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Pubblicato il 11/11/2008 alle 02:31:04
Niccolò Fabi: vi racconto la mia avventura da produttore
di Martina Neri
E’ disponibile on line dalla fine di ottobre il nuovo lavoro di Niccolò Fabi: Violenza 124, un’opera musicale che il cantautore romano ha realizzato insieme ad altri sei artisti

E’ disponibile on line dalla fine di ottobre il nuovo lavoro di Niccolò Fabi: Violenza 124, un’opera musicale che il cantautore romano ha realizzato insieme ad altri sei artisti: Boosta dei Subsonica, Roberto Angelini, Gnu Quartet, Olivia Salvadori e Sandro Mussida, Mokadelic e la Ruggero Artale Afro percussion band. Fabi ha fornito loro un’idea melodico-ritmica di base detta “cellula” su cui ognuno ha costruito la propria interpretazione. Tre le sole regole da seguire: la tonalità di Re Minore, la velocità metronomica di 124 bpm e la rappresentazione della violenza come principio narrativo. Abbiamo incontrato Niccolò per farci raccontare meglio questo progetto all’apparenza complesso da spiegare ma molto fruibile all’ascolto e abbiamo chiesto il parere degli altri protagonisti.

Partiamo dall’inizio, come ti è venuta l’idea di base?

L’idea è venuta da un bisogno di evasione, di un viaggio in un territorio sconosciuto e, come tutte le cose che si conoscono meno, danno più eccitazione quando le fai. E’ la libertà di poter rientrare nei panni del puro musicista senza nessun tipo di paletto che fosse legato al mio passato, alla mia storia di cantautore e alla mia voce, tutte cose che hanno un peso: nel senso positivo perché hanno trovato un loro pubblico, nel senso negativo perché sono riconoscibili e questo, come musicista a tutto tondo, può essere un limite perché, per assurdo, posso anche innamorarmi della musica africana però sarei ridicolo se facessi un disco solo con percussionisti senegalesi. Fa troppo "ultimo disco comprato" e un’operazione di questo tipo non mi affascina in generale, mi sembra riduttivo, come se dovessi sempre portare tutto a te stesso mentre la bellezza di questo progetto è che io vado fuori me stesso con quella libertà che c'è solo quando non hai a che fare con le cose tue.

Come hai scelto e messo insieme i musicisti che, fatta eccezione per Angelini, sono tutti molto distanti dal tuo mondo musicale?

Un po’ perché mi piaceva l’idea di fare della musica che contenesse degli stili musicali che mi piacciono ma che non necessariamente dovessero andare a finire nelle mie cose, poi perché negli anni ne ho conosciuti alcuni personalmente e altri li ho contattati dopo averli ascoltati dal vivo, come ad esempio i romani Mokadelic. Olivia Salvadori e Sandro Mussida li ho conosciuti tramite My Space, Boosta è una conoscenza dei tempi de Il Locale (famoso club romano, fucina di nuovi talenti negli anni ’90 n.d.r.) Piano piano si è andato componendo questo puzzle di sonorità molto diverse. Il desiderio era quello di farli suonare tutti insieme non mettendoli però nella stessa stanza perché, se metti due musicisti nella stessa stanza è naturale e benedetto che alla fine dialoghino. Facendoli suonare in stanze diverse, dando però loro lo stesso tema, c’era il rischio che costruissimo una storia come quelle che costruisci da bambino quando giochi a scrivere una frase sul foglio e lo passi ai compagni che scrivono la loro senza dirla: ognuno va per i fatti suoi però alla fine srotoli ed esce una frase che potrebbe non avere senso, ma che,se per caso ce l’ha, è inusuale e sorprendente. Questo era il principio ispiratore. In più ho scoperto, tra gli appunti che avevo, questo elemento che abbiamo chiamato simbolicamente cellula, una cosa che mi comunicava molto, che aveva un carattere, ma che non è mai riuscita ad entrare in una canzone. Risale a più o meno cinque anni fa. Riascoltandola ho pensato di partire da lì. La richiesta che ho fatto ai musicisti di comporre una seconda parte completamente libera è venuta perché, immaginando un concerto di trentacinque minuti che fosse solamente quel giro armonico, per quanto cambiato, il rischio noia sarebbe stato enorme; per cercare di evitarla ho chiesto dei “solo” in cui tutti si sarebbero potuti esprimere e questo avrebbe creato delle piccole finestre individuali che aiutano l’ascolto.

Anche solo a livello di ispirazione di base c’entra qualcosa l’esperienza che hai fatto in Sudan?

Il gruppo di percussionisti senegalesi è stato l’ ultimo ad essere contattato. Pensando a quale fosse il linguaggio che mancava sono partito per il Sudan e dopo aver suonato con loro era chiaro che quel tipo di linguaggio sarebbe stato perfetto per esprimere un aspetto della violenza che non è quello occidentale, ma sopravvivenza pura, animalesca. Tutti gli altri elementi sono più intellettuali e loro, musicalmente parlando, sono puro ritmo. Ho considerato l’equilibrio tra chi è più ritmico e chi melodico, immaginando che potessero essere elementi complementari, accoppiati in maniera interessante.

Quanto ci hai messo ad assemblare il tutto? Le tracce ti sono arrivate tutte insieme?

E stato lunghissimo. C’è stato quasi un iter esoterico: ho chiamato tutti i musicisti e ho chiesto di vederci senza svelare di cosa si trattasse, li ho raggiunti nelle varie città e ho spiegato il progetto. Era l’ aprile del 2007. Da maggio a novembre sono arrivati i trattamenti. Fino a che non ho avuto tutto il materiale non ho fatto niente, perché era fondamentale che tutti gli elementi fossero contemporanei. A novembre 2007 sono entrato in studio e ci sono rimasto tre mesi. La prima parte è stata di preparazione: estrapolare dai loro trattamenti tutti i campioni musicali perfettamente sovrapponibili. Tecnicamente è complicato, è una cosa che fino a quattro anni fa non si sarebbe potuta fare. Non c’erano pc e programmi che li potessero sostenere. Poi c’è stata la parte ludica, in cui avevo tutto pronto e ogni strumento di queste 128 tracce aveva un canale del mixer quindi tutti i file potevano suonare insieme perché erano coerenti. Metterli insieme è stato come fare una ricetta. A febbraio abbiamo fatto l’ascolto insieme.

Sei riuscito a coniugare creatività e tecnologia. L’ascolto tutti insieme com’è stato? A quanto ho capito nessuno sapeva niente di quello che avevano fatto gli altri.

No, infatti. Ci eravamo dati una sorta di decalogo. Loro sapevano chi erano gli altri partecipanti però li avevo pregati di non farsi ascoltare rispettivamente quello che stavano facendo per far sì che la cosa fosse il più possibile vera. Abbiamo fatto questo primo ascolto collettivo con quasi tutti a casa dello scrittore Niccolò Ammaniti che avevo contattato perché la colonna sonora del film di Salvatores tratto dal suo libro Come Dio comanda l’hanno fatta i Mokadelic con cui stavo suonando, e dove peraltro si sentirà il loro trattamento. Il montaggio di questo incontro è un contributo video che si può vedere sul sito. E’ stato un momento strano perché non ricordo mi succedesse da anni di stare in 25 persone di fronte a uno stereo per 38 minuti ad ascoltare una cosa in cui ciascuno poteva riconoscere se stesso in mezzo a tutto il resto.

A qualcuno non è piaciuto?

Esplicitamente non mi è stato detto, però io ho la sensazione che quel concetto di mettersi a disposizione di un racconto a cui dai i tuoi colori ma questi possono essere utilizzati per dipingere un’altra cosa da quella che tu avevi pensato, teoricamente ha affascinato tutti però per qualcuno a un certo punto è stato scioccante. Credo di avere avuto tutta la gamma delle reazioni.

Ascoltando Violenza 124 una delle parole che mi è venuta in mente per definirla è stata “rivoluzionaria”. Di questi tempi esplorare il concetto di violenza lo trovo quanto mai azzeccato, pur essendo una pulsione umana di base è un concetto che può sembrare solo negativo, ma tu sei riuscito in qualche modo a trovare una forma di dialogo interno tra linguaggi diversi che si incontrano, si mettono l'uno a disposizione dell’altro in un momento storico in cui sembra invece difficile incontrarsi, parlare, in qualche modo un rovesciamento.

Per me è stato un corso di storia della musica fatto in dodici mesi. Da musicista ha significato scoprire un modo di suonare che ognuno di loro ha, preciso nel proprio stile ma che io non avevo mai frequentato così dal di dentro. Ognuno ha una personalità forte. La speranza era quella che ognuno fosse solleticato ad avere a che fare con una parte di sé un po’ inquietante. Alla fine si arriva comunque ai grossi sentimenti di accettazione o di repulsione però in una maniera ancora più dirompente, sensuale o nostalgica, in Violenza 124 c’è tutto questo. La voce della Salvadori sembra quella di una madre che aspetta il figlio che è andato in guerra, un canto che arriva da lontanissimo invece le percussioni hanno un immaginario più “roots” o ascoltando gli Gnu ti immagini Napoleone che dice “la vogliamo invadere questa Russia?”
E' chiaro che, volendo giocare a sommare, musicalmente avrei creato qualcosa di inquietante piuttosto che di rilassante.

Poi è emozionante..

In alcuni momenti sì, trovo che sia veramente emozionante. In altri, ovviamente, si sente di più che è un esperimento musicale. Il valore di base è anche nel concetto che c’è dietro, in ogni caso il risultato mi sembra interessante.

Violenza 124 è un’opera indipendente, non c’è dietro una casa discografica. Si può scaricare da internet e, per chi vuole, ordinare la versione doppio cd. Quella del web è stata una scelta obbligata?

Esce per la mia etichetta quindi in partenza non si troverà nei negozi. E’ chiaro che se dovesse prendere piede e incuriosire ne riparleremo. Mi piaceva l’idea che ci fosse questo sito (www.violenza124.com) dove si potesse scaricare la versione digitale dell’opera e ascoltare in streaming le versioni separate che fanno parte del secondo cd, per chi vorrà acquistarlo, a formare una sorta di "making of" per capire ancora meglio il procedimento. Secondo me questo è un tipo di progetto che più di altri la persone potrebbero volere fisicamente. Per quanto mi riguarda tutto ciò mi serve anche per capire a che punto siamo, controllandolo personalmente me ne rendo conto di più perché le case discografiche ti raccontano tutto e il contrario di tutto, invece così potrò sapere quante persone realmente preferiscono il download piuttosto che avere il cd. Ormai la via dell’indipendenza è sempre più evidente.

Il fatto che tu abbia lavorato col figlio di Mussida, dopo che tuo padre ha collaborato per anni con la Pfm, è un pò la quadratura del cerchio.

In un certo senso sì. Dopo un mio concerto a Milano mi si avvicina Sandro che, ovviamente, sapeva chi fossi. Mi ha detto di sapere che mi aveva incuriosito il lavoro che fanno lui e Olivia di utilizzare la voce lirica in contesti elettronico- sperimentali e a quel punto ho avuto la sensazione che fosse giusto coinvolgerlo nel progetto in quanto i motivi artistici erano corredati da una storia personale precedente.

Una esecuzione di Violenza 124 però non sarà possibile vero?

Sarebbe bellissimo però l’esecuzione sarebbe già una reinterpretazione del canovaccio. E' evidente che alcune cose sono così perché avevo a che fare con dei campioni e non con dei musicisti in carne e ossa. L’interazione tra due musicisti che su disco dura dieci secondi dal vivo può durare anche dieci minuti. Sarebbe una produzione veramente complessa, ma sto aspettando di vedere se, dopo la pubblicazione, ci può essere la possibilità di farlo. In realtà io me lo sono sempre immaginato eseguito dal vivo. Il live potrebbe essere uno dei potenziali passi successivi. E' un progetto aperto.

Queste scorribande in territori altri rispetto alla forma canzone sono ricerche di libertà creativa perché la canzone ormai ti sta stretta? Potresti, in via teorica, smettere di fare il cantautore?

Sì. La canzone è un meraviglioso territorio dove poter raccontare delle piccole cose che proprio perché sono piccole arrivano tra le mani di tutti. Credo ancora che se sei baciato dall’ispirazione in un momento speciale della tua vita le canzoni siano sempre il miglior modo per raccontarlo. Sappiamo però che cose speciali nella vita non ne succedono tutti i giorni e l’ottanta per cento delle canzoni che ascolto attualmente non ha nessuna luce dentro, sono mere operazioni tecniche.
Ho creduto che questo tipo di vacanza mi facesse tornare quell’entusiasmo e quella motivazione che sono alla base del mio scrivere ed effettivamente è possibile che stia nascendo qualcosa di motivato. Al di là del disappunto di alcuni, non credo che crollerebbe la borsa di Wall Street se smettessi di fare canzoni. Allo stesso tempo questo è un periodo in cui sento come mai prima la vicinanza di un gruppo di persone che aspetta delle canzoni da me. Ormai non ho più un contratto discografico quindi non ho obblighi. Ho la netta sensazione che il prossimo disco di canzoni che farò potrebbe essere il più bello in assoluto. Se uscirà è perché avrò avuto la sensazione che fosse così.

Nel frattempo ti vedremo il primo dicembre sul palco del Teatro Regio di Torino insieme a Gino Paoli e allo Gnu Quartet per la giornata della disabilità.

Sì, suonerò insieme agli Gnu e forse alla fine con Paoli faremo un pezzo insieme: la versione italiana di Father and son di Cat Stevens, che abbiamo già fatto in passato.

Ultima domanda: hai avuto più, meno o il giusto di quello che pensi di meritare dall’industria? Intendo la considerazione verso quello che hai fatto come cantautore, a prescindere da Capelli che è spesso la sola cosa che molti sembrano ricordare.

(Lungo silenzio) Mah.. è complicatissimo. Non so se una persona mai potrebbe dirti sì da viva in un periodo di attività quindi ti dico no, assolutamente no e parte della spinta che mi porta a fare le cose è anche frutto del desiderio della stima e del riconoscimento e non della riconoscibilità. Quella che ho avuto all’inizio è una copertura mediatica tale che fa sì che nell’opinione delle persone che non approfondiscono l’aspetto musicale io venga ricollegato a un certo tipo di cose. Credo che quel tipo di esposizione lì non la potrò avere più, anche se tornassi a Sanremo adesso non riuscirei a sovrapporre una nuova immagine a quella passata. Sicuramente il tipo di linguaggio che ho è meno “marketizzabile” di altri, alla fine si ragiona un po’ tutti per cliché. Per pudore o forse snobismo non sono mai andato a cercare le persone per farglielo capire e modi ce ne sono, eccome. Il fatto che io abbia un linguaggio sia corporeo che musicale che costringe ad avvicinarsi se lo si vuole sentire, perché se stai anche un centimetro più lontano te lo perdi, fa sì che questo continui ad avvenire. Le cose le faccio gradualmente, i cambiamenti sono meno mediatici, meno evidenti però lentamente sto ricevendo delle gratificazioni.

Riportiamo di seguito le dichiarazioni dei musicisti che hanno collaborato a Violenza 124. Tutti hanno risposto alla domanda “Cosa ne pensate del risultato?”

BOOSTA
“Niccolo' è un amico da tanti anni. Ho sempre amato lui e la sua musica quindi avere l'opportunità
di dargliene un pochino della mia è stata colta al volo. Felice del risultato.
Felice di essergli amico.”

MOKADELIC - Cristian
“Per noi già l'essere stati contattati da Niccolò ed avere suscitato il suo interesse era motivo di grande soddisfazione che è stata ancora più grande quando ci ha chiesto di prendere parte ad un progetto così strano ed al contempo affascinante, sia per la sua originalità che per la grande audacia. E’ stato interessante per noi cercare di interpretare un "brano" altrui nella nostra chiave di lettura musicale in totale libertà espressiva. Fino al giorno di incontro ed ascolto in casa di Niccolò Ammaniti ognuno aveva una visione parziale dell'opera. Il merito di Niccolò è stato quello di avere trovato il modo di ottenere da ognuno di noi il massimo della espressività che ci caratterizzava. L'ascolto generale è stato una cosa veramente entusiasmante. Non avremmo mai immaginato di "duettare" ad esempio con Boosta o con la Artale Afro percussion band, eppure eravamo li, tutti insieme, tutti a scavare nella nostra espressività nel modo che più ci rappresentava ed in maniera così naturale essere parti di un tutto così nuovo e diverso dal punto di partenza. Il più grosso dei ringraziamenti quindi a Niccolò che ci ha fatto conoscere un altro lato di noi.”

ROBERTO ANGELINI
“Mi è piaciuto molto lavorare a questo progetto, sia nella fase compositiva in cui ho cercato un modo di interpretare la cellula sulla chitarra acustica, sia nell'ascolto finale e complessivo di tutte le visioni per mano di Niccolò.. Lo ha fatto con gusto e intelligenza riuscendo a dare a una bellissima idea una forma compiuta di opera”

OLIVIA SALVADORI
“Il piacere di condividere una pratica comune partendo da un battito,un indicazione atmosferica,un tema di riflessione. Con entusiasmo aver la possibilità di trovare ed esprimere il proprio spazio,la dimensione sensibile della voce, la voce è un vento caldo...
Con Sandro abbiamo cercato i vuoti possibili,la sospensione. E' stato poi corso naturale ascoltare come questo potesse esser vissuto da Niccolò, percepito e trasformato, portato in un punto altro, diverso, corrispondente al suo sentire e percorso d’ artista. Tema dell’incontro non è stato mai il giudizio stilistico ma l’ascolto e l’abbraccio nelle differenze.”

RUGGERO ARTALE
“E’ stata una bellissima esperienza piena di piacevoli sorprese!!
Inizialmente ho accettato di partecipare più per curiosità e per il potere di coinvolgimento di Niccolò, che per una precisa idea di cosa sarebbe potuto venirne fuori. Ma era nelle regole del gioco. Il gioco è andato avanti e man mano che procedeva scoprivo la convinzione, la simpatia e la capacità di Niccolò di portare avanti la sua idea lasciando a tutti i musicisti coinvolti un grande spazio creativo; tutto ciò ha naturalmente stimolato la voglia di fare della mia band e le sedute in sala di registrazione si sono moltiplicate alla ricerca di nuove soluzioni e nuove idee da proporre.
La cosa più divertente è stata ascoltare il mix finale di Niccolò e di Alessandro Canini: nessuno sapeva cosa aspettarsi e mentre ascoltavamo l'opera sembrava di essere immersi in una specie di campo magnetico: le note di Violenza 124 attraversavano la stanza sconvolgendo in qualche modo le dimensioni del tempo e dello spazio. Eravamo tutti lì, ci eravamo conosciuti da poco eppure stavamo ascoltando una specie di "sinfonia" alla quale avevamo partecipato tutti; non solo: interagivamo l'uno con l'altro come se avessimo fatto mesi di prove.
E' stata un'emozione forte per tutti e ancora di più , credo, per Niccolò che dopo tanti sforzi era riuscito a far convivere in quel piccolo cd realtà e linguaggi musicali apparentemente così distanti ma in verità molto vicini.”

GNU QUARTET-Raffaele Rebaudengo
Credo che ognuno di noi si aspettasse qualcosa di diverso in un certo senso.Trattandosi di un esperimento ardito ed inedito forse nemmeno per Niccolò è stato così chiaro prima di iniziare a lavorarci. La presenza fisica del materiale è stato il vero principio. E' stato come fornire una materia prima di qualità ad uno chef molto creativo senza conoscere il piatto che aveva in mente. Ricordo che al primo ascolto, qui a genova,Niccolò è rimasto perplesso. Ci ha chiesto di risuonare tutto e alla fine ha detto:"ho capito". Non ha detto mi piace o roba simile, doveva capire. La mia opinione è che sia importante il risultato finale più che l'utilizzo del materiale che doveva essere trattato in assoluta libertà. Il risultato mi soddisfa e mi incuriosisce. E' più raffinato di quello che mi aspettavo e ipnotico. Gli ingredienti sono così diversi e lontani che la scansione ritmica sempre uguale e la tonalità che non cambia mai non vengono mai a noia.
Ultime considerazioni sul modo di proporre il lavoro. Si ascolta gratis, si scarica a pochi euro e per un prezzo anche più conveniente rispetto al mercato ti arrivano a casa i due cd in edizione limitata. Direi perfetto. Anche più affascinante è l'idea che sia un progetto aperto. La Cellula è lì e chiunque può interpretarla concorrendo ad un'ideale opera infinita.



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