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Interviste
Pubblicato il 09/06/2006 alle 14:47:49
Mimmo Locasciulli: testimone di ieri, cronista di oggi.
di Andrea Del Castello
Sempre attento sia ai temi storici sia a quelli d’attualità, Locasciulli propone “Sglobal”, un disco registrato insieme ad alcuni tra i più grandi interpreti del panorama internazionale. E dichiara "mi piace essere cronista del tempo che vivo".

Roma. 10 maggio 2006. Via Nazionale è il solito brulicare di veicoli e pedoni; sul fondo, verso Piazza Venezia, la quadriga sovrastante l’Altare della Patria incide la sua sagoma nera contro la luce crepuscolare di un cielo striato da sottili nubi lontane. A lenti passi mi dirigo verso il Piccolo Eliseo, il Teatro nel quale stasera Mimmo Locasciulli presenterà dal vivo “Sglobal”, il suo nuovo disco.
L’aria è tiepida e la passeggiata diventa più gradevole man mano che i veicoli diradano e il rumore dei motori lascia il posto al silenzio della sera. Respiro il profumo della primavera, la fragranza del metabolismo che ciclicamente percepisce l’avanzare verso le serate all’aperto.
Un’altra ondata di vetture mi desta dai pensieri. Deve essere scattato il verde al semaforo che mi sono lasciato alle spalle, ma ormai il traffico sta scemando: sono poche vetture, passano, ed è di nuovo silenzio.
Sono quasi arrivato, supero alcune persone impazienti per l’attesa dell’ultimo autobus pomeridiano. Tra esse riconosco la ragazza che mi aveva superato di corsa. Adesso capisco perché correva. Invano. E’ sconsolata. Deve aver perso l’autobus che rincorreva. Dovrà aspettare quello successivo.
“Guarda! Stasera c’è Locasciulli!”. Mi desto di nuovo dai pensieri. Sono arrivato. Di fronte a me c’è una signora che indica all’amica il manifesto nella vetrina del teatro. “Ci andiamo?” chiede con retorica. Osservo l’orologio. È presto. Sono sicuro che verranno. E infatti le incontrerò più tardi in platea. Per me invece non è affatto presto. Entro. Arrivo in sala. Mimmo mi sta aspettando e mi riceve con il suo solito fare molto cordiale.
Ci accomodiamo e cominciamo a parlare:

ADC: “Sglobal” è un tema d’attualità: la denuncia del controllo che ognuno subisce nella vita quotidiana. Perché hai scelto questo tema?

ML: Non facciamo altro che leggere e sentire che esiste un sistema mondiale di controllo sulla nostra vita, sui nostri spostamenti, sui nostri consumi, sulle nostre abitudini. Dal semplice prelievo Bancomat, agli acquisti con Carte di credito, dal Telepass alle banche, dai supermercati fino alla prenotazione di un taxi… Le città sono piene di telecamere, nei negozi, negli alberghi, dappertutto! E’ veramente incredibile come si sia sviluppata una rete dalla quale è impossibile uscire. E, d’altra parte, i meccanismi di condizionamento diventano ogni giorno più efficienti: la pubblicità televisiva, murale, sulla stampa. Ma non solo; il sistema commerciale, l’economia, l’agricoltura, tutto è indirizzato al condizionamento implacabile a livello dei singoli individui se non di intere comunità. E’ un quadro agghiacciante di fronte al quale è veramente difficile rimanere impassibili.

ADC: Questo brano è realizzato insieme a Frankie Hi-nrg. E il disco in generale presenta un ventaglio di generi e collaborazioni molto vasto e variegato. “Sglobal” è un rap-rock su un tappeto funky, “Aiuto!” è un blues suonato con Alex Britti, mentre atmosfere jazzy fanno da sfondo a “Perso e trovato” con Stefano Di Battista e così via. Come nascono queste scelte? Opti per gli artisti in base ai generi che decidi di volta in volta di suonare, oppure sono quelle collaborazioni ad influire sulla contaminazione dei vari generi nella canzone che di volta in volta interpreti?

ML: La scrittura di una mia canzone prevede determinati passi; inizialmente concepisco una specie di embrione, cioè una idea piuttosto sfumata con una linea melodica più o meno rudimentale che lascio sedimentare per un po’ di tempo. Alcuni di questi abbozzi non resistono al tempo e sfumano velocemente. Altri, viceversa, acquistano un certo valore emotivo e mi determinano una certa tensione interiore che mi porta ad addentrarmi di più nella loro essenza e ad analizzarne i possibili sviluppi. Così, ad esempio, dopo la prima idea di “Sglobal” ho sentito la necessità di completare il tema del condizionamento e del controllo con un artista che non si abbandonasse alla stupidità di slogan e luoghi comuni, ma che avesse l’intelligenza e la cultura per trattare con ironia ed efficacia l’argomento. D’altra parte era da molto tempo che desideravo scrivere e cantare qualcosa con Frankie Hi-Nrg, anche se il rap è piuttosto distante dal mio mondo. Ma mi sono sentito perfettamente a mio agio ed il risultato mi rende davvero felice.
Con Britti il percorso è stato un po’ diverso. Quando ho cominciato a registrare “Aiuto!” ho capito (solo allora) che effettivamente la canzone ‘puzzava’ di blues. Non ho mai scritto un pezzo del genere e volevo sottolineare in qualche modo la differenza stilistica con le altre mie canzoni. Alex è un grande cantante ed ha la popolarità che si merita, ma mi piace molto il suo modo di suonare la chitarra, viscerale, istintivo, colto e da strada nello stesso tempo, mai scontato o didascalico. Anche con Stefano Di Battista non si è trattato di un progetto nato in modo asettico o astratto. “Perso e trovato” è un pezzo di caratura internazionale, con la musica scritta da quel grande musicista che è Greg Cohen. Sentivo il bisogno di non banalizzare quella canzone ed ho pensato a lungo a chi e come poteva dare la luce giusta, i colori più appropriati alle atmosfere che via via sentivo aprirsi attorno alla canzone. Stefano è uno dei più grandi musicisti europei, se non mondiali ed il suo sax costituisce indubbiamente un incommensurabile valore aggiunto. Citerei ancora Marc Ribot, questo straordinario e rivoluzionario chitarrista che è riuscito ad interpretare perfettamente le mie intenzioni portando la mia musica verso un territorio di maggiore originalità.

ADC: Ancora una volta il tempo che fugge rappresenta il tema cardine del disco. E’ una scelta consapevole, oppure si tratta di uno stilema che appare nei tuoi testi in modo automatico e spontaneo?

ML: Il tempo è lo specchio e il tassametro della mia vita, ma non solo il tempo che fugge. Anche quello che deve arrivare o quello che non c’è mai stato. La cognizione o la misurazione del tempo, inseguirlo o incorniciarlo nella memoria, sfuggirlo o corteggiarlo è geneticamente insito nelle mie canzoni. Ma non solo il tempo: la notte, i treni, la luna, i cani. Sono ingredienti piuttosto ricorrenti nella mia narrazione. Penso che ogni artista ne abbia di personali.

ADC: A proposito del tempo che passa, posso fare senza remore il più banale dei paragoni, vale a dire quello con il vino? Più passano e gli anni e più sforni belle canzoni. Penso a “Delitti perfetti”, “Piano piano”, “Aria di famiglia”, ma soprattutto ai pezzi di “Sglobal”, come “Hemingway”, il più poetico dei testi di questo disco, per un letterato che era tutt’altro che poetico. Perché un omaggio a Hemingway?

ML: Credo di aver scritto delle belle canzoni anche in passato, per la verità. Ma sono abbastanza d’accordo che il livello complessivo del mio scrivere oggi sia un po’ più alto che non in passato, anche se le mie canzoni di oggi possono risultare meno vendibili. Da cinque anni incido i miei album con la mia etichetta e forse questo mi permette una maggiore libertà. Potrei dire che non avverto alcun tipo di condizionamento, se mai ce n’è stato, da parte della discografia. Pur se i miei distributori operano seguendo le leggi del mercato, il fatto di essere un “indipendente” mi ha rimosso alcuni freni probabilmente inibitori. Ma forse c’entra anche l’età: a vent’anni scrivevo dieci canzoni al giorno e ne buttavo via undici, oggi ho molto più pudore nel proporre canzoni nuove al pubblico che ama la mia musica e, forse in modo inconscio, cerco di tirare fuori il meglio.
Su Hemingway c’è poco da dire: Paolo Conte gli aveva fatto una fotografia in una posa che probabilmente lo rappresenta meglio, io ho voluto incorniciarlo in un momento notturno di dubbio artistico ed umano, per sentirlo ancora più vicino.

ADC: Insomma, un disco intenso, pieno di storie vissute, pieno di storie e pieno di storia; e la storia non è fatta solo di passato, ma anche di presente e futuro, come si comprende nella denuncia di brani come “Sglobal” e “1904”.

ML: Il mio amore per il racconto e per il cinema mi aiuta a scrivere le storie che amo raccontare nello stile che sento più appropriato. “Sglobal” è più cronaca, urgenza, resistenza; “1904” è al contrario la necessità di parlare di un argomento che spesso è tabù nelle canzoni. Spesso, per il grande pubblico le canzoni sono una camomilla o la proiezione dei sogni, o il viaggio in un mondo irreale, senza bisogni e senza problemi concreti, una specie di rifugio antiatomico, insomma. A me piace essere in qualche modo testimone e cronista del tempo che vivo e quindi mi piace anche portare nelle mie canzoni temi difficili ed attuali. Le riverberazioni del fascismo e del nazismo spesso costituiscono un atteggiamento di tipo giovanilistico-delinquenziale, ma più spesso può individuarsi una regia occulta che condiziona le azioni dei ragazzi e degli adulti. Penso al fenomeno dei nazi-skin, all’intolleranza antisemita, alla xenofobia spinta. E così ho avuto piacere a tradurre in italiano “1904”, che il gruppo svizzero dei Patent Ochsner aveva inciso qualche anno fa.

ADC: Un brano in controtendenza, meno terreno e più trascendente, che rasenta quasi la dimensione onirica, è “Anna di Francia”. Com’è nata l’ispirazione?

ML: Ho rivisto recentemente il bellissimo film di Hector Babenco “Ironweed” interpretato da Meryl Streep, Jack Nicholson e Tom Waits. Una storia di barboni molto poetica e commovente. Avevo tra le mani una musica scritta da Guido Elle, mio figlio, che mi ha messo in diretta comunicazione con l’anima di Helen, la protagonista del film. Molto della mia canzone non c’entra col film, ma è stato magico. Purtroppo, per ragioni di metrica, non sono riuscito a chiamare la mia canzone “Elena di Francia”

ADC: Per “L’autunno, dopo tutto” hai creato un clima d’intimità giocato su un’avvincente ambiguità tra una chiusura sentimentale e un rapporto interpersonale. Ed hai sottolineato a livello timbrico questa atmosfera di tenerezza, ricorrendo a strumenti particolarmente zuccherini, come i glockenspiel. Parlaci di questa ricerca timbrica in questo e negli altri brani, ma anche durante i concerti.

ML: Questa canzone l’ho scritta in dieci minuti, ero davvero molto ispirato. Mi risuonavano nella testa alcune frasi: “ gli uomini cambiano lungo i viali del tempo come cambiano i venti con le stagioni…” o “ tutte le stazioni di questo lungo viaggio di confine si colorano d’argento e si tingono d’amore…” o ancora “ io ti guardo dormire e fuori cade la pioggia e dolcemente l’autunno è già qui”. Sono frasi semplici ma di una certa intensità, creano una certa atmosfera interiore. Ho cercato di riprodurre con il violino, il glockenspiel e la fisarmonica le sensazioni provate nella composizione della canzone.
Il suono è molto importante per me, è il vestito con cui presento il mio mondo. Ecco perché presto molta cura ed attenzione alla ricerca dei suoni, sia durante le registrazioni che nei concerti dal vivo.

ADC: E visto che abbiamo toccato l’argomento, parliamo di concerti. So che stai preparando un tour internazionale. Dove potremo venire ad ascoltare la tua musica dal vivo?

ML: In effetti la ragione principale per cui continuo ad incidere album è per avere un motivo in più di fare concerti. Amo cantare ed amo il pubblico e spero di poterlo fare per altri innumerevoli anni. Per ora mi accontento di quello che faccio, anche se non è una grossa fatica. Il tour partirà il 13 Luglio, dopo la fine dei mondiali, ed arriverà fino a settembre. Sarò un po’ dappertutto, da nord a sud e un po’ anche all’estero. Ho in programma quattro concerti in altrettanti prestigiosi festival nella Svizzera tedesca, con Patent Ochsner che, spero di portare prima o poi anche in Italia. E’ dinamite pura!


Ma prima di tutto c’è il concerto di stasera, il debutto di “Sglobal”. Congedo Mimmo ringraziandolo per la sua solita disponibilità e mi accomodo in platea. Il concerto è splendido, con versioni particolarmente gustose. Come “Una vita che scappa” eseguita dal solo contrabbasso di Cohen e dalla voce di Locasciulli, oppure come “Aria di famiglia”, uno dei capolavori del repertorio della canzone italiana, eseguita in un saliscendi di ritmi e sonorità che conducono verso uno straordinario vortice di emozioni.
Il teatro è pieno. Applausi fragorosi e richieste di bis a non finire. È tardi. Solo il tempo di andare in camerino a salutare i ragazzi e a ringraziare Mimmo della splendida serata.
Esco dal teatro e mi incammino verso la mia auto. È davvero molto tardi e mi aspetta un lungo viaggio di notte, ma non mi preoccupo. Poi penso al viaggio sonoro che ho vissuto poc’anzi in teatro e allora sì che riaffiorano i brividi…

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