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Interviste
Pubblicato il 24/02/2008 alle 00:39:11
No More Dolls: Cecilia ha grinta da vendere e…non fa la bambola
di Ambrosia J.S. Imbornone
E’ in radio "Killer",il primo singolo in italiano dei milanesi No More Dolls, il cui power-pop e rock n’ roll grintoso si è fatto apprezzare in UK e USA.Ce ne parla Cecilia Miradoli,una ragazza ricca di spirito e di carica,che...non fa la bambola!

Le ossa se le sono fatti girando per i club della East Coast; ora finalmente sono all’esordio discografico in italiano, dopo l’omonimo disco in inglese: si tratta dei milanesi No More Dolls, indie-band che mescola la carica del rock alternative al pop d’autore per un power-pop grintoso e irresistibile. In radio attualmente è la loro “Killer”, prodotta da Geoff Westley (Lucio Battisti, Cluadio Baglioni, Bee Gees) e missata da Jon Jacobs (Paul McCartney, Yes, Laura Pausini, Nek), nonché accompagnata da un video girato da Gaetano Morbioli (Laura Pausini, Eros Ramazzotti). Si tratta un brano davvero “addictive”, con un riff di chitarra elettrica ad introdurre la strofa e una ritmica travolgente nel ritornello.
Front-woman della band e autrice dei testi è Cecilia Miradoli; completano il gruppo Max Tarenzi (chitarra), Ferdinando Mazzuca (basso), Davide Rinaldi (batteria).
La band,dopo un passato di cover band di Alanis Morissette,ha iniziato a farsi strada con canzoni originali nel 2003 e la sua musica è sbarcata quasi immediatamente in UK, con alcune date a Londra, al Twelve Bar Club e al prestigioso La Scala. E’ nel 2004 che invece il gruppo approda negli States, esibendosi in locali come il CBGB’s e il Knitting Factory di New York o participando come unici ospiti europei di alcuni festival della Grande Mela come il Medusa o il MEANY Fest. Il periodico musicale Newyorkese “Culturedose” li segnala tra le 7 migliori indie bands negli Stati Uniti, mentre a loro sono dedicati tanti passaggi radiofonici ed articoli. Decisivo poi l’incontro con il produttore di Los Angeles Fabrizio V. Zee Grossi (Red Hot Chili Peppers, Glenn Huges, Toto, Ice T, TNT), mentre nell’estate 2005 la band ha l’oppurtunità di aprire i concerti di Offspring e The Hives a Rock In Idro a Milano e dei Motorhead al Venice Rock Festival.
Il nome della band è indicativo e azzeccatissimo: Cecilia è indubbiamente una bella ragazza, ma non è una bambola, ma una donna brillante, ricca di verve e simpatia, che sul palco è una rocker dotata di classe e grinta da vendere. Ci racconta il percorso del suo gruppo, tra Italia ed America, e il nuovo progetto tutto in italiano intrapreso con il singolo in rotazione radiofonica, che anticipa l’uscita del loro album.
Ambrosia: Allora, Cecilia, partiamo banalmente dal nome del gruppo…Dà un’immagine molto grintosa, concreta…Come l’avete scelto?
Cecilia Miradoli: Beh, hanno influito due cose…La prima è che da quando ho iniziato a cantare, ormai tanto tempo fa, tutti mi dicevano che sembravo una bambolina…Ho cominciato con il jazz, con un genere più soft, ma io sono sempre stata molto grintosa, soprattutto dal vivo. La seconda è che non ci piaceva quel tipo di musica un po’ “bamboleggiante” spesso accostata alla figura femminile come vocal. Quindi, basta bambole, basta a un certo tipo di musiche, basta anche per me per l’immagine della bambola, no more dolls!
A: Com’è per una donna essere lead vocal, front-woman di una band che propone sonorità abbastanza energiche?hai mai riscontrato forme di maschilismo nel mondo discografico o da parte dei fan?o c’è parità di diritti e opportunità?o ancora è vantaggio essere una donna?
CM: Sì, da un certo punto di vista lo è. Soprattutto all’estero ci è capitato di riscontrare della sorpresa, perché non ci sono così tante band con una voce femminile come si immagina. Ci sono più nel metal o in determinate altre categorie di musica, ma non nel rock puro, a cui ci dedicavamo noi inizialmente. Abbiamo quindi visto spesso sorpresa in chi ci vedeva dal vivo, perché io sul palco non mi risparmio, neanche gli altri tre lo fanno ed eravamo quattro alla pari, totalmente!E’ stato ben accolto insomma il mio ruolo di lead vocal. Anche in Italia un po’ ha aiutato, proprio perché rifiutiamo certi stereotipi femminili ed il concetto è passato.
A: A proposito del tuo modo di saper stare sul palco, ti ho visto in alcuni videoclip e si vede che avete maturato tanta esperienza nei live. Che rapporto hai con i concerti e con il tuo pubblico?
CM: Totale. Al di là delle registrazioni e delle produzioni dei dischi, mi realizzo soltanto sul palco. Mi dimentico chi sono, mi faccio proprio trasportare, mi diverto, mi metto in gioco. E’ una caratteristica di tutti e quattro. Potrà sembrare retorico, ma la mia vita è sulle assi del palco! Mi ha anche aiutato a metter in luce la mia personalità.
A: Com’è avvenuto il passaggio dall’inglese all’italiano? A volte si consiglia per ragioni di comprensibilità e conquistare più larghe di pubblico…
CM: Ormai non so se funziona così…A noi è venuto spontaneo. Abbiamo prima fatto il percorso inverso: siamo andati all’estero, perché volevamo cantare in inglese e volevamo suonare in Inghilterra e in America, dov’è nata la musica che suoniamo. E lì c’è pane per i denti! Poi, una volta che il nostro progetto è giunto a maturazione, ci è venuta l’idea, anche grazie al nostro produttore, Maurizio Anastasi, di accettare una sfida, di verificare se questo sound che abbiamo portato in giro reggesse in italiano. Non è per niente facile, perché non è la stessa cosa che fare il cantautore o fare canzoni pop, bisogna restare rock e mantenersi lontani dalla retorica: ci proviamo!
A: Com’è stato per te scrivere il testo di “Killer”?
CM: Un po’ come per gli altri testi, cerco di mantenermi lontana dagli schemi commerciali. Cerco di adattarmi un po’ alla musica: è fondamentale, perché ero abituata all’inglese e un testo in italiano rischiava di cozzare con l’accompagnamento…!Poi il contenuto è anche importante e non doveva essere sdolcinato: non riesco a scrivere quelle cose (ride)!La prima volta che cantavo “Killer” non riuscivo a dire frasi come “lasciami andare”, “lasciati amare”! (ridiamo) Pensa un po’ com’ero messa! Poi mi sono detta “cavolo, sono parole della lingua italiana!Le posso utilizzare per dire delle cose senza diventare un violino!” A volte è più difficile parlare nella propria lingua…
A: Che visione dell’amore esprimi con questa canzone? Il testo sembra rappresentare le oscillazioni nella dinamica dei ruoli di vittima e carnefice: per non diventare vittime, non bisogna neanche farsi carnefici in amore?
CM: Esatto! Nella mia piccola esperienza, o secondo quella che ho tratto dai racconti delle mie amiche e dei miei amici, vedo che il problema fondamentale è che abbastanza spesso non si riesce a trovare un equilibrio tale da non prevaricare né essere vittime… Tattiche come quelle per cui in amore vince chi fugge, ecc. funzionano, ma dov’è poi l’amore? La donna della canzone, che è abituata a dominare, piuttosto che farsi vittima o come al solito carnefice di uno che veramente le piace, preferisce allontanarlo.
A: Quando uscirà il vostro album?
CM: E’ già pronto. Uscirà entro l’estate, per la logica secondo cui si preferisce pubblicare prima piccoli assaggi dell’album. Noi veniamo poi da questo percorso particolare per cui abbiamo pubblicato canzoni in inglese…Quindi uscirà prima senz’altro un altro singolo e poi il disco.
A: Com’è stata la collaborazione con Geoff Westley?
CM: Pazzesca! Noi un produttore così storicamente bravo e famoso non l’avevamo mai incontrato! Il produttore del disco precedente era una persona in gambissima, aveva fatto un sacco di cose, anche lavorare con i RHCP, ma Westley è un mito della musica leggera italiana. Poteva sembrare un controsenso per un gruppo indie incontrare un produttore che ha lavorato con Baglioni, Battisti, le canzoni più classiche della musica italiana, ma invece era bella la sfida: ha arrangiato come un direttore d’orchestra soprattutto le parti vocali che sembrano sezioni d’archi, senza snaturare il nostro rock n’ roll, lasciandolo in mano nostra. Nell’album si potrà capire meglio cosa intendo, perché “Killer” forse è meno rappresentativa in questo senso. E’ stata un’esperienzona, mi sembrava di essere parte di un’orchestra!
A: Ci sono delle differenze al livello di sonorità rispetto al primo disco?
CM: Sì, perché era un disco molto live, anche ruvido, se vuoi…
A: Con molte distorsioni, mi sembra…
CM: Sì, perché venivamo e andavamo in una direzione che era quella lì, andavamo in America a suonare per un pubblico che recepiva quelle sonorità. Quel disco era la fotografia di come eravamo dal vivo, anche se nei live siamo anche più cattivi! Però almeno l’immagine non si allontanava molto dai concerti. Ora c’è l’italiano di mezzo, abbiamo fatto questo esperimento con Geoff di orchestrazioni diverse, e quindi il suono è più rotondo, ma potente come quello di un gruppo rock. La voce è più in evidenza, mentre prima era molto più dentro, non ci sono distorsioni, anche se Jon Jacobs, che ha curato il missaggio, ha usato varie cosine, filtri, cose strane e particolare che un orecchio esperto può notare. Anche in questo caso si tratta di qualcosa che si può notare meglio nel disco che in un singolo solo.
A: Avete riscontrato differenze tra abitudini, attitudini, gusti musicali tra italiani e americani?
CM: Quello che dico spesso, rattristandomi e sperando che cambi, è che gli americani sono molto più curiosi in media degli italiani. Quando proponi qualcosa di nuovo dall’Europa, vengono in massa a sentirti. Se piace quello che fai, ti premiano con una continuità, una crescita…In Italia si basano molto su quello che conoscono e già esistono e le persone non vanno verso le novità, o ci vanno con diffidenza e pregiudizi…Quando poi diventi famoso o imbrocchi una certa strada, magari prestano più attenzione. Non c’è tanto interesse verso la musica come ce n’è all’estero. E’ triste, perché siamo un paese di musicisti, grandi parolieri, ecc. ma purtroppo è così. Basti pensare che in Italia c’è il festival di Sanremo…
A: Sì, ci sono le dovute eccezioni, ma a volte vi si sentono alcune delle canzoni più tradizionali suonate in Italia!
CM: Appunto, ci sono delle realtà regionali, locali underground molto interessanti ma fanno una fatica incredibile ad emergere e farsi conoscere. I locali sono pochi (e questa è già una differenza) e vogliono le cover: all’estero o almeno, in America, dove siamo stati noi, le cover-band non esistono o hanno un circuito come hotel, navi, piano-bar! (rido). Se provi a fare una cover in un locale dove la stragrande maggioranza delle band fa musica originale, ti cacciano! E’ una bella differenza, perché chi vuole provarci, sa dove farlo.
A: Siete stati supporter di band come Offspring, The Hives, Motorhead: che ricordo avete di queste esperienze?
CM: L’esperienza con i Motorhead è stata pazzesca. Il posto era immenso, c’era un pubblico vastissimo e sono lontani dalle nostre sonorità: eravamo un po’ intimoriti. Invece Rock in Idro con The Hives e Offspring è stato molto divertente, perché è stato uno dei primi grandi festival a cui abbiamo partecipato, con il calore di tutto quel pubblico dal vivo…Poi suonare con band che hanno tanta esperienza alle spalle ti fa fare quel passo avanti che si cerca sempre di fare dal vivo. Speriamo di farne ancora con le canzoni in italiano, io lo spero tanto!
A: Ho visto sul vostro space tra i vostri riferimenti gruppi diversissimi, dall’indie al grunge, dai Franz Ferdinand ai Nirvana, dai Foo Fighters ai Garbage…A me vengono in mente anche le Hole di Courtney Love. Che ascolti pensiate che siano stati più decisivi per voi come musicisti e per te come cantante, per la strada che poi avete intrapreso?
CM: A parte le cose più tradizionali, che possono essere banali ma ci sono, come per me i Pink Floyd, siamo quattro che, quando stiamo insieme, siamo una cosa sola, ma abbiamo gusti musicali diversi. Io vocalmente ho dentro Tori Amos, per certi tipi di canzoni, ma anche Chrissie Hynde dei Pretenders o la stessa Blondie, che mi piaceva molto nel suo primo periodo…Da piccolina poi ascoltavo molto Joni Mitchell, che è stata l’antesignana della vocalità bianca di un certo tipo. Mi è piaciuto molto il primo disco di Alanis Morissette, e anche alcune cose che ha fatto dopo…Anche le Hole per certi versi mi hanno colpito, come il punk inglese. Poi come ascolti io vado da Jeff Buckley ai Radiohead e alle cose più commerciali dei Garbage, che come produzione mi son sempre piaciute tantissimo. Max ascolta Kiss e Ac/Dc, Ferdinando i Sigur Ros e Motorpsycho, Davide ascolta il jazz, fai un po’ tu! Un marasma!
A: Devo dire che comunque non si sentono influenze preponderanti nelle vostre canzoni e non è comune, visto che ci sono tanti gruppi, che se non sono coverband, fanno il verso ad altri…
CM: Mi fai felice nel dire questo…ma spesso chi ci ascolta o chi scrive vuole un riferimento preciso. “Sei la versione italiana di…?”. Non lo sopporto: è un insulto all’Italia! Perché dovremmo essere la versione italiana di qualcuno? (ridiamo). Non possiamo avere una personalità nostra?E basta con i “devi essere così, devi essere cosà…”. Ma abbiamo un po’ di coraggio di tirar fuori qualcosa di nuovo! Non che io immagini di aver scoperto chissà cosa, ma almeno cerchiamo di non dedicarci all’imitazione!
A: Va bene, ti ringrazio per l’intervista: tanti complimenti, perché sei davvero simpatica, oltre che brava…
CM: Grazie a te. Abbiamo anche un video e tra poco ci saranno altre sorpresine…
A: Auguri allora per il singolo, l’album e la vostra carriera!


Nella foto:Cecilia nel video di "Killer".

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