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Pubblicato il 29/11/2009 alle 09:38:37
Depeche Mode in concerto a Torino: musica per le coscienze!
di Christian Diemoz
Lo show torinese di Gahan, Gore e Fletcher evidenzia la loro maestria nell'assicurare ad ogni spettatore un'esperienza individuale: raggiunsero il successo propugnando la Music For The Masses.

Lo show torinese di Gahan, Gore e Fletcher evidenzia la loro maestria nell'assicurare ad ogni spettatore un'esperienza individuale: raggiunsero il successo propugnando la Music For The Masses.

E' indubbio che oggi i Depeche Mode vivano una meravigliosa contraddizione. Intendiamoci, non che al richiamo digitale di Gahan e soci rispondano ormai in pochi, anzi (Mercoledì sera, il Palaolimpico a Torino era sostanzialmente sold out, con bagarini in schizofrenia d'acquisto un po' ovunque). Tuttavia, proprio le ventun canzoni (e quasi due ore) dello show torinese hanno testimoniato quanto la musica del gruppo britannico sia in grado, come poche altre attualmente, di parlare ai singoli, alle sensibilità personali, stratificata e rapida com'è a penetrare gli strati più intimi della coscienza.

Proprio così, malgrado buona parte dei brani siano finiti cantati in coro dagli astanti, e nonostante l'andazzo da gran cerimoniere, ora mistico, ora profano, del frontman (anche se con qualche cautela in più che in passato, eredità probabile dell'intervento subito in maggio), un concerto dei Depeche Mode è, anzitutto, un'esperienza individuale. Te ne rendi conto guardandoti attorno sugli spalti e notando l'eterogeneità delle reazioni. Dalla bionda quarantenne che ancheggia con movenze disco, al giovane in pseudo-trance, passando attraverso la combriccola di yuppies cui probabilmente, alla stregua di alcuni soldati giapponesi sparpagliati in atolli del Pacifico, non hanno ancora spiegato che gli anni ottanta son finiti e che I Just Can't Get Enough non era la colonna sonora dello spot tv di un aperitivo. Ognuno legge in quei suoni gravi (menzione d'onore, tra l'altro, ai tecnici riusciti ad ottenere un risultato eccellente, in una venue dai precedenti non esattamente esaltanti, quanto a resa sonora) il verbo più confacente alle proprie inclinazioni.

Difficile, peraltro, che finisca altrimenti. I vocals di Gahan sono sospinti da un'energia che solo eventi gravi come quelli da lui vissuti recentemente riescono a tirar fuori in un essere umano. La sua è evidentemente la forza del dolore, tema esplorato a più riprese dal gruppo, ma che ora (seppur malauguratamente) ha trovato una coniugazione reale alle vicende dei Depeche Mode. Per non dire delle lacerazioni chitarristiche di Gore, che non ama inflazionare gli assoli, ma è preciso come un cecchino ogni qualvolta vi si dedica (e sfiora venature blues di gran classe). Alcuni, dopo averlo sentito cantare, lo giudicano “l'uomo giusto al posto sbagliato” sul palco e forse, considerato quanto sia riuscito a convincere nei momenti in cui il microfono è passato a lui – Home, su tutti – varrebbe la pena di riflettere su un aumento dei suoi spazi da cantante. Quanto a Fletcher, lo stare intabarrato dietro alla sua strumentazione è ormai un marchio di fabbrica, tanto che viene spontaneo, a tratti, chiedersi se stia seguendo gli altri, o se non scorrazzi piuttosto su Facebook con qualche fan disposta a tutto, ma la concretezza del suo contributo spazza ogni sospetto. Dicendo della scaletta, si può forse obiettare che i nostri non amino assumersi, in questo leg autunnale del tour di Sounds Of The Universe, dei gran rischi.

I fan che amano spaccare il capello in quattro, quelli che vorrebbero sentir piovere dal palco tutti i b-side dal'83 in avanti, sono infatti destinati a rimanere immancabilmente a bocca asciutta. Si passa da un warhorse all'altro, pescando soprattutto tra i singoli. Partenza con In Chain e arrivo su Personal Jesus (il bis finale più prevedibile del mondo), infilando nel mezzo le varie Wrong, Precious, World In My Eyes, In Your Room, Policy Of Truth, Enjoy The Silence e Feel You. Però, va detto anche, con altrettanta sincerità, che per un gruppo sulla breccia da una cosa come trent'anni si tratta di una scelta quasi inevitabile, se non obbligata. Avete idea di cosa capiterebbe a Mick Jagger se, una volta sul palco non cantasse Brown Sugar? Ecco, i DM iniziano a trovarsi nella stessa condizione. Oltretutto, con una setlist del genere, ognuno, indipendentemente dalla generazione d'appartenenza, è tornato a casa dopo aver avuto diritto ad uno o più dei suoi pezzi preferiti e non è poco.

Scenografia molto stripped, in ossequio alla filosofia in cui la band affonda le radici... per vedere il bello, occorre togliere il superfluo. Scena dominata da un maxi-schermo, sul quale non sono mancate simbologie a volte immaginifiche, altre piacevolmente autoironiche (dai volatili di Walking In My Shoes, alla rappresentazione dei DM come astronauti, sul finale), con ampio ricorso, nel reparto luci, alle saturazioni di colori base, a richiamare per l'ennesima volta l'essenzialità che ha reso celebre il gruppo. Uno show da vedere, anche se il proprio cuore non batte al ritmo di Gahan e compagni. Musica dalla quale lasciarsi invadere, scuotere e, perché no, vincere. Canzoni su cui è difficile sorridere, viste le atmosfere da inverno al mare, ma se un uomo cresce soprattutto nei momenti critici, allora i Depeche Mode rappresentano l'efficace sussidiario che consente il ripasso. Tanto era stato sopravvalutato dalla stampa di settore Playing The Angel, quanto poco è stata resa giustizia (nonostante i giudizi non fossero negativi) a Sounds Of The Universe. Questo tour permette di rendersene conto. Al di là dell'efficace arrangiamento live di alcuni brani dell'ultima fatica in studio dei nostri (Hole To Feed, con il suo magma percussionistico-ritmico, è indubbiamente uno di questi), lo standard costante di esecuzione e l'intensità dell'insieme offerto al pubblico non sono da tutte le sere, né da tutti.

Grazie, Depeche Mode.

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