation For Another” del 2004 e il DVD del tributo ad Elvis. Due situazioni in cui avete interpretato quella parte…
“Sai, se propongo a Eric [Clapton]: ‘mi dai una mano a mettere su una serata per beneficenza?’, lui mi chiede ‘qual è la band residente?’. Rispondendogli ‘I Rhythm Kings’, ribatte semplicemente con ‘ok’. [ride]. E lo stesso accade con Mark Knopfler e con Chris Rea. Anche lui sarà con noi. E’ un vecchio amico”.

Lo so. Suonò nel primo album dei Rhythm Kings…
“…e anche in Willie And The Poor Boys”.

Per non parlare poi di Mark. L’ho visto nel suo tour italiano del 2005. Davvero brillante!
“Non salta molto, in scena, ma non lo faccio nemmeno io [ride]”.

A proposito di lavoro in studio, so che circa un anno fa (il 14 febbraio, esattamente) hai registrato due tracce strumentali con Peter Frampton, agli Eden Studios di Londra. Si dice che parte di quelle session sia stata filmata da Denis O’ Regan. Anche Charlie Watts era della partita. Quei due pezzi resteranno, per sempre, in un archivio o vedremo presto qualcosa?
“Niente riprese di quella session, solo scatti, perché Denis non è un filmaker, ma un fotografo. Comunque, Peter mi ha chiamato da poco, dicendomi che il progetto di un album interamente strumentale, con vari artisti coinvolti, sta prendendo corpo”.

E i brani con te ne faranno parte?
“Sì. Mi chiese se riuscissi a mettere assieme una piccola sezione ritmica con cui suonare e io chiamai Charlie e Chris Stainton. Solo noi quattro. Il risultato fu ottimo e, di recente, Peter mi ha scritto una mail per comunicarmi il titolo di uno di quei pezzi. Sta ancora lavorando, ha registrato vari brani con molti altri artisti, sia qui, sia in America”.

Un album interamente strumentale: una bella sfida, non c’è che dire. Per me, comunque, tu e Charlie rimanete una sezione granitica…
“[ride] E siamo anche ottimi amici”.

Tra l’altro, so che sta molto meglio, adesso…
“Sì, è così”.

Rimaniamo sul fronte dei progetti di questo genere, ma con una curiosità che, probabilmente, interesserà di più i collezionisti. Quanto “girato” relativo ai Rhythm Kings è rimasto fuori dal DVD del tributo ad Elvis?
“Non ricordo se sia stato utilizzato tutto, ma penso di sì. E’ stato davvero divertente. Recentemente, mi hanno chiesto di ripetere quell’esperienza, per un filmato dedicato a BB King”.

Quel DVD mi è piaciuto parecchio, poiché è imperniato su un gruppo di musicisti che danno l’impressione di divertirsi un mondo.
“Penso che le persone scelte per realizzarlo conoscano molto bene quel genere di musica. Eccezion fatta, probabilmente, per David Gilmour…”.

In effetti, non appare particolarmente a suo agio.
“Sfortunatamente, quando abbiamo suonato con lui, non era soddisfatto della sua performance e ha voluto portare i nastri a casa, per lavorarci sopra. Ha realizzato due o tre versioni del pezzo diverse da quella eseguita tutti assieme, ma nessun altro si è permesso un comportamento del genere. Per la verità, ho pensato da subito che David fosse una scelta strana per quel tipo di musica”.

Parliamo dell’ultimo album dei Rhythm Kings, adesso. E’ un live e non potrei essere più felice, perché la serie dei “Bootleg Kings” è molto interessante, ma a diffusione limitata (veniva venduta ai concerti, ndr.), e ho sempre pensato che un pubblico più ampio dovesse conoscere la solidità del vostro gruppo dal vivo. Perché hai scelto proprio quel concerto di Berlino, del 2004, per questa uscita?
“Una radio tedesca mi chiese se poteva registrare lo show. Sono stato lieto di acconsentire, a condizione che il nastro rimanesse di nostra proprietà, una volta trasmesso. Quando l’ho ascoltato, ho pensato che costituisse un’ottima rappresentazione della band. Pertanto, non ho voluto ritoccare nemmeno una nota. Tutto ciò che si sente è esattamente com’è stato suonato sul palco”.

Bill, quail sono i prossimi progetti dei Kings?
“Terremo dei concerti, a partire da aprile. Non molti, essenzialmente delle partecipazioni ad alcuni festival. Ci è stata assicurata un’esibizione a Montreux, nel quadro della celebre kermesse dedicata al Jazz, ma è da confermare. Non suoneremo durante i mondiali di calcio…”

Eh certo, perché avrai voglia di guardare le partite in pace!
“Esatto. Quindi, a luglio, suoneremo in Francia. Poi, cinque date in Spagna. Infine, da settembre, un tour britannico. Cinque o sei settimane ‘on the road’”.

Se uno dei prossimi passi dei Kings dovesse essere un nuovo album, sarebbe necessario rimettere la band al lavoro da zero, oppure hai da parte del materiale, frutto di session precedenti?
“Ne ho, ne ho [ride]. Tra l’altro, lo sto controllando in questi giorni, per vedere cosa possa essere usato. Sto lavorando su nuove idee e dovremmo essere in studio prima di giugno, in modo da avere un album pronto per l’autunno”.

Veniamo ora ai video targati Wyman. Ritengo che far uscire Digital Dreams (rinominato, per l’occasione, Digital Daydreams, ndr.) in DVD sia stata una mossa azzeccata, perché rimane un documento significativo di quegli sgangherati anni ottanta. L’hai riguardato, quando ti hanno consegnato il disco?
“Oh, ben oltre. Ho collaborato alla revisione completa del montaggio, anche perché abbiamo trovato scene girate inedite, non inserite nella versione originale”.

Che sensazioni ha suscitato in te rimetterti su quella pellicola?
“Mi è tornato in mente quanto ci siamo divertiti a fare quel film. Penso che la versione pubblicata su dvd sia molto più facile da seguire. Scorre meglio ed è stata restaurata, migliorandone anche la resa sonora. Inoltre, tra gli extra, è stata inserita una mia intervista, che ho tenuto a realizzare per l’occasione. Penso che, dal punto di vista visuale, sia ora un prodotto decisamente più accattivante. All’epoca, altre persone controllavano il progetto, ma stavolta ho deciso e scelto io”.

Quale sarà la prossima uscita, sul versante video? Penso che la Classic Pictures abbia fatto un lavoro egregio con il materiale del tuo archivio personale, sinora.
“Stanno lavorando su tutto il mio catalogo. Nei prossimi mesi, in particolare, uscirà in DVD un’avventura musicale risalente agli anni ottanta, chiamata The AIMS project”.

Me ne ricordo. Si concluse con l’AIMS gala…
“Il gala fu l’appuntamento finale. Si trattava di una competizione tra band esordienti. Abbiamo scelto i migliori gruppi, in cinque diverse città, e l’iniziativa è terminata con un concerto di beneficenza alla Royal Albert Hall, durante il quale ognuna di queste formazioni ha proposto una delle sue canzoni. Per l’occasione, avevo poi invitato Chris Rea, Elvis Costello e Chrissie Hynde. Inoltre, mi ero esibito pure in un supergruppo, assieme a Phil Collins, Terence Trent D’Arby, Ronnie Wood, Eddy Grant e Ian Dury”.

Come tutti I tuoi video recenti, anche questo conterrà dei bonus, rispetto a quanto proposto originariamente in VHS?
“Certamente!”

Visto il tuo amore per il collezionismo, vogliamo discuterne un po’? Nello scorso dicembre, qualcuno ha messo all’asta, su Ebay, un acetato del jingle pubblicitario dei Rice Crispies, realizzato dai Rolling Stones nel 1963. Il venditore sosteneva che questo raro oggetto fosse parte della tua collezione? Hai davvero venduto un “pezzo” del genere?
“No. Ho ancora la mia copia”.

Quindi, con tutta probabilità, qualcuno ha spacciato per tuo un falso?
“Dopo i concerti, molta gente mi avvicina, chiedendo l’autografo su dischi dei Rolling Stones e io rispondo puntualmente di no. Inoltre, portano anche delle chitarre, repliche di modelli degli anni sessanta. Qualche anno fa, ne ho firmate un paio e sono state vendute subito dopo, millantando che fossero mie. Per questo motivo, oggi nego il mio autografo. Ogni volta che ho firmato memorabilia rotolanti, sono finite in vendita”.

Vedi, è per questo motivo che non ho mai interpretato come un fatto d’orgoglio la tua scelta di non firmare più il materiale delle Pietre…
“Sono affaristi quelli. Non fan”.

I collezionisti hanno vissuto un momento interessante nel 2005, con la ristampa, in Giappone, dei tuoi tre album solisti, arricchiti di outtakes e proposti in mini replica lp sleeve. Qual è la storia di quest’uscita?
“E’ stata la casa discografica giapponese intenzionata a pubblicarli a farsi viva con me. Il contratto che mi lega, per quanto riguarda i lavori del passato, alla Sanctuary Records non riguarda il Giappone, per cui, considerando anche quanto, in quel paese, siano appassionati alle ristampe e al collezionismo, ho accettato di buon grado”.

Se ti chiedessi qual è l’uscita più rara del tuo catalogo, su lp o cd, cosa mi risponderesti?
[Ride]

Su, impegnati un pò, così vediamo se è nella mia collezione…
[Ride] “Il pezzo più raro… sono io”.

Vabbé, non ne vuoi proprio sapere. Allora io ti dirò cos’ho sullo scaffale e mi risponderai quant’è raro. Ok?
“Dai, facciamo così [ride]”.

Fammi pensare. Una stampa di prova americana dell’album “Bill Wyman”…
[Silenzio]

Poi, un test pressing olandese dell’album “Stone Alone”…
“Oh, hai una cosa del genere?”

Sì!
“Buon per te! [ride]”

Quindi, una stampa di prova del quarantacinque giri di “Soul Satisfying”, una stampa messicana dell’lp “Monkey Grip”…
“Davvero?”.

Sì e anche la versione israeliana del trentatré “Bill Wyman”…
“Oh, me ne avevi parlato. Forse in una mail. Io non ho nulla di tutto ciò”

Però, il “ritrovamento” che mi ha dato più soddisfazione è stato quello di una compilation israeliana, intitolata “Rock’n’Roll Star”, che comprende anche “(Si Si) Je Suis Un Rock Star” (brano del 1982, ndr.)…
“Oh, non ne so assolutamente nulla [ride]”.

Infine, ma qui siamo a qualche centimetro dal feticismo, nella mia collezione c’è un test pressing di un quarantacinque giri di una band che hai prodotto anni fa, chiamata “An American In Paris”.
“Sì, era uno dei gruppi dell’AIMS project. Li vedrai sul DVD prossimamente in uscita. Vinsero la tappa della zona di Portsmouth e Southampton”.

Nella prima parte della tua carriera hai prodotto un mucchio di band. Ultimamente, non più. Pensi mai di ritornare a quel ruolo?
“Ho così tanti progetti, che proprio mi manca il tempo. Sto lavorando su cinque libri e uno di questi uscirà tra aprile e maggio. Sono stato avvicinato da molta gente (specialmente fotografi), che mi ha chiesto di realizzare dei volumi con loro, cosa molto eccitante, ma che porta via un mucchio di tempo”.

Non è strano che siano soprattutto dei fotografi. Sicuramente, negli archivi ci sono più immagini di quante non ne conosciamo…
“Lo so. Sto lavorando con un fotografo danese, per un libro riguardante il periodo 1965-67. Ha ritratto i Rolilng Stones nei primi tour della Scandinavia e del resto d’Europa. Le sue immagini sono fantastiche e sto pensando anche a un libro sulle altre band che ha fotografato. Quindi, siamo già a due volumi. Poi, ho incontrato ieri Philip Townshend, l’autore delle prime foto degli Stones, nell’Aprile 1963, a Chelsea. Ti ricordi quella in cui siamo su una panchina, accanto al Tamigi?”.

E chi potrebbe dimenticarla…
“Il nostro battesimo fotografico, usato per il materiale del fan-club. Beh, l’ha scattata Townshend. Ieri è venuto da me e mi ha detto ‘ho circa ventimila immagini…’”.

E cosa diavolo ne ha fatto nel frattempo?
“Assolutamente niente, oltre a ripubblicare quelle già note! [ride]”

Le foto vivono in eterno e la gente le apprezza anche per questo. Un’immagine non necessita di intermediazione. Niente testo, niente spiegazioni. Non esiste nulla di più potente!
“E non consente di mentire… [ride]”.

Torniamo al collezionismo e, in particolare, al tuo archivio personale. Qual è il pezzo più raro della collezione Stones di Bill Wyman?
“Suppongo il basso che ho autocostruito nel 1959, esposto nel ristorante ‘Sticky Fingers’ (in Kensigton High Street, ndr.). Subito dopo viene la Gibson Gold di Brian Jones. Se non vuoi considerare gli strumenti, allora direi le due copie dell’immagine tridimensionale della copertina di Their Satanic Majesties Request. Attenzione, non in dimensione reale, più grande”.

Ho capito. Se ne parla, in effetti, come di una rarità senza pari, nel libro “Not Fade Away”. E’ una sorta di pannello-display, vero?
“Sì, quadrato. Misura circa trenta centimetri per lato. Quella del disco, invece, è sui quindici”.

E ne sono state realizzate solo tre copie, giusto?
“Esatto. E io ne possiedo due [ride]”.

Allora, farò a meno di chiederti che fine abbia fatto la terza…
“Penso sia finita negli Stati Uniti. Qualcuno l’ha venduta, o voleva venderla, lo scorso anno. Ignoro come sia andata”.

So che sei un fedele lettore di “Record Collector”. Pensi che Internet rappresenti una minaccia o abbia invece rilanciato il collezionismo tradizionale (inteso come andare alle fiere e così via…)?
“Trovo che, come hai detto prima, il vero problema di oggi sia l’autenticità dei pezzi in circolazione. Già negli anni ottanta esisteva chi vendeva all’asta dei poster degli Stones del 1970, e dintorni, ed erano copie contraffatte! E la situazione si farà sempre più critica. Gli autografi vengono falsificati e venduti!”.

Ed è il motivo per cui vendi materiale autografato sul tuo sito…
“Certamente, almeno puoi essere sicuro che sia originale. Non puoi più fidarti, purtroppo. Molta gente mi scrive delle e-mail, chiedendomi, ad esempio, di inviare loro una foto autografata per la figlia, in occasione del suo compleanno. Arrivano troppe richieste. In passato, non c’erano problemi nell’acconsentire, magari per una bambina malata, o cose del genere. Però, oggi, purtroppo, non si può più riporre fiducia nella gente”.

Oltretutto, siamo sinceri, non saranno quelle due o tre sterline in più per l’autografo a mandare in rovina gli acquirenti del tuo sito…
“Abbiamo appena introdotto una sezione mp3, in cui possono essere acquistati tutti i miei brani solistici. Non è caro: 69 pence per traccia. In questo momento contiene duecentocinquanta canzoni, tutte quelle che ho scritto, suonato o prodotto. Ogni giorno www.billwymanmp3.com riceve centinaia di contatti e siamo solo all’inzio del suo cammino”.

Veniamo ai libri. Sei soddisfatto di com’è stato accolto Treasure Island?
“Molto. Ha ottenuto delle recensioni estremamente positive. Pensa che, in Inghilterra, esiste una serie televisiva chiamata ‘Time Team’. Parla di archeologi che si recano in siti particolari, per ricercare dei reperti. Ebbene, ne hanno tratto un paio di libri, in passato, incredibilmente noiosi e orribili. Da poco ne è uscito un altro, assolutamente identico al mio: le stesse idee e, in alcuni casi, pure le medesime fotografie. Non posso denunciarli, ma voglio prenderlo come un complimento, un omaggio a un’impostazione che ha funzionato”.

Hai in progetto dei nuovi libri?
“Il prossimo uscirà tra aprile e maggio e sarà una storia a fumetti dei Rolling Stones, che comprenderà anche delle caricature. In esso appaiono centocinquanta vignette, tutte dalla mia collezione. Non è particolarmente corposo, e punta principalmente ai fan, ma lo trovo divertente e le caricature non sono solo di autori inglesi, ma di diversi paesi”.

Hai visto il film “Stoned”, sulla vita di Brian Jones?
“No, grazie! Alcune persone coinvolte nella sua realizzazione hanno tentato, diverse volte, di coinvolgermi, per avere un parere su alcuni fatti, ma non ero interessato. Sapevo che quella pellicola non avrebbe offerto una rappresentazione reale della sua vita. Sentivo che l’accento sarebbe stato posto sugli aspetti maggiormente scandalistici, come le droghe, e cose del genere. Tutto ciò non risponde affatto alla domanda ‘Com’era Brian?’, per cui me ne sono tenuto debitamente lontano e non mi interessa, perché non lo ritengo un buon lavoro”.

Inoltre, anche se devo ancora vederlo, so che sposa la tesi dell’omicidio, che hai sempre assicurato essere errata…
“Esatto. Ho letto alcune recensioni del film, tutte negative. Però me lo aspettavo, quindi non sono per niente sorpreso”.

Credo che Brian sia destinato a restare un enigma e gli unici a poterci dirci qualcosa di affidabile su di lui sono coloro che gli sono rimasti accanto…
“E’ così”.

Ed è pure il motivo per cui non penso che “Stoned” contribuisca molto alla sua causa…
“Per questo gli ho dedicato uno spazio consistente nei miei due libri sugli Stones. Alcune cose andavano dette, specie perché in giro c’è gente che non sa nulla di quei giorni. Ora sto trattando un contratto per… altri due volumi [ride]. Sto per ripubblicare, in una nuova veste grafica, Stone Alone (biografia degli Stones, uscita nel 1989, ndr.), includendo molto più materiale. Dopodiché, sarà la volta di Stone Alone II”.

Mi pare tu fossi pronto a scriverlo all’indomani di Stone Alone, ma non hai mai trovato un co-autore, giusto?
“Esatto. Inizierò a lavorarci quest’anno e, probabilmente, finirò il prossimo”.

Allora, già che hai in mente una revisione di Stone Alone, ti dirò cosa devi correggere immediatamente…
“Cosa?”.

Ad un certo punto, scrivi che Stu-ball, di Ian and The Railroaders (un brano poco noto, in cui è stato coinvolto Ian Stewart, ndr.), non è mai stata pubblicata. E’ una bestemmia. Quel disco esiste, eccome.
“Non l’ho scritto! Cosa vuoi dire di preciso? Ne possiedo una copia anch’io…”.

Eppure nel libro si può leggere ciò che ti ho detto, mentre esistono sia il quarantacinque giri promozionale, che quello ufficiale.
“[ride]. Ray Coleman, il mio ghost-writer per quel volume, ha cambiato ripetutamente il contenuto dei vari capitoli. Ogni volta che leggevo una nuova versione, non riuscivo a capire se avesse apportato le correzioni che gli avevo già trasmesso. Però, sai, all’epoca ero in tour e avevo un mucchio di impegni…”

…legati agli Stones. Sei stato on the road per un anno, tra il 1989 e il 1990.
“Infatti. Così, ho perso la bussola e, per finire, mi sono reso conto, una volta stampato il libro, che alcuni fatti, che avevo chiesto di correggere, erano rimasti in versione incompleta. Ray era una persona parecchio seria (è scomparso nel 1996, ndr.) e, proprio per questo suo modo di essere, ha eliminato molto dell’humour originale dell’opera. E’ anche una delle ragioni per cui voglio darle nuova vita, renderla ancora più interessante, aggiungere delle foto e, in Stone Alone II, raccontare la mia storia sino ad oggi, o fino al momento in cui ho lasciato gli Stones. Come vedi, mi attende un mucchio di lavoro”.

L’ultima domanda. Quali sono l’album che hai sentito e il concerto cui sei stato, negli scorsi giorni?
“L’ultimo concerto è stato quello di Mose Allison, a Londra, due settimane fa. Per quanto riguarda gli album, ho portato a casa alcune cose dall’Europa dell’est, davvero interessanti. L’ultimo cd che ho ascoltato, apprezzandolo, è quello di un gruppo blues che ha aperto una nostra serata in Polonia. Si chiamano “Probosky Blues Band” e li ho menzionati anche nel mio diario online. Sono fantastici. Il suonatore di armonica è un genio. Il migliore che abbia mai sentito. Davvero brillante. Ho prestato il cd a diversi amici”.

Ok, Bill, è tutto. Ti lascerò alla tua famiglia, anche se non mi hai detto che suonerai in Italia.
“Non abbiamo avuto offerte! Il vostro è uno dei paesi, in Europa, dal quale raramente ci giungono delle proposte”.

Penso sia soprattutto una questione legata ai promoters nostrani.
“E’ così. Sono tutti un po’ furfanti. Voglio dire, l’ultimo con cui abbiamo lavorato non voleva pagarci tre show, sostenendo di non avere abbastanza soldi?”.

E, secondo lui, la colpa era tua?
[Ride]

Tra l’altro, non più di un mese fa si è tenuto il Festival di Sanremo. Hai dei bei ricordi della tua partecipazione, nel 2004?
“Molto. Adoro quella città, oltretutto. L’ho visitata in diverse occasioni negli anni settanta, quando vivevo nel sud della Francia. Ci andavamo in barca”.

Personalmente, non ho disprezzato il brano con i DB Boulevard.
“Non era male ed il bello è stato che ho incontrato nuovamente Eddie Floyd. Eravamo nello stesso hotel dei Blues Brothers e abbiamo trascorso una settimana con loro. Rivedere Steve Cropper e Eddie è stata una bella sensazione”.

Ma è a Sanremo che gli hai chiesto di unirsi ai Rhythm Kings per alcuni concerti?
“Esatto. L’ho fatto dal momento che Eddie aveva già suonato con noi in alcuni tour precedenti e adora la nostra band. Durante l’ultima tournée mi ha proposto di esibirmi con i Blues Brothers e gli ho risposto ‘no, suono con i Rhythm Kings, sai… [ride]”.

Un vero miracolo sanremese (forse il più riuscito!). Grazie Bill, è davvero tutto stavolta. A presto.

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