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Recensioni
Pubblicato il 18/10/2007 alle 16:34:30
Mark Knopfler – Kill to get crimson (Universal Records)
di Andrea Del Castello
Da Golden heart a Shangri-La si era proiettato sempre più verso la tradizione americana. Con il quinto disco da solista torna invece nell’Europa del folclore popolare.

Da Golden heart a Shangri-La si era proiettato sempre più verso la tradizione americana. Con il quinto disco da solista torna invece nell’Europa del folclore popolare.

Chi non ricorda Harry, lo scultore cantato in In the gallery nel primo album dei Dire Straits? Sono passati 29 anni e Knopfler narra di nuovo la storia di un artista, questa volta approfondendo l’introspezione psicologica del pittore che ucciderebbe per ottenere un rosso intenso (“I’d kill to get crimson”) e la passione per l’arte è confermata dalla scelta della copertina, tratta dal quadro Four Lambrettas and three portraits of Janet Churchman realizzato da John Bratby nel 1958.
Le canzoni, costruite con meticolosa cura, sono tutte improntate su eleganti atmosfere create mediante una raffinata ricerca timbrica. Questo atteggiamento si radica nella passione per la musica di Morricone e trova riscontro già nel periodo dei Dire Straits – in particolare negli album Love over gold e On every street – e si intensifica nei dischi da solista, ma il filo rosso della ricerca timbrica corre lungo l’intera carriera di Knopfler grazie soprattutto alle musiche per film.

Per questo quinto disco da solista l’influenza pressoché costante è la musica popolare europea, passando dalla polka di Heart full of holes al valzer di Secondary waltz, dalle ballate da cantore in Madame Geneva’s alla tradizione scozzese che permea diversi arrangiamenti, ma comunque tutti rielaborati alla maniera di Knopfler. Tra i brani più raffinati, The scaffolder’s wife e Let it all go, ma chiusura in grande stile con la poetica In the sky che descrive “navigatori dall’impavido cuore”, “il fuoco in cui bruciano i sogni dei poeti” e, in modo autoreferenziale, “canzoni portate nel cielo dal vento vagabondo che mormora sulla baia” come il sussurro del sax di Chris White che trascina teneramente ogni astante verso l’incanto.

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