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Interviste
Pubblicato il 07/02/2008 alle 23:11:10
Davide Van De Sfroos ci presenta le storie concrete e oscure di “Pica!”
di Ambrosia J.S. Imbornone
Il suo nuovo album arriva nei negozi domani, 8 febbraio. Ecco cosa ci ha raccontato dei temi, delle sonorità e delle figure che caratterizzano la fine arte del suo cantautorato folk.

A tre anni da “Akuaduulza”, torna l’originale e pregiatissimo cantautorato folk di Davide Van De Sfroos con “Pica!”, in uscita domani 8 febbraio. Il motto che accompagnava il duro lavoro dei minatori valtellinesi di Frontale sembra assunto come simbolo di una fatica oscura, di storie invisibili perché incise nel quotidiano, uniche e comuni, tipologiche e individuali perché concrete e reali. 15 brani, di cui 12 in dialetto tremezzino (laghée). Così quella parola che scandisce il ritmo ma anche è un invito a non mollare diventa lo slogan per rappresentare percorsi difficili puntellati di viaggi, piccole imprese e grandi fallimenti, tra cui quello che vede la morte come incubo ricorrente e termine ultimo di tante presunte gesta eroiche di tipo bellico. Con nomi e soprannomi nel disco del cantautore di Monza appaiono così persone in carne ed ossa, o meglio uomini impastati di terra e anima, anima di una terra e scolpiti in quel paesaggio che hanno contribuito sotterraneamente a modellare come i minatori di Frontale. Il disco si dipana con intensità magistrale nelle sue tracce tra ritmi accattivanti e un felice sprazzo di reggae, tra ballate ipnotiche sospese tra realtà e trasfigurazione metaforica, tra il presente e un passato senza tempo e luogo che spazia dal Medioevo celtico all’America degli ex-stati sudisti, tra il country e l’uragano Katrina di New Orleans, tra la Valtellina, la Milano dei traguardi sfiorati e mancati dei personaggi di “40 Pass” e persino l’Africa. Non mancano come oggetti di osservazione e quasi sguardi verso il mondo paesaggi frequentati e conosciuti, dalla montagna della Grigna, che da sempre si specchia nel suo pezzo di lago di Como alle onde del viaggio verso un futuro ignoto, fino al lago rigato dalle scie dei motoscafi e al vento che come di tradizione è referente della traccia di chiusura.
Questa la tracklist di “Pica!” (Tarantanius/distribuzione Venus):
1. El puunt
2. Lo Sciamano
3. L’Alain Delon de Lenn
4. New Orleans
5. La ballata del Cimino
6. Il minatore di Frontale
7. 40 pass
8. La terza onda
9. La grigna
10. Il costruttore di motoscafi
11. Fiil de ferr
12. Furestee
13. Il cavaliere senza morte
14. Loena de picch
15. Retha Nazur

Davide (vero cognome: Bernasconi, classe 1965) ha intrapreso la sua strada nella musica negli anni ’80, nella band punk dei Potage. Nei primi anni ’90, ha dato vita con un nucleo di musicisti ai De Sfroos, pubblicando con mezzi artigianali l’audiocassetta live “Viif”. La consacrazione al livello provinciale avviene con “Manicomi” (1995), mentre nel 1999, realizza il cd “Breva & Tivan”, nonché il mini-cd, “Per una poma” e si aggiudica il prestigioso Premio Tenco, in qualità di “Miglior autore emergente”. Il suo cantautorato ha conquistato un più ampio e vasto pubblico ormai nazionale nel 2001 con “…E Semm partii”, a cui ha fatto seguito nel gennaio del 2003 “Laiv”, un disco quasi interamente registrato dal vivo. “…E Semm partii” è stato disco d’oro e si è meritato la Targa Tenco 2002 come migliore album in dialetto, mentre il disco dal vivo ha venduto addirittura 35.000 copie in quasi tre settimane, in un vero boom di ascolti e di entusiastiche espressioni di stima. Notevole riscontro di critica e successo di pubblico ha raggiunto infine anche l’ultimo album di inediti “Akuaduulza”. De Sfroos è anche scrittore: ha pubblicato nel 1997 le poesie “Perdonato dalle lucertole”, nel 2000 “Capitan Slaff”, favola ambientata in un tempo mitico sul lago comasco, nel 2005 il romanzo “Il mio nome è Herbert Fanucci” (Bompiani).
Van De Sfroos si è esibito sia in Europa (Spagna, Germania, Slovenia, Croazia, Belgio) che in America, dove è approdato nella prima metà del 2006 (17-24 aprile) con le esibizioni al “Marriot Hall Center” di New York e al prestigioso “French Quarter Festival” di New Orleans.
Sabato 19 aprile è ora prevista la sua prima data live e la sua unica data invernale al Datchforum di Assago (MI, prevendite su www.ticketweb.it ). Ecco che cosa ci ha raccontato del suo nuovo disco in quest’intervista in “anteprima”, in cui la sua intelligenza si dimostra icastica come nelle sue canzoni, condensando in parole pregne di significato il senso di un lungo e personalissimo percorso musicale.

Ambrosia: Com’è sorta l’idea di dedicare una canzone e il titolo dell’album ai minatori di Frontale? Il loro percorso e il loro lavoro sembra segnato dalla fatica di avanzare, costruendo una strada e distruggendo la roccia, nei segni e nei sogni…


Davide Van De Sfroos: Sono il simbolo epico di un lavoro che sembra non esistere più ma che invece c'è e non lo vediamo solamente perché viene svolto sotto terra o in luoghi non visibili. C'è qualcosa di epico e di eroico nei modelli insoliti che ho scelto di inquadrare in questo contesto.

A: Le canzoni non si dovrebbero spiegare, ma a volte sollecitano un commento…Come sono nati i tre personaggi di “40 Pass”? E’ un brano indirettamente piuttosto politico...

VDS: Tutto può essere politica, così come tutto può venir spogliato da essa. Ho conosciuto realmente persone che hanno avuto storie analoghe e la cosa che mi ha attratto è stata la voglia di redenzione finale a modo loro, più che la politica eventuale che li aveva spinti a qualche cosa.

A: E’ possibile e/o frequente la sensazione di sentirsi “furestèe” nella propria terra, “nella via che sa tutto di te”, si vive spesso insomma il cosiddetto esilio sul posto?

VDS: Ho visto molti vivere questa situazione. Per questo ne parlo nel disco.

A: Nel 1997 hai pubblicato il libro “Perdonato dalle lucertole”. Quest’animale torna anche nei testi del nuovo album (“El Puunt”, “Lo Sciamano”): che cosa rappresenta per te?
VDS: Rappresenta un mio totem nel quale risiede l'idea di sogno, di magia e di ricordo del passato.
A: Ne “Il Cavaliere senza Morte” si elencano le mitologie belliche, dalla violenza che connota l’eroe all’ideologia della Guerra Santa: quanti Cavalieri senza Morte esistono ancora?

VDS: Ognuno di noi quando è vittima o carnefice o spettatore della continuità della guerra è come il cavaliere della canzone che passa attraverso le epoche ed è costretto a vedere mutare i tempi ma mai l'idea di guerra stessa. Sembra chiederci " quanto vogliamo che continui ancora?"

A: Il mirabile arrangiamento di questo brano, di grande impatto emotivo, assomma il suono delicato dell’arpa celtica, quello “mediterraneo” della mandola e del tamburello salentino, per concludersi con un’outro di chitarra elettrica: è proprio della tua musica fondere sonorità di varie tradizioni musicali, da quella lombarda ad altre tradizioni italiane, da quella irlandese al country. Cosa rende possibile (oltre alla maestria tecnica) amalgamarle nello stesso pezzo per esprimere unitarietà di umori e sentimenti? Cosa rende integrabili tradizioni folcloriche diverse?

VDS: Il desiderio di narrare storie come fossero film trovando i suoni adatti all'umore dei personaggi senza il timore di attingere da differenti etnie per rendere il tutto più evocativo. Ovviamente la bravura del produttore Alessandro Gioia e quella dei musicisti ti permettono di farlo.

A: A proposito de “La Grigna”, che rapporto hai con la musica reggae e che peso ha avuto nei tuoi ascolti?

VDS: Ho un legame viscerale con Bob Marley e ho continuato ad ascoltarla fino ad oggi. Una parte di me è inconsciamente "rasta". Davide Van "Dread" Sfroos!

A: Come è maturata a suo tempo in te la scelta di usare il laghée come lingua principale, quando non esclusiva, delle tue canzoni? Riscontri una differenza quando adoperi la lingua tremezzina rispetto a quella italiana, per musicalità, espressività, capacità di evocare nei suoni un mondo concreto di paesaggi e personaggi, considerando che la lingua italiana è sempre stata “astratta”, poiché nata al livello scritto e letterario, piuttosto che nel vivo rapporto con il parlato?

VDS: E' capitato tutto come se fosse inevitabile.Istintivamente. Il dialetto metricamente è fantastico da cantare e l'italiano è una lingua che il mondo ci invidia. Ovvio che per cantare alcune situazioni che sembrano accadere in dialetto, la lingua del lago è perfetta.


A: Che rapporto c’è per te tra la scrittura per musica e quella narrativa e poetica? C’è continuità o prevalgono eventuali e magari comprensibili differenze di metodo? In entrambi i casi sono la dimostrazione di una vocazione a raccontare e condensare storie ed ambienti del Lago?

VDS: La canzone è veloce, ritmica e stringata. Ha meno tempo a disposizione ma ha la musica che l'aiuta e deve raggiungerti in modo immediato. La narrativa è senza musica ma ti permette di dilatare il tutto. E' la differenza che c'è tra lo slalom e lo scii di fondo.

A: Una vocazione appunto narrativa e l’impegno sociale sono in qualche modo caratteri intrinsechi alla musica folk? Se sì, perché?

VDS: Ogni canzone direttamente o indirettamente arriva ad essere un semaforo per qualcosa di sociale. La musica folk lo è in modo forse ancora più diretto forse perché parte proprio dalla radice di ogni rapporto.

A: Quanto il folk italiano secondo te ha sotterraneamente nutrito in Italia il cantautorato e quanto è stato sottovaluto come un genere meno nobile e magari snobbato, anziché integrato, a causa di passioni esterofile magari per il folk americano [che in te invece si affianca spontaneamente e naturalmente ad altre tradizioni musicali, quella “rivierasca” in primis, come già detto]?
VDS: E' stato sicuramente importante. Basilare in alcuni casi. A volte si è allontanato per poi ritornare. Ogni artista è come se portasse un po' di luce di colui che ha scelto come padrino prima di partire. Ogni genere non nasce come un'esplosione ma è sempre una sorta di interessante mutazione.
A: Grazie Davide!



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