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Recensioni
Pubblicato il 27/11/2009 alle 01:07:16
In Cantus, nuovo disco di Roberto Vecchioni, il professionista del cuore.
di Nicola DeRio
Roberto Vecchioni, sfida le emozioni e le rigide divisioni in schemi musicali, realizzando in questo disco live, un’unione di fato tra stili diversi senza perdere l’identità di cantastorie d’emozioni.

Roberto Vecchioni, sfida le emozioni e le rigide divisioni in schemi musicali realizzando, in questo disco registrato dal vivo in quel di Spoleto, un’unione di fato tra stili diversi e lontani, senza perdere l’identità di cantastorie d’emozioni.

Questo lavoro ha ricevuto parole lusinghiere e accattivanti e al contempo taluni scettici commenti. Indubbiamente, l’idea e il principio della sua nascita non possono che destare curiosità e sorpresa. Scrivere dei testi su melodie classiche storicamente solo strumentali, di autori come Rachmaninoff, Vivaldi e Tchaikovsky, sembrerebbe un’operazione folle e probabilmente fallimentare, per tutte le criticità e le difficoltà che rappresenta.

Certo, lo scetticismo potrebbe essere istintivo di fronte ad un’idea di questo tipo, ma è proprio qui che nasce la differenza e il principio di base di questo lavoro. Un principio per il quale si può e si deve andare oltre la distinzione e le gabbie dei generi musicali.

Una sfida condotta con un apporto tecnico-musicale notevole e non poteva essere altrimenti, grazie alla direzione del Maestro Beppe D’Onghia, produttore, arrangiatore e ideatore del progetto e al Nu Ork String Quintet, con la partecipazione di Ilaria Biagini, ai cori e al flauto traverso. Questa la base musicale, ma come si pone Vecchioni in tutto questo?

Lu ci ha messo la faccia, la voce e i suoi sentimenti, un sorriso segnato da anni di emozioni scritte e vissute, scegliendo temi che rappresentano e interessano la vita dell’uomo. Un tentativo umanista e spirituale figlio, probabilmente, di una riflessione che va al di là della musica. Questo aspetto emerge, infatti, anche dalle tematiche del suo ultimo libro, Scacco a Dio, per nulla distanti da quelle del disco.

Detto questo parliamo dei quattordici brani, ma soprattutto di quelli nuovi:

Vissi d’Arte, brano tratto dalla Tosca di Puccini, apre l’album.
Brano azzeccato se si pensa al testo: Vissi d’arte, vissi d’Amore, non feci mai male ad anima viva / nell’ora del dolore, perché Signore me ne remuneri così.
Un buon biglietto d’ingresso che proietta l’ascoltatore al cuore del progetto, sul quale però pesa, talvolta in negativo, un uso della voce a tratti incerta e con qualche nota calante. Per amore del vero lo stesso Vecchioni ha dichiarato che il suo intento era lontano dal cantare arie classiche, che sarebbero fuori dalla sua portata. Resta il fatto che i puristi storcerebbero il naso a proposito e lo hanno già fatto… parola di Internet…

Una particolarità che è propria di tutti i nuovi testi composti, tranne uno, è stata la direzione ostinata e contraria delle tematiche rispetto alla leggerezza o alla drammaticità della musica. Un esempio è rappresentato proprio dalla Sinfonia N° 6, Patetica di Tchaikovsky che diventa Il Nostro Amore. Sulla melodia struggente il professore ha costruito una sentita, toccante e serena storia d’amore.

Rimanendo sul tema delle sovrapposizioni si arriva all’ascolto de Le cinque stagioni. Nascita e criminosa morte di un Amore, sulle note de Le Quattro Stagioni di Vivaldi. Da sottolineare nel finale, la regressione ad un passato infantile del protagonista omicida e un cambio di tema, Sonata N° 1di Rossini magistralmente arrangiato da Beppe D’Onghia.

Si passa poi a Di te reinvenzione del tema di intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni . Una riflessione sullo scorrere del tempo e sull’assenza di giorni e volti che non tornano più.

Con Se tornassi indietro si arriva all’ultimo brano inedito, composto sulla melodia del Concerto n°2 in Do Minore di Rachmaninoff.
In questo brano l’atmosfera del testo rimane coerente all’atmosfera della melodia originale. Infatti, l’essenza della ricerca di cose semplici nella vita, di persone semplici, si sposa con tutta l’umanità che l’originale rappresenta.

Il disco e il tour dal quale è tratto, presentano anche numerosi brani del repertorio del cantautore vestiti dal Maestro D’Onghia con abiti consoni a questo progetto. Tappeti di Viola, zampilli pizzicati di Violini, il calore e la corposità del Contrabbasso che talvolta sembra far le fusa sotto il tocco del suo archetto.

Brani tra i più famosi, L’uomo che si gioca il cielo a dadi, suonata con gusto jazz e bossanovistico vede un bella e sorprendente variazione sul tema, dei violini.
Milady che non manca certo di ritmo grazie agli archi che incalzano e mantengono alta la tensione del brano. La Stazione di Zima, Le rose Blu e Viola d'Inverno tra i brani più emozionanti e talvolta struggenti grazie alle nuove e delicate vesti. Fino ad arrivare ai classiconi come Sogna Ragazzo Sogna, Samarcanda e a chiudere Luci a San Siro.

Da sottolineare, su gentile concessione della famiglia, la presenza della poesia A Dio, di Vittorio Gasman. Ennesima riprova della qualità e dell’obbiettivo indagatore e spirituale di questo lavoro e delle sue tematiche.

Difetti?

Beh certo come ho detto in apertura un uso della voce a volte non così preciso, più teatrale e recitativo ma se ci si sofferma su questo punto si perde di vista l’obbiettivo di questo lavoro. Non è certo un esercizio di stile o di bel canto asettico e pulito, alla X Faranno i famosi. Rappresenta piuttosto una riflessione in musica su temi che riguardano la fragile e complessa profondità dell’animo umano e del suo rapporto con il proprio vissuto e con il divino.

Un disco che ha di classico solo l’atmosfera e di nuovo, il mai facile tentativo di far arrivare la Musica all’Anima. Senza nessun tipo di logica o ragione, perché la Musica è Cuore e li, mi perdoni la citazione, il professore è un professionista…

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