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Interviste |
Pubblicato il 25/08/2008 alle 23:56:22 | |
Ricordare le parole dimenticate: il regista Peppino Saponara ci racconta il suo Life in Gubbio
Le sue immagini accompagneranno i reading della poetessa Marcia Theophilo e di Raiz il 27 agosto a “Life in Gubbio” 2008. Ecco cosa ci racconta dell’evento,del suo lavoro,delle parole che la tv ha cancellato,della poesia che scompare nell'impoetabile
Partirà domani la seconda edizione di “Life in Gubbio”, manifestazione ideata da Michele Afferrante e Filippo Mauceri (tra gli autori del programma televisivo “Il senso della vita”) con la partecipazione di Paolo Bonolis. Primi eventi di questo festival tematico, incentrato su un argomento sconfinato, profondo e affascinante come la vita, saranno l’inaugurazione della mostra “Poetica dell’attimo” del pittore Luvit (ore 18.00) e il Concerto Sinfonico dell’Orchestra del Conservatorio di Musica di Perugia alle ore 21.30. Il 27 agosto invece saranno presentati nel pomeriggio il film “Il carnevale di Dolores” di Cristina Mantis e il libro “Leggere” di Corrado Augias, mentre la serata coniugherà le letture della poetessa Marcia Theophilo e di Raiz, la musica di Pacifico e Niccolò Agliardi e le immagini di Peppino Saponara. Il regista pesarese ha trovato il suo trampolino di lancio in "Indietro Tutta" di Arbore, per poi dedicarsi invece alle produzioni di denuncia,lavorando con alcuni dei più grandi giornalisti italiani.Ecco che cosa ci ha raccontato del suo lavoro, del cinema e della tv di oggi.
Ambrosia: A “Life in Gubbio” le sue immagini saranno tra le protagonista della serata speciale “Parole degne di nota”: cosa ci può anticipare dei documentari che saranno proiettati e come si relazioneranno i fotogrammi con i testi del reading e la musica di Agliardi e Pacifico?
Peppino Saponara: Avevo già sperimentato questo tipo di lavoro con Marcia in varie letture. Ovviamente protagonisti saranno i versi di questa poetessa, che è stata candidata per tre volte al premio Nobel. Le mie immagini in questo caso fungono proprio da supporto visivo e accompagneranno le poesie, che dovrebbero essere 7, dei veri inni alla vita. Si tratta di immagini girate da me, da amici, ed ancora di fotogrammi presi da un film, “Il popolo migratore” [ndr: documentario del 2002 di Jacques Perrin]. D’altronde l’Amazzonia, la terra di Marcia, è il polmone del mondo, è una terra dove l’uomo si esprime nel migliore e nel peggiore dei modi, e quindi diventa una metafora nei documentari, anche della necessità di preservare la propria dignità. Inoltre, alle mie immagini si alterneranno dei quadri di Aldo Turchiaro, che è anche il fondatore della teoria filosofica dell’animalesimo [ndr: nelle sue opere gli animali diventano la voce divina della natura]. Ci sarà poi il momento parlato affidato a Raiz: con lui abbiamo pensato di proiettare, come sfondo dei suoi testi (che non saranno cantati), tante parole, parole dimenticate, parole degne di nota che non appartengono più alla civiltà di oggi, “pudore”, “coerenza”, “umanità”, “altro”. Tra i reading ci sarà la musica, prima con Pacifico e, dopo Raiz, con Agliardi. Il finale sarà incentrato su S. Francesco con una poesia di Marcia, che si conclude con un’esortazione all’Amazzonia di resistere: è la parte secondo me più toccante, perché si chiede all’Amazzonia di resistere da sola, perché l’uomo non l’aiuterà mai a salvarsi.
Il mio lavoro ha richiesto molti sacrifici di vita, per inseguire solo la qualità e non il guadagno economico: questo è uno dei progetti a cui tengo particolarmente e sono onorato di lavorare con questo gruppo d’eccellenza di grandissimi autori, con Michele Afferrante, Filippo Mauceri [autori del programma “Il senso della vita” e ideatori di “Life in Gubbio”] e Paolo Bonolis…
A: Com’è stata la collaborazione con Marcia Theophilo?
PS: Beh, il nostro rapporto è molto bello e se non fosse quello che è, non potremmo lavorare insieme, soprattutto con questi risultati! Ci legano alcuni valori che stanno scomparendo, come l’amicizia, la riconoscenza, la stima, e poi l’amore per la natura. Insieme facciamo lunghe passeggiate e chiacchierate. Penso che prima o poi vincerà il Nobel, perché davvero lo merita; d’altro canto lei è stata prefata da Mario Luzi [nrd: nella raccolta “I bambini giaguaro” (“Os meninos jaguar”) del 1996], ha avuto un rapporto di amicizia con il poeta spagnolo Rafael Alberti, una poetessa con trascorsi importantissimi da un punto di vista intellettuale.
A: Lei ha lavorato con alcuni tra i più illustri nomi del giornalismo italiano, come Sergio Zavoli, Giovanni Minoli, Maurizio Costanzo. Com’è cambiato in questi anni il giornalismo televisivo e il giornalismo d’inchiesta?
PS: Una volta si cercava di capire, adesso si cerca di confondere. La televisione ha perso quella funzione di accompagnare un popolo nella sua crescita: ora sembra avere invece il compito di arrestare la capacità critica delle persone con “l’intrattenimento” o comunque di assecondarle nel loro puerilismo, anziché guidarle, perché ci sono una serie di interessi che lo richiedono. D’altronde la pubblicità è il nemico numero uno della qualità, perché spinge a rispondere a logiche che guardano all’interesse e vanno ben oltre il sapere. Inoltre la televisione ha cancellato le varie Italie, impoverendo il linguaggio e appiattendolo con l’omologazione su 500 parole per tutti, mentre una volta esistevano i dialetti e la locuzione dotta dell’elite, entrambi pieni di parole. Così sono scomparse delle identità. La tv entra in modo subdolo in tutte le case, anche attraverso falsità.
A: La televisione ha finito quindi per relegare in un angolo i programmi di qualità?
PS: Sì, negli ultimi anni con Zavoli andavamo in onda solo dall’1:30 alle 3 di notte per i nottambuli!Ora si dà importanza ai reality e a presentatori, rispettabilissimi da un punto di vista umano e personale, ma che al massimo legge la Gazzetta dello Sport!Ed è drammatico generazionalmente, perché i figli di questa tv, che picchiano i maestri, frustano i compagni e li filmano, sembrano essere anche premiati da questa società e reggeranno le fila del mondo di domani, come medici, ingegneri, ecc.
Nei telegiornali inoltre regna l’indifferenza: dopo una notizia sullo scioglimento dei ghiacciai, si volta pagina e si parla di Fiorello…Tutto questo è spaventoso.
A: Dalla tv al cinema: quanto il punto di vista della cinepresa può catturare la realtà e quanto invece la filtra e la ricrea?
PS: Io sono un estimatore e un esegeta di Kubrick, e per me fare cinema significa avere la possibilità di fare quello che ha fatto lui, avere il controllo totale dell’opera, dalla genesi alla realizzazione e alla distribuzione, ma poteva farlo solo lui. Per quanto riguarda il presente, io ho un’idea ben precisa del cinema: per me ormai è morto. Non esiste più il cinema, c’è solo l’industria cinematografia. Il cinema è solo la fotografia della fotografia della realtà, che è completamente diversa. Fellini non ha mai chiuso i suoi film con la parola fine, perché li considerava dei sogni, che potevano solo andare avanti. Quando di notte ci svegliamo e lasciamo un sogno a metà, abbiamo sempre la curiosità di sapere come sarebbe andato a finire. Collodi ci ha raccontato la storia di Pinocchio, non come si conclude la storia degli altri personaggi, Lucignolo, Mangiafuoco, la fatina ed ogni personaggio meriterebbe un film a sé... Il cinema allora deve sempre dare la possibilità e la speranza di pensare “come andrà a finire?”. Una volta però la cinepresa aveva un’anima. Oggi invece le telecamere e il digitale riprendono tutto, come in “1984” di Orwell, e sono diventate la versione laica del “Dio ti vede”! Non ci sono più i grandi autori, non c’è più la poesia e il poetabile: siamo sempre più circondati dall’impoetabile. Ci sono ancora grandi autori che sanno essere poeti, Wong Kar Wai, Saura, Angelopoulos, ma sono pochissimi.
A: Le attribuiscono una «sensibilità di poeta» (Carlo Lucarelli), la «precisione del creativo» (Sergio Zavoli), un’«innata curiosità» (Alberto Silvestri) [ndr: tra i più importanti autori televisivi italiani, padre di Daniele], molta ironia, grande versatilità, un «animo visionario» (Giancarlo Del Monaco) [nrd: regista d’opera, figlio del tenore Mario, a cui Saponara ha dedicato con Antonio Prenna “L’Ultimo Otello – il Principe del bel canto”]. Ma, visto che il tema di “Life in Gubbio” è la vita, qual è il senso della vita di Giuseppe Saponara?
PS: Il mio senso della vita è quello di non averlo: credo sia folle averne uno. C’è solo la vita, che non deve avere un senso. Poi ognuno nella propria coscienza ha una sensibilità, un background, in base ai mille incontri quotidiani, ma non ha il potere di dare un senso alla vita. E’ Dio che le ha dato un senso: è la vita il senso della vita.
Nella foto:Saponara con Kubrick sullo sfondo
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