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Recensioni
Pubblicato il 22/05/2008 alle 00:06:17
The Niro – The Niro (Universal)
di Ambrosia J.S. Imbornone
Il romano più anglosassone del momento è uscito dalla nicchia senza varcare le soglie della banalità usufruendo di una grazia rara negli arrangiamenti, di una classe notevole e di una voce ricca di colori e sfumature.

Essere pop non vuol dire essere scadenti né essere benedetti da un talento divino. Significa avere un sound fruibile, che ti accarezza l’orecchio con un certo gusto per la melodia. In Italia la popular music troppo spesso non va oltre la tradizione nostrana più pomposa e retorica o guarda alle hit del soul plastificato da classifica, ai graffi epidermici di un hip-hop costruito innocuamente a tavolino, alla falsa trasgressività dei camaleontici e ventennali dominatori delle chart. Alla qualità di oltremanica e oltreoceano guarda spesso solo l’indie, contorcendosi però talvolta nell’anticomunicatività o in cliché che istituiscono una specie di contro-conformismo. Allora The Niro è un caso non solo perché da myspace è passato con il sudore della fronte e meritatamente ad una major e quindi la sua è una success-story, ma anche e soprattutto perché la sua musica sfodera sonorità internazionali in brani arrangiati deliziosamente con grazia molto british che escono dalla nicchia del “per pochi” (happy o sad che siano) e dalle soglie del commerciale. Qui e lì affiora una certa enfasi pop qui, ma dietro c’è ben altro. C’è fior di cultura e di ascolti musicali, che traspaiono tra gli arpeggi acustici, le sinuosità carezzevoli jazzate, la misura degli arrangiamenti, l’eleganza delle mid-tempo, la cura per ogni linea strumentale. Poi, diciamolo: la perfezione non è di questo mondo e chi nasce con potenzialità vocali notevoli e le migliora con lo studio difficilmente è anche uno strumentista di vero valore. Il nostro (sì, lo ripetiamo, per fortuna è italiano) Davide Combusti ha invece una voce straordinariamente ricca di colori e sfumature, che si inerpica in acuti da capogiro e si inabissa in tonalità calde e sensuale, restando sempre piena persino quando si fa affilata, ma è anche un polistrumentista. I risultati di cotanto talento li abbiamo apprezzati nell’ep “Ordinary Man” ed ora nell’album che porta il suo nome. E probabilmente basta un ascolto per comprendere la bontà del disco, leccarsi i baffi e pregustare altri successi. Non tutte le canzoni sono indimenticabili, ma Combusti non viene meno al suo rigore e stile anche nei momenti di fiacca dell’album. Inoltre i brani migliori sono tutt’altro che scontati. Anche l’ormai ascoltatissima e rabbiosa “Liar”, portata anche sul palco serale del Primo Maggio, è aperta da arpeggi raffinati, che riemergono freschi pur se pregni degli insegnamenti della storia del rock, ed è impreziosita dal programming con tocchi di cesello. Si ha facile gioco a far il nome di Jeff Buckley a benedire quest’esordio, ma non ci si può limitare a pensare alla sua autorità, tra l’altro riconosciuta dall’autore solo in parte. Nelle strofe di “Just For A Bit” si può ipotizzare come riferimento un must generazionale come “The Bends” dei Radiohead, mentre in “Mistake” o nella strepitosa “Cruel”, che alterna sonorità acustiche, accelerazioni inattese e organo, in un cantato morbido e sensuale a tratti si sente l’ombra dei Cure. Ma è inutile cercare padri spirituali, retrocedendo con il pensiero fino alla scuola Motown laddove per fortuna più che cercare padri da emulare, si cercano fratelli e compagni di strada in Sufjan Stevens. E si partecipa ad un album di tributo ai Belle and Sebastian. E proprio come Stuart Murdoch The Niro sembra non essere mai sopra le righe, mantenendo una classe infrangibile pezzo dopo pezzo. I paragoni elogiativi potrebbero essere infiniti, abbracciando pure Damien Rice nei brani acustici e il David Gray più struggente. Ma non servirebbero. Ascoltate i riff di “So Different”, il lieve pathos soffuso nell’intro e nell’evoluzione palpitante e vivida del pezzo, le acrobazie vocali della cinematografica “I Wonder”, le cavalcate entusiasmanti, i cambi di ritmo e i bassi favolosi di “You Think You Are” e cercate di rimanere indifferenti se ci riuscite.

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