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Pubblicato il 09/02/2005 alle 21:11:36
Tao, rock con un tuffo nel beat
di Antonio Ranalli
"Forlìverpool” è un disco non solo “suonato” dall’inizio alla fine ma anche e soprattutto suonato, cantato, composto e arrangiato da Tao. Tredici canzoni ed un videoclip per perdersi o per ritrovarsi nei mitici ’60.

Tao è nato negli anni ’70 e ne va fiero! Non tanto perché abbia respirato l’aria e la musica di quel periodo (era troppo piccino per capirci qualcosa) ma perché può dire di avere avuto per le mani e per le orecchie un po’ di dischi di quegli anni e del decennio precedente, i favolosi anni ’60! La musica dei Beatles e di tutti i gruppi della beat generation gli è entrata nell’anima. Il suo approccio alla musica è da autodidatta: ha imparato a suonare e a cantare, più che a orecchio, “a cuore”: barattoli del caffè e fustini del Dixan sono stati i suoi tamburi, matite e pennarelli le sue bacchette. Dopo varie esperienze come autore, è con l’incontro con Andrea Basile (ex cantante dei Joecool) che inizia la sua carriera discografica. Il progetto comincia ufficialmente nel 2003 con la realizzazione del singolo di debutto “Che colpa abbiamo noi” (cover del noto successo dei Rockes), prodotto e pubblicato dall’etichetta Grace Orange/Erazero e distribuito dalla Venus. "Che colpa abbiamo noi" conquista la programmazione su importanti network radiofonici e televisivi. Quindi è la volta di “Primo Amore”, singolo che ha di fatto anticipato il suo primo album “FORLìVERPOOL”, un vero e proprio atto d’amore alle proprie radici e alla passione per la musica inglese. Per la serie quando Forì e Liverpool si incontrano non può che nascere un personaggio come Tao.


Mi ha molto colpito la versatilità di questo tuo album di esordio. Molto rock, moderno, ma con uno sguardo rivolto agli anni ’60 e in particolare alla musica beat. Come nasce questo accostamento?

E’ un po’ il collegamento tra le due cose. Io sostengo una cosa: le radici credo siano proprio impossibili da nascondere. E le mie radici partono dal beat degli anni ’60. Ovviamente non è l’unica musica che ascolto, ma la mia infanzia parte da lì. Poi mischiando questa cosa ad un filone di brit e punk rock, più attuali, ho cercato di tirare fuori un mix tra le due cose.

Il titolo “FORLìVERPOOL” sembra riassumere questo concetto. Perchè proprio questo titolo?

E’ una sorta di titolo scherzoso, un gioco di parole. Ma significa anche l’unione tra l’oggi e il passato. Il fatto di essere italiano, felice di esserlo, ma di avere punti di riferimento musicali che sono principalmente fuori il nostro paese, a partire dall’Inghilterra.

Veniamo ora ai brani del tuo album. Mi ha colpito molto “L’ultimo”. Come nasce questo brano?

E’ anche il singolo attualmente in radio. Sta andando molto bene, così come il video. E’ una canzone che parla del mio essere constantemente in ritardo su tutto: dagli appuntamenti fino a certi meccanismi della vita, che faccio davvero fatica a comprendere. Sono due le cose che mi stanno più sulle palle: il tempo che passa e le persone e gli affetti che perdi per strada. “L’ultimo” parla proprio di questo. Anche il video e ironico e dolceamaro. Si vede il buon Tao che deve sposarsi e il giorno del suo matrimonio arriva in ritardo in chiesa. Ovviamente non svelo il finale a sorpresa...

Di “Velvet”, invece, cosa mi dici? Mi sembra un pezzo completamente differente dagli altri?

E’ una canzone che in origine non doveva neanche essere inclusa nel disco. Succede a volte che l’approccio di un cantautore, e di chi collabora con lui, sia quello di infilare nel disco di esordio brani da usare potenzialmente come singoli. “Velvet” in effetti si discosta da questo, visto che non ha base ritmica, ma vive di suggestioni sonore proprie, con chitarre acustiche (tra cui anche una 12 corde) che rimandano proprio a molte cose degli anni ’60 e ’70. Per la figura femminile descritta nel testo mi sono ispirato palesemente a “Ruby Tusday” dei Rolling Stones, una figura femminile apparentemente forte, ma molto dolce e sola. Sto scoprendo che molte ragazze si identificano oggi in questa figura femminile. Abbiamo scelto di mettere nel disco anche il video di “Velvet”, con questo paesaggio molto figli dei fiori, girato nella campagna, che da l’idea di un vecchio film degli anni ’60.

Perchè hai scelto lo pseudonimo di Tao?

Il Tao è il simbolo dello yin e dello yang, e rappresenta una filosofia a cui credo molto. Ma non voglio farne sfoggio. Rappresenta il modo in cui sono fatto, anche caratterialmente, sono solare e malinconico. Soprattutto sono convinto che spesso dalle esperienze negative vengano fuori realtà splendide. Da qui il mio nome d’arte.

L’album ha già avuto una presentazione live a Milano a La Casa 139. Sono previsti nuovi show?

Abbiamo fatto un concerto di presentazione ufficiale a Milano. E’ andata molto bene e sono rimasto molto contento e spero di basare gran parte della promozione di questo disco sul live. Credo che i concerti siano il mondo più genuino di presentare il proprio progetto. Con la chitarra in mano puoi raccontare te stesso nel modo migliore. Per il resto dalla stampa e dal web ho avuto grandissime soddisfazioni. L’album è stato accolto benissimo, cosa che mi ha molto sorpreso. Questo non è un progetto di nicchia, anche se è fatto da un’etichetta indipendente. Spero che essere diretti e semplici è anche un buon modo per essere profondi.

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