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Interviste
Pubblicato il 30/03/2011 alle 13:18:24
Daniele Silvestri presenta 'S.C.O.T.C.H' , il nuovo album
di Martina Neri
E' uscito ieri, 29 marzo, ‘S.C.O.T.C.H’ il nuovo disco di Daniele Silvestri dopo quattro anni dall'ultimo lavoro in studio ‘Il Latitante’.

E’ uscito ieri, 29 marzo, ‘S.C.O.T.C.H’ il nuovo disco di Daniele Silvestri dopo quattro anni dall’ultimo lavoro in studio ‘Il Latitante’.

‘S.C.O.T.C.H ’ è un disco atteso, pensato, ricco di collaborazioni Paoli, Raiz, Camilleri, Bollani, Fabi, Mancino, Servillo, Bunna) e di storie, assolutamente ancorato al presente e all’attualità, ma radicato nel passato per quanto riguarda il pensiero sottinteso all’artigianato della creazione. Registrato in presa diretta negli studi di Acquapendente, nel viterbese, è un disco corale che ha nella band che lo accompagna da anni il centro nevralgico.

“Devo molto alle persone con cui ho lavorato.” Esordisce così il cantautore in occasione della presentazione del cd alla stampa: “ Mi preme dire che ‘S.C.O.T.C.H’ è un disco in cui sono state fondamentali le persone con cui suono da tanti anni. E’ stato interamente registrato in presa diretta. Niente di rivoluzionario, un tempo si faceva solo così, ora è più difficile che accada. E’ una strada che ho scelto con forza perché è un patrimonio avere delle persone con le quali si riesce a lavorare in un certo modo e poi perché uno dei bisogni più forti che sentivo era quello di smontare la struttura canonica della canzone. In questo disco difficilmente si sentirà la cosa giusta al momento giusto: dove dovrebbe esserci un ritornello c’è qualcos’altro, quando la canzone dovrebbe portare da qualche parte e sembra che lo faccia succede sempre l’esatto contrario, proprio perché, guardandosi negli occhi con chi suona con me, ci si può permettere di non seguire il “manuale del corretto autore di canzoni”.

Ci hai messo più di tre anni a scriverlo.

“È un disco abbastanza ricco di argomenti, di suoni e immagini. E’ quasi più un film che un disco, mai come ora ho seguito un criterio cinematografico nello scrivere, nell’arrangiare soprattutto nello scegliere. Ho scritto più di trenta canzoni, la cosa difficile è stata capire cosa togliere, ma nel farlo ho trovato la chiave giusta: una certa purezza nei contenuti, anche a costo di togliere canzoni che forse avrebbero avuto più visibilità.
All’inizio ho lavorato incoscientemente, quasi più a uno spettacolo che ad un disco: per esempio nella seconda parte non c’è soluzione di continuità: è un unico racconto in cui si intrecciano varie storie. La voce di Camilleri mi è servita a passare da un racconto a un altro, mi ha aiutato ad entrare in Sicilia per “L’appello” ( che parla dei fratelli Borsellino n.d.r.) , passando poi a parlare dell’ esplosione di via D’Amelio (In un’ora soltanto). Per questo ho voluto che fosse non solo un cd, ma anche un vinile perché questo disco non può essere sventrato, il senso sta nella sua compattezza e nel suo flusso, nel come è stato pensato. Almeno vorrei che fosse così. Io ne sono molto orgoglioso.”

Le collaborazioni sono moltissime, alcune davvero curiose.

“Di tempo ce n’è stato tanto e mi sono permesso il lusso di chiedere anche a persone “improbabili” come Camilleri o Bollani se avessero voluto partecipare. Gino Paoli è stato una sorpresa per me. Ho scritto “La chatta”, un gioco sulla falsariga de “La gatta”, ho cercato di rispettare pedissequamente ogni rima e assonanza dell’originale sostituendo però completamente le parole. Ad un ascolto distratto la canzone potrebbe sembrare esattamente quella; il gioco ulteriore è quello di divertirsi a trovare qualcosa di nostalgico all’interno di uno dei massimi esempi di modernità: il pc e il social network. Paoli non solo mi ha autorizzato, ma ha addirittura chiesto di poter cantare. E’ stato molto disponibile e di un umorismo insospettabile che mi ha sorpreso. ”

Con Niccolò Fabi invece avete inciso “Sornione”

“ E’ una delle cose a cui tengo di più di questo disco. Sembra una canzone leggera, ma lo è fino a un certo punto. Il rapporto con lui è di antichissima data ed è anche strano che solo adesso si sia concretizzato in una collaborazione. In realtà siamo entrambi abbastanza timidi e il primo approccio è stato pieno di pudore. Ci somigliamo molto, è più facile sostituirci che completarci. Questo incontro artistico è avvenuto nel momento e nel modo più giusto. “Sornione” parla di uno che insegna a un altro come è giusto vivere e gli insegna ad essere cinico. Farla con Niccolò in questo momento della sua vita acquista un altro sapore e a dirlo adesso mi vengono i brividi perché negli occhi ha qualcosa di diverso. Il suo modo di intervenire sulla canzone l’ha fatta diventare una canzone sull’amicizia nel senso più intimo e profondo del termine.”

Invece Diego Mancino, tra tutti, è il meno noto anche se è molto talentuoso, forse sconta la pochissima visibilità che hanno tutti quelli che non riescono a passare per la tv. Come vi siete incontrati?

“L’ho scoperto due anni fa grazie alla mia compagna e mi sono innamorato della sua voce e del suo modo di scrivere, antico per certi versi. Ho avuto occasione di conoscerlo un po’ perché abbiamo convissuto per qualche giorno a casa mia; ha un modo di interpretare l’arte e la musica totale, vero fino al midollo. Ritrovarsi insieme in studio a cantare è stata una delle più belle esperienze degli ultimi anni. Il fatto che sia ancora così poco noto in un certo senso è quasi un bene, anche se gli auguro il più grande successo. E’ destinato a diventare un nome che sentiremo sempre di più e che rimarrà. ”

Perché “S.C.O.T.C.H”?

La canzone “Lo scotch” è felicemente informe e strapiena di cose al suo interno, è esemplificativa del disco, ma, soprattutto, mi sembrava l’immagine più giusta per rendere una visione del mondo che abbiamo intorno fatto di cose precarie, come se tutto fosse raffazzonato, aggiustato alla bene e meglio, come la politica che è sempre alle prese con l’emergenza, che rincorre sempre il disastro appena avvenuto senza mai riuscire ad anticiparlo; senza capacità di individuare un futuro possibile c’è solo l’immanente, l’immediato. Poi mi piaceva il suono ed il fatto che fosse una parola di uso quotidiano che però molti non sanno come si scriva. In questo disco c’è il tentativo di affrontare piccole cose quotidiane che possono sembrare minime, ma se ci metti una lente di ingrandimento davanti ci trovi dentro tutto. “Lo scotch” parla di un trasloco, un momento in cui ci si trova all’improvviso a fare i conti col proprio passato, a fare un bilancio della propria vita che può diventare uno sguardo più aperto e profondo su quello che c’è intorno. Personalmente mi diverto a giocare enigmisticamente con le parole, quindi è diventato un acronimo, nel libretto ce ne sono molti, ma sono solo alcuni possibili. Da solo ne ho trovati cinquanta. Sfido il pubblico a comporne altri. ”

Come mai hai voluto tornare sulla strage di Via D’Amelio in “In un’ora soltanto?

“Perché è ingiusto. La forza con cui Salvatore Borsellino ha preso l’eredità del fratello è la forza di un uomo che continua a battersi per qualcosa di vivo, non per qualcosa che è morto. È una delle cose più ingiuste che siano successe, ancora di più oggi che, anche se non possiamo circoscrivere esattamente le responsabilità con i nomi giusti, sappiamo capire meglio quale macchia ha questo Stato nei confronti di quelle persone. E’ una ferita aperta e fa ancora più male ora che comincia ad essere più chiara.”

Alla fine hai inserito “Io non mi sento italiano” di Gaber dopo averla fatta alla trasmissione di Fazio e Saviano.

“Questa canzone di Gaber sembra scritta l’altro ieri ed è una delle ultime, una sorta di testamento. Mi sembra giusto che continui a vivere anche attraverso le interpretazioni di altri, io sono solo l’ultimo. E’ perfettamente inserita nel contesto di questo disco. Visto che stiamo festeggiando i 150 anni dell’Unità è una sorta di bilancio tra chi si è battuto per l’idea di un popolo italiano e quello che siamo diventati.”

Stai già preparando il tour?

“Dopo il primo maggio partirà l’allestimento e il tour vero e proprio ci sarà in estate, ma avendo suonato direttamente per il disco non abbiamo bisogno di buttar giù le parti o di ricreare l’atmosfera dello studio, il concerto è già dentro di noi.”

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