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Recensioni
Pubblicato il 19/10/2006 alle 11:34:50
Sting - Songs from the Labyrinth (Deutsche Grammophon)
di Alessandro Michelucci
Un insolito viaggio nel tempo in compagnia del geniale musicista ex bassista dei Police. Destinazione: il Seicento. Un numero sempre maggiore di artisti, generalmente inglesi, sembra attratto dal mondo classico.

Un insolito viaggio nel tempo in compagnia del geniale musicista ex bassista dei Police. Destinazione: il Seicento. Un numero sempre maggiore di artisti, generalmente inglesi, sembra attratto dal mondo classico.

Il numero di novembre della rivista "Classic FM" mette in copertina Paul MacCartney. In ottobre un altro mensile dedicato alla musica classica, "BBC Music Magazine", ha fatto lo stesso con Sting. Al di là della coincidenza temporale, questo ci impone di riflettere su un mutamento in atto. Un numero sempre maggiore di artisti, generalmente inglesi, sembra attratto dal mondo classico. Questo fenomeno si manifesta in modi diversi, ma è incontestabile. Pensiamo a Roger Waters ("Ça ira", Sony-BMG, 2005), a Tony Banks ("Seven: A Suite for Orchestra", Naxos, 2004), oppure ai dischi che Elvis Costello ha inciso per la Deutsche Grammophon. Senza contare che il suddetto ex-Beatle ha appena pubblicato il quarto CD classico, "Ecce Cor Meum" (EMI, 2006). Il fenomeno è ancora più significativo se si considera che nessuno dei compositori citati, tranne Banks, viene dal rock progressivo, che nonostante i suoi difetti aveva una contiguità con il mondo classico del tutto ignota agli artisti citati. A questo nutrito plotoncino si aggiunge oggi Sting. Il musicista di Newcastle ci aveva già abituato a una grande versatilità: partito dal rock dei Police, in seguito era approdato alla collaborazione con Gil Evans ("Strange Fruit", ITM, 1997) e più recentemente con Anoushka Shankar, figlia del celebre virtuoso Ravi Shankar ("Sacred Love", A&M, 2003). Ma difficilmente avremmo potuto immaginare che fra le tappe successive ci fosse spazio anche per la musica del Seicento.
I brani sono tutti di John Dowland (1563-1626), tranne uno dovuto alla penna di Robert Johnson (1583-1633). Musicista convertito al cattolicesimo, Dowland girò l'Europa proponendo canzoni che cantava lui stesso: lo potremmo definire un cantautore ante-litteram. I brani, quasi tutti piuttosto brevi, formano un mosaico sonoro affascinante, talvolta un po' monotono, ma ricco di stile e di misura. Sting canta e suona l'arciliuto (da noi noto come chitarrone). Accanto a lui il liutista bosniaco Edin Karamazov, che fornisce un contributo determinante. Ovviamente la maggior parte di coloro che ascolteranno questo disco faranno fatica a calarsi nel contesto musicale che questo presuppone. Però il merito di certi artisti consiste proprio nel loro coraggio di "forzare le orecchie" e fare da ponte verso mondi che altrimenti ci resterebbero ignoti. Ascoltate con attenzione questo disco: oggi potrete trovarlo un po' monotono, ma domani potreste essere grati a Sting per avere arricchito i vostri orizzonti.
Prima di chiudere, una riflessione. In Italia esistono alcuni musicisti che vengono dal rock ma che fanno riferimento al mondo classico. Pensiamo a Roberto Cacciapaglia o ad Arturo Stalteri.

All'inizio parlavamo dei più prestigiosi mensili britannici dedicati alla musica classica. Evidentemente questi hanno colto un mutamento in atto. In Italia, invece, si resta abbarbicati alle vecchie certezze: ce li immaginiamo Cacciapaglia e Stalteri sulla copertina di "Amadeus"?

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