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Interviste
Pubblicato il 14/07/2008 alle 01:39:43
Ennio Morricone: “Il mio stato d’animo sul palco? Una gioia preoccupata”
di Massimo Giuliano
Musicalnews ha avuto l'onore di incontrare ed intervistare un vero e proprio mito vivente: Ennio Morricone. Mettetevi comodi...

Pensare che quel signore che hai davanti, con il suo modo di fare semplice e tranquillo, sia uno dei più grandi compositori italiani viventi, che ti ha regalato tante emozioni con le sue musiche, e che per giunta ha anche vinto un Oscar alla Carriera… beh, è molto difficile. Sì, è difficile, perché Ennio Morricone è uno che “non se la tira”, che non fa la star, quando avrebbe tutti i motivi per atteggiarsi. Meglio così: è l’ulteriore dimostrazione che i più grandi sono anche i più umili. La conseguenza è che, dopo i primi minuti in cui ti senti in imbarazzo, inizi a scioglierti e l’intervista viene via leggera leggera. Anche perché, tra l’altro, Morricone non è un tipo taciturno: lui dice che ama parlare “perché mi piace essere esauriente”. Va benissimo: persino i suoi racconti sono musica per le nostre orecchie.

Maestro, attualmente lei sta portando in tour un concerto incentrato sul suo grande rapporto con il cinema. Può spiegarci come è concepita questa performance?
«Si tratta di un concerto di grande impatto. Ci sono musiche che la gente conosce, ed altre meno note che in questo caso si ha la possibilità di apprezzare. Naturalmente ci sono cose che non posso mai evitare di mettere, come “Gli intoccabili”, la “Suite Leone” e “Mission”. Diciamo che nel programma sono rappresentati 20-22 titoli di film. Questo concerto è una macchina dura da portare avanti, perché è dispendioso e perché c’è sempre qualcosa che potrebbe capitare, anche se la gente non se ne accorge mai. La mia è una gioia preoccupata, perché ci sono sempre tante responsabilità».

Ha qualche aneddoto in merito da raccontarci?
«Beh, una volta, ad esempio, mentre stavamo suonando è andata via la luce, e quindi fuori non si sentiva niente. Noi non ce ne rendevamo conto. Per fortuna che erano solo le prove! Devo fare i complimenti a chi suona con me, perché anche quelli che non fanno gli assoli sono dei grandissimi professionisti. Tutti i musicisti sono molto collaborativi».

Lei è stato celebrato con tanti riconoscimenti, non ultimi un Oscar alla carriera e un cd tributo. Ma c’è anche un libro dedicato alla sua figura: “Morricone – Cinema e oltre”. Che cosa ne pensa?
«Lo trovo abbastanza esauriente, anche perché è difficile riassumere 60 anni di lavoro: questo libro parla di tutti gli arrangiamenti che ho fatto nella mia carriera, e neanche io me li ricordavo tutti! A tale proposito, devo dire che il lavoro di arrangiatore mi è stato utilissimo per la mia esperienza successiva. “Morricone – Cinema e oltre” è sorto da un’idea di Gabriele Lucci, che è il fondatore dell’Accademia dell’Immagine. È un libro molto grande, che costa 100 euro… insomma, un volume importante».

Com’è nata la collaborazione tra lei e Lucci?
«Ci siamo conosciuti, e mi ha chiesto di partecipare a questo progetto. Nel libro ci sono alcuni testi in cui parlo della mia produzione. Sono soddisfatto del risultato finale, perché trovo che “Morricone – Cinema e oltre” sia un libro che mi rappresenti. E di questo sono molto grato a Gabriele Lucci. Spero che questo volume abbia successo, perché se un libro non si vende, è inutile!».

E’ vero che lei, nel 1958, fu assunto come assistente musicale in Rai, ma si licenziò subito?
«Sì, è vero. Il direttore del centro tv di via Teulada mi volle conoscere e mi disse che in quel ruolo non potevo fare carriera, aggiungendo che come compositore non potevo essere eseguito in Rai. Io, a quel punto, decisi di abbandonare l’incarico, e lui mi rispose: “Guardi che lei lascia un pezzo di pane per tutta la vita”. Beh, io a quel pezzo di pane ho rinunciato volentieri».

Lei ha scritto tante colonne sonore cinematografiche, ma è anche autore di composizioni classiche. Si sente ingessato nel ruolo di autore per musiche da film con cui molti la conoscono?
«Io nasco come compositore di musica assoluta, non cinematografica. Questa, tuttavia, non è un’ambiguità negativa. La musica classica può essere coniugata con il cinema: penso, per esempio, alla “Fuga classica” che ho scritto per “Solo me ne vo per la città”. Sono convinto che, nei prossimi secoli, quella che racchiuderà in se stessa tutte le arti sarà l’arte del cinema, che ha nella musica l’espressione astratta del nostro tempo».

La musica da film è sottovalutata?
«Credo proprio di sì. E mi dispiace vedere che debba essere considerata in generale come un sottoprodotto della musica: oggi vedo in giro troppi dilettanti che non hanno studiato e che quindi hanno difficoltà a crearsi una propria personalità. Il compositore, invece, deve rischiare, portare al limite le sue esperienze. Molti non osano perché, nella musica del cinema, il rischio può portare ad una conseguenza. Il rischio costa, ma è una cosa che mi piace. Quando ho lavorato con Giacomo Battiato, ho scritto pezzi che erano rischiosi, ma lui è rimasto contento, mi ha telefonato per ringraziarmi. Io ho l’abitudine di mettermi sempre in discussione. Non mi sento mai arrivato, mi rimetto sempre in gioco».

Può anticiparci qualcosa sulla colonna sonora che sta preparando per “Bàaria”, il nuovo film di Giuseppe Tornatore?
«Ho già registrato 8 temi, e dovrò terminare tutto entro quest’estate, perché il film esce il 1 ottobre. Ad ogni modo, sono tranquillo, perché le cose principali sono pronte. Tornatore sta facendo un lavoro grandioso per questa pellicola: 6 mesi di riprese in Sicilia, 150 attori, una città interamente ricostruita in Tunisia… Sta realizzando un kolossal. Quando mi ha fatto leggere la sceneggiatura, mi è subito piaciuta, anche perché lui racconta il film come se fosse un romanzo, non fa come altri registi che schematizzano e creano confusione. Tornatore non distrae il lettore, ti fa capire di più, anche se non ti dice mai tutto della storia. Gli ho fatto ascoltare alcune musiche, ha detto che andavano bene, e così mi sono messo al lavoro».

Chi è il primo “giudice” delle sue composizioni?
«È mia moglie. È sempre lei la prima ad ascoltare le mie musiche, e a darmi l’ok o a bocciarle. Del suo consiglio mi fido. C’è un motivo per cui faccio sentire per prima a mia moglie i nuovi pezzi: in passato, qualche regista mi ha “buggerato”. È capitato, infatti, che, tra le composizioni che gli avevo sottoposto, scegliesse le peggiori. Per cui, ora faccio una preselezione con mia moglie: le chiedo di darmi un giudizio semplice, in modo da scartare le cose che potrebbero non andare. Anche per il nuovo film di Tornatore è stato così: gli ho portato direttamente le cose migliori che avevo scritto».

Una curiosità. Nel 1946, lei ha conseguito il diploma di tromba al Conservatorio: cosa ricorda del periodo in cui ha suonato la tromba nella banda dei Granatieri di Sardegna?
«Beh, fu una fase militare dolorosissima, perché io in quel periodo già lavoravo, e con la chiamata nei Granatieri di Sardegna sono stato tolto dal mio impiego, e quindi dai soldi. All’epoca avevo fortemente bisogno di guadagnare, perché non avevo molto denaro. Quindi, sotto questo punto di vista, fu un momento difficile. La cosa positiva fu che i Granatieri di Sardegna stavano a Roma: mi misero in via dei Fori Imperiali e, come ha detto lei, mi fecero entrare nella banda come trombettista, ma mi chiesero anche di fare delle strumentazioni per la piccola banda. Oggi conservo un bel ricordo di quell’esperienza».

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