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Interviste
Pubblicato il 25/01/2008 alle 17:10:44
Franco Eco intervista Gabriele Lavia sulla musica di scena
di Franco Eco
L'allievo intervista il maestro. Ecco come si riflette e si agisce sulla musica del teatro: Gabriele Lavia, è tra i pochi attori e registi che ancora affascina per genialità e scelte poco scontate.

L'allievo intervista il maestro. Ecco come si riflette e si agisce sulla musica del teatro: Gabriele Lavia, è tra i pochi attori e registi che ancora affascina per genialità e scelte poco scontate.

In questi ultimissimi anni, il teatro di prosa ha avuto un lieve aumento di frequenze, indubbiamente non solo grazie ad un'attenta pubblicità, mirate convenzioni, ecc...Una delle svolte è data da grandi attori e grandi registi che si confrontano con grandi testi. Con brillanti allestimenti ed effetti particolari anche i giovani si sono avvicinati a un tipo di spettacolo dal vivo, precedentemente noioso.

Così noia e ripetizione incombono in molti allestimenti, ma in Italia, Gabriele Lavia, è tra i pochi attori e registi che ancora affascina per genialità e scelte poco scontate. Ultimo lavoro, Misura per misura di William Shakespeare; solo pochi si confrontano con i personaggi e l'intreccio di Misura. Ecco che la grandiosità del lavoro si manifesta nella fatica dell'essere portata avanti in cui Lavia è uno dei pochi Maestri italiani a raggiungere un risultato notevole, non solo teatralmente ma anche musicalmente. Ed è proprio la musica che prende largo consenso nei suoi allestimenti. Così, in credito con questa, volontariamente l'intervista procede in un senso più “musicale” che teatrale, indagando sul “diverso ramo” musicale (e stiamo ben attenti, non genere musicale), oscuro per la maggior parte degli addetti ai lavori; ovvero, la musica di scena.

Musiche notevoli queste di Misura per misura. Come, generalmente, nascono e quale metodo adotti nell'applicarle durante l'allestimento.
Le musiche di uno spettacolo dovrebbero nascere durante le prove, ma per com'è il teatro; i tempi, i costi ecc...è necessario inciderle prima. Questo significa rischiare di commettere errori e sbagliare. Diciamo che potrebbe accadere quando il regista arriva alle prove senza un'idea ben definita, ed è molto rischioso. Quindi tendo sempre a preparare tutto, ho già l'idea chiara e ben definita. Ed alcune volte è necessario anche obbligarsi a seguirla per non incombere in situazioni rischiose. Così lascio poco margine al cambiamento durante le prove per quanto riguarda la composizione tecnica e formale delle musiche. Tutto è previsto e nulla è lasciato al caso.

Un regista che segue sin dall'inizio le composizioni, riesce sempre a dare la sua giusta impronta; ogni musicista filtra l'idea del regista.
Quando riesco a seguire le registrazioni in sala d'incisione, spesso il lavoro viene meglio perché riesco a prevedere già delle conseguenze negative e grazie all'esperienza anticipo ciò che non funziona sul palcoscenico, o meglio, che non funzionano nei miei spettacoli. É un grande vantaggio poter operare subito sul campo. Qualcuno potrebbe dire che le musiche dei miei spettacoli sono tutte uguali, per tipo di suoni, di melodie e di timbri. È naturale che dopo tanti anni si raggiunge un semplice filo conduttore o una poetica di fare musiche, pur cambiando musicisti.

Molti registi tentano di sfatare un rapporto extradiegetico tra musica e scena tentando di lavorare su un processo diegetico delle musiche. Spesso, alcuni non ci riescono e vi rinunciano, altri vi riescono male, altri ancora, invece, vi riescono. Misura per misura adotta questa tecnica del diegetico, ovvero del musicista in scena, molto difficile da gestire, soprattutto se vi sono dissolvenze incrociate tra musica dal vivo e pre-registrata.
Sì, è molto difficile. Per una questione. La musica è un linguaggio molto speciale. Ed essendo un linguaggio fa un discorso compiuto e completo. Ora, la musica applicata alla scena dev'essere un linguaggio, ma non dev'essere un discorso. Se rimane linguaggio, diventa fondamento del discorso della scena. Invece, se questo linguaggio diventa e s'elabora in discorso, tipo un'orchestrazione complessa o un contrappunto particolare, tutto ciò decade fino al non funzionamento. Tutto questo è troppo difficile. Quasi sempre funzionano i cosiddetti “pedali”, o delle melodie atonali che abbiano un andamento molto largo. Se devono dare un ritmo, devono essere delle musiche semplicissime, quasi percussive. La musica applicata alla scena è un'altra musica, così come la musica per il cinema è un'altra cosa ancora. Nel cinema, in sede di montaggio, basta abbassare il volume della musica ed alzare il volume del linguaggio e ti salvi. A teatro, invece, se si esegue la musica in scena è tutta un'altra cosa, a meno che non si è favoriti dai microfoni che danno più possibilità di missaggio, ma non si è liberi di essere quello che si è.

E se non si è liberi di essere quello che si è allora entra in gioco quell'enorme problematica “del golfo mistico wagneriano”, in cui tutto avviene senza essere visto (a teatro è necessario vedere), più modernamente potremo dire “amplificazione”.
Si, possiamo anche entrare nella catena dell'amplificazione, ma bisogna avere molta attenzione. Invece la libertà, intesa in senso etimologico come finitezza e limite, è il limite anche del nostro volume naturale della voce. Allora con l'amplificazione, bisognerebbe avere un fonico così abile che riesca a capire il volume e l'intensità dell'esecuzione musicale e del recitato vocale più consono. È frequente in Misura per misura l'utilizzo della fisarmonica. Essendo per natura uno strumento difficile, suonarla con un recitato vocale bisognerebbe essere degli Astor Piazzolla per avere un pianissimo che s'intreccia sulla vocalità dell'attore. E un bravo attore che sappia capire la musicalità dello strumento.

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