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Pubblicato il 22/04/2008 alle 01:41:46
Cristiano Godano: “Ai Marlene Kuntz piace anche ridere”
di Massimo Giuliano
Questa intervista a Cristiano Godano è da intendersi come complementare a quella realizzata, tempo fa, con Luca Bergia. Se il batterista ci aveva parlato dei concerti dei Marlene Kuntz in teatro, il vocalist ci racconta la sua esperienza letteraria.

Questa intervista a Cristiano Godano è da intendersi come complementare a quella realizzata, tempo fa, con Luca Bergia. Se il batterista ci aveva parlato dei concerti dei Marlene Kuntz in teatro, il vocalist ci racconta la sua esperienza letteraria.

Cristiano, partiamo dal libro che hai pubblicato recentemente: "I vivi". Com'è nata questa idea?
"Musica e letteratura sono due cose verso le quali ho sempre mostrato molta sensibilità e grande attenzione. Un giorno, la casa editrice Rizzoli mi ha proposto di scrivere un libro, e io ho accettato perché mi veniva data la possibilità di esprimere dei concetti che nelle canzoni non sempre avevano potuto trovare spazio. Quando scrivi un testo, infatti, sei vincolato dalla metrica, dalla durata, dalle rime... Nella prosa sei più libero".

La differenza con le tue canzoni emerge anche dal tono che utilizzi in questi racconti: qui c'è una grande ironia...
"Sì, diciamo che in questo libro si può riscontare un'ironia sottile, e tale elemento può spiazzare chi ha una determinata idea dei Marlene Kuntz. In realtà, non è vero che a noi non piace ridere, anzi: siamo tipi che scherzano spesso tra di loro, ma questo dai dischi non traspare. Nella musica che facciamo è sempre emerso il nostro lato più dark, più tenebroso".

Le tue parole sono meglio di un viaggio vorticoso: vi entri dentro senza forza né costrizioni. Di cosa trattano i racconti contenuti ne "I vivi" e perché hai scelto di chiamare così questa tua opera?
"I protagonisti dei miei racconti hanno quasi tutti a che fare con il mondo dell'arte. Sono personaggi "vivi" perché si accostano al mondo con curiosità. Ho scelto, però, "I vivi" come titolo per omaggiare il grande James Joyce, che scrisse il racconto "I morti". Diciamo che il mio è un tributo al contrario".

Parliamo anche di musica: "Uno", il vostro ultimo cd, ha segnato senza dubbio un cambiamento artistico. Che cosa vuoi dire ai fan che si sono sentiti "traditi"?
"Puntualmente, appena facciamo qualcosa di diverso, i fan dicono: "Eh, ma non siete più i Marlene di una volta". La realtà è che noi siamo cresciuti. Tutto qui. C'è chi si lamenta che non siamo più gli stessi, che i Marlene di "Catartica" non torneranno più, ecc. Io dico che con gli anni si cambia, si viene anche influenzati da altra musica rispetto a quella che ti aveva influenzato prima... Di conseguenza, non è possibile fare sempre lo stesso disco, nè è nel nostro interesse ripeterci. In passato abbiamo provato a scimmiottare qualche vecchio pezzo, magari pensando ad un riff sullo stesso stile, ma poi finivamo sempre per fare altro".

Mi sono spesso chiesto se i Marlene Kuntz fossero conosciuti all'estero. Cosa mi rispondi?
"Ti rispondo di no, perché il rock italiano non viene visto di buon occhio fuori dal nostro Paese: noi vendiamo solo l'1% dei nostri dischi all'estero, in paesi come Belgio e Spagna... e forse a comprarseli sono gli italiani che vivono lì! (Ride). Per il resto, siamo conosciuti solo in Italia. Quando gli stranieri sentono qualcuno che fa rock ma canta in italiano, storcono il naso: per loro, la vera musica italiana è quella melodica, e sotto un certo punto di vista non gli si può dare torto, visto che la cultura rock noi l'abbiamo importata dall'America e dall'Inghilterra".

Forse anche per questo personaggi come Ramazzotti e la Pausini vanno forte anche fuori confine, no?
"Non credo di poter esprimere un giudizio al riguardo. Il nostro genere non è quello di Eros Ramazzotti e Laura Pausini: loro fanno pop, noi facciamo rock. Tuttavia, va preso atto dei risultati che hanno ottenuto, e per i quali meritano rispetto".

Avete mai pensato di tradurre in inglese i testi delle vostre canzoni?
"No, perché non condividiamo queste operazioni. C'è chi tra i nostri colleghi lo ha fatto, ma noi non siamo a favore di simili trovate solo per farci "accettare" dal mercato anglosassone. Oltretutto, traducendo i nostri testi sarebbe anche difficile mantenere il senso originario di ciò che volevamo dire nelle canzoni".

Come vi ponete nei confronti di Internet?
"MySpace, che ha procurato agli Artic Monkeys un contratto discografico, è sicuramente un fenomeno che non può essere ignorato. Purtroppo, Internet ha portato la gente a concepire la musica in maniera diversa rispetto a prima. Il vinile ti dava un'idea di maggior preziosismo: quando noi eravamo giovani, ci mettevamo d'accordo e acquistavamo un disco in 4-5 persone. Poi ce lo registravamo a vicenda. Andare a comprare un vinile e tenerne tra le mani la copertina in cartone era un rito: oggi il file, che è una cosa immateriale, ha comportato anche una perdita della sacralità della musica. Non ci si siede più in poltrona a gustarsi un disco dall'inizio alla fine. In più, si pensa - erroneamente - che la musica debba essere gratis. Secondo me, molti passano il loro tempo più a scaricare che non ad ascoltare ciò che hanno scaricato".

Eppure oggi sembra che il vinile stia tornando. Siete d'accordo con chi pubblica alcune copie del suo nuovo album anche in Lp?
"E' una bella idea, ma noi preferiamo tirarci fuori. Proprio pochi giorni fa, abbiamo prelevato dai magazzini e venduto il nostro ultimo disco in vinile. Semmai posso dire una cosa sul significato che oggi hanno gli album, e soprattutto i concept-album: in un'epoca in cui la gente si fa le compilation da sola e si limita a "consumare" i singoli, chi incide un disco concettuale viene considerato un pazzo. E, non a caso, "Uno" è proprio un disco concettuale!".

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