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Interviste |
Pubblicato il 14/05/2010 alle 13:52:20 | |
Gnu quartet: non chiamateci quartetto d'archi!
Lo Gnu quartet e' un gruppo di musicisti genovesi che in pochi anni e' riuscito a conquistarsi la fiducia di tantissimi artisti e vanta collaborazioni di grande spessore.
Lo Gnu quartet è un gruppo di musicisti genovesi che in pochi anni è riuscito a conquistarsi la fiducia di tantissimi artisti e vanta collaborazioni di grande spessore. Dopo periodi di appaganti esperienze individuali nella musica classica, brasiliana, jazz e d’autore con sconfinamenti nel teatro e nel cinema, Stefano Cabrera (violoncellista e arrangiatore), Raffaele Rebaudengo (viola), Roberto Izzo (violino) e Francesca Rapetti (flauto traverso) decidono di dare vita ad un quartetto dal sound personale ed eclettico. Pfm, Gino Paoli, L’aura, Niccolò Fabi, New Trolls sono solo alcuni dei molteplici artisti con i quali hanno collaborato.
Ultimamente hanno affrontato quello che, scherzosamente, hanno battezzato come il “Tritour”, cioè suonare in tre tour di tre diversi artisti contemporaneamente. Hanno fatto la spola, infatti, tra Baustelle, Afterhours e sono stati protagonisti a tutti gli effetti del Grand Hotel Cristicchi, spettacolo messo su dall’autore di “Ti regalerò una rosa” per presentare il nuovo cd, dove i quattro musicisti non solo suonano, ma recitano, cantano, salgono sul palco con un parruccone “cristicchiano” per dare vita a numerose e divertenti gag.
Li abbiamo incontrati proprio in occasione di una data del Grand Hotel Cristicchi e abbiamo testato con mano la simpatia e la serietà di questi quattro musicisti.
Avete una formazione classica e venite dal mondo accademico. Perché quella classica e quella “pop” sono due carriere che per un musicista non possono coesistere? Forse perché il pop dagli accademici è mal visto e dà un’ immagine di poca professionalità?
Rebaudengo: Puoi continuare tu tranquillamente…sono tutte motivazioni valide. Sopraggiungono poi le motivazioni personali. Prima di arrivare al pop ognuno di noi ha attraversato delle fasi musicali diverse; ad esempio a Izzo piaceva molto Stevie Wonder invece io non sopportavo chi cantava e ascoltavo solo fusion, Stefano faceva rock pesante e Francesca musica brasiliana.
Izzo: Ci piacevano vari generi musicali anche quando eravamo già in conservatorio. Ci siamo resi conto di avere sbagliato lo strumento scelto un po’ troppo tardi!
Cabrera: E’ vero, il passaggio è stata una cosa naturale, non abbiamo deciso perché ci eravamo stancati di una cosa, abbiamo solo avuto la possibilità, in un certo momento della carriera, di trovarci tutti e quattro insieme e abbiamo capito che era il momento utile per poter fare quello che volevamo. Il progetto Gnu è quello che ci ha dato la possibilità di esprimere quello che siamo sempre stati e che per mille ragioni non potevamo fare. Non stiamo a disagio a usare il distorsore o improvvisare.
Rebaudengo: Anche quando suoniamo jazz o pop il nostro approccio è quello della serietà di un musicista classico: noi studiamo, cerchiamo di sfruttare tecnicamente tutte le possibilità del nostro strumento. Una bella definizione di noi l’ha data un assessore sardo dicendo: “Gli Gnu hanno il corpo del musicista classico, il cervello del jazzista e le zampe dei rockettari.”
Questo vostro approccio ha fatto sì che Cristicchi vi scegliesse per il suo spettacolo teatrale che vi vede anche in veste di attori e cantanti. Siete a vostro agio con le parrucche in testa e a fare scenette comiche sul palco?
Cabrera: Noi per primi abbiamo cercato Simone, nel 2006. Da lì è nato questo rapporto professionale che non si è più interrotto ed è stato lui che ha capito come sfruttarci. All’epoca eravamo formati da poco, ora abbiamo avuto la possibilità di fare più esperienze insieme. Il progetto del Grand Hotel Cristicchi è uno spettacolo che ha la sua forma, in cui abbiamo dei compiti ben precisi. Prima i concerti erano più basati sull’entusiasmo e il piacere di suonare insieme. Adesso c’è un progetto che spero andrà avanti oltre le date del tour.
In questo spettacolo Simone si rivela come quello che ci dà più possibilità: oltre a farci recitare e metterci le parrucche, a livello di sonorità è la prima volta che lo Gnu si apre: cantiamo, c’è chi recita, io suono il basso, loro usano le pedaliere. Anche chi ci conosce ci scopre come un gruppo che non è solo un quartetto classico, ma è una band.
Sfatiamo questo mito del quartetto d’archi
Izzo: Non siamo un quartetto d’archi! Siamo un trio d’archi più un flauto. Più semplicemente Gnu quartet. Siamo una band e basta.
Cabrera: Ci sono due cose contro cui combattiamo molto: una è che non siamo un quartetto d’archi l’altra è che possiamo essere un quartetto classico ma anche una rock band.
Quale pezzo di Cristicchi vi è piaciuto di più arrangiare o suonare?
Cabrera: “La risposta”. Ci sono poi un paio di pezzi che ho arrangiato e non abbiamo mai suonato. Uno è “Sul treno” che è diventato ormai uno scherzo tra noi. Ogni tanto esce fuori Simone a dirci: “ Stasera facciamo “ Sul treno”! E’ una sorta di battuta.
Izzo: “La risposta”. “Genova brucia” dà tanta soddisfazione suonarlo, per il testo e per il significato.
Rebaudengo: Anche per me “La risposta” che trovo uno dei brani più poetici di Cristicchi e “Genova brucia” che mi tocca molto. Mi piace tanto suonare “Meno male” perché ho una parte abbastanza difficile e mi diverte.
Avete parlato di “Genova brucia” Essendo voi genovesi, qual è stata la vostra reazione al pezzo?
Cabrera: Appena ascoltata ho mandato un sms a Simone dicendogli: “Questa la dobbiamo assolutamente suonare! “
Ultimamente è stata oggetto di molte critiche
Rebaudengo: Forse la gente non sa che il testo è stato scritto a ridosso del G8. Poi ci sono stati impedimenti discografici a pubblicarla prima. Siamo i soliti italiani: se c’è del polverone non bisogna sollevarlo perché altrimenti a forza di sollevarlo poi si fa chiarezza. Rimane l’attualità della frase che chiude il brano: “ I mandanti del massacro sono ancora in parlamento”. Mi piace molto l’intonazione che dà Simone a quella frase perché non si capisce se sia una domanda o un’affermazione. Purtroppo è un’affermazione.
Com’è stato l’approccio a livello di suono rispetto al lavoro che avete fatto con Afterhours e Baustelle?
Cabrera: Sono cose completamente diverse. Gli Afterhours ci hanno dato quello che non abbiamo mai provato prima: entrare in un gruppo rock anche con delle improvvisazioni, che non sono quelle del jazz, ma di sonorità che si prolungano, dove ognuno deve avere la padronanza dello strumento ma l’idea di essere in un gruppo. C’è un pezzo che si chiama “Simbiosi” , sono sei minuti di musica free però con delle regole. E’ bello entrare ed uscire con i nostri strumenti. Non è facile perché siamo sempre stati abituati allo spartito e la sonorità è più vicino al “rumore”, ma è bello perché ci sono certi punti in cui ci sono tante dissonanze, un po’ di caos voluto.
Con i Baustelle è altrettanto bello perché abbiamo lavorato su un' altra sonorità molto interessante, più complessa che ha radici in citazioni di Morricone e musica anni ’70. Si è trattato di stare su quelle sonorità senza per forza rifarle. Con Cristicchi c’è da rimboccarsi le maniche e suonare tutto il concerto, tenendo sempre alta la tensione perché non c’è batteria.
Dopo “Gnu Quartet” e “Il diverso sei tu” a che punto è la lavorazione del vostro terzo cd?
Cabrera: Non se ne può parlare nel dettaglio, ma uscirà presto e sarà un misto tra la sonorità degli Gnu e quella elettronica, la musica 8 bit che si rifà ai suoni dei videogiochi degli anni ’80, due mondi lontanissimi che stanno insieme. Sono tutti pezzi originali. Non sarà solo strumentale, anche se al momento il progetto non è ancora definito, ci sarà una voce. Per fortuna dei punti di riferimento in Italia per questo tipo di cose non ci sono, ci siamo ritrovati a fare una cosa nuova. E’ una bella situazione perché sentiamo che stiamo facendo qualcosa di diverso.
Con Cristicchi prendete in giro i talent show. E’ davvero solo quello il modo per uscire dall’anonimato?
Rebaudengo: Non è l’unico modo, ma è l’unico spazio che viene concesso in tv. Come era una volta Canzonissima, è l’unico spazio che dà ai talenti la possibilità di farsi vedere. E’ un tritacarne per come è costruito. È un luogo in cui si può imparare, da dove escono persone valide, spesso prima della fine. E’ logico che se la discografia continua a clonare l’esistente e a riproporre qualcosa che è certa che funzioni non si cresce artisticamente, musicalmente ma anche come Paese.
Qual è il ruolo che ognuno di voi ricopre all’interno degli Gnu?
Rebaudengo : Ne abbiamo sedici a testa! Ognuno ha un soprannome: io sono “Il metodo” perché ci sono dei momenti in cui prendo la parola e termina la “caciara”. Stefano (Cabrera) è “Il Maestro” o la “Signorina Rottermeier” quando è acido. Roberto (Izzo) è il nostro “Guitto”. La Rapetti è la nostra donna e la chiamiamo “Il capo”, non è vero ma, come a molte donne, fa piacere sapere che lo è. ( ridono) In fin dei conti è grazie a lei che ci siamo formati.
Noi “facciamo ufficio”, ognuno ha un compito preciso e grazie a questo siamo efficientissimi. Basti dire che in due giorni siamo riusciti ad arrangiare un disco intero e registrarlo.
Tu sei l’unica donna, com’è tenere a bada tre uomini? Se foste state un gruppo di sole donne sarebbe stato diverso?
Rapetti: A te sembra che io sia l’unica donna, ma in realtà siamo tre donne e un uomo, il vero uomo sono io! (ride) Tenerli a bada è abbastanza difficile, ma cerco di farlo. Sono tutti sposati e fidanzati e sono tutti bravi ragazzi, morigerati, non fanno tardi la sera (ancora risate anche degli altri) Per sette anni ho avuto un quartetto femminile ed è finita a lettere dagli avvocati. Abbiamo suonato in tournèe teatrali, ne “I bambini sono di sinistra” di Bisio, ma alla fine ci siamo spaccate in due, è stata dura.
Ho letto sul vostro sito che dopo un concerto uno di voi ha scritto di aver avuto la sensazione meravigliosa di fare il lavoro più bello del mondo. Quando è così e quando invece no?
Rebaudengo: Il momento più bello è quando ti trovi con degli altri musicisti e senti che l’obiettivo comune è quello di far uscire della musica da ogni secondo del concerto. Quando ognuno ha la coscienza di esprimersi meglio attraverso il gruppo che come singolo. Quando queste alchimie funzionano è un qualcosa che ha a che vedere con l’infinito, che travalica la tua finitezza di persona. Vale per ogni cosa di cui si ha passione
Cabrera: La cosa bella al momento è che abbiamo la possibilità di decidere noi cosa suonare e come suonarlo, senza subire. Per un musicista la cosa più brutta è sentirsi dire come deve suonare. Al conservatorio ti fanno crescere con l’idea che le emozioni possano venire solo dalla musica classica. Quando Manuel Agnelli attacca “Pelle” abbiamo i brividi; ci piacerebbe far cambiare questa mentalità cercando di far capire che la musica pop, fatta in maniera seria, dà le stesse emozioni di quella classica.
Si ringrazia Luciana Morbelli per la concessione della foto
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