Un viaggio sospeso tra parole e musica che esplora l’Altrove, quel concetto tanto materico quanto spirituale che da sempre attrae e disorienta, affascina e spaventa, insegue ed è inseguito dall’uomo. Si aggiungono nuove date per Perché io non spero più di ritornare, il primo spettacolo teatrale di Emidio Clementi insieme a Corrado Nuccini
Gli appuntamenti diventano tre: venerdì 29 novembre al Teatro degli Angeli a Milano e mercoledì 4 dicembre al Teatro Foce a Lugano, oltrealla data già annunciata di venerdì 13 dicembre all’Arena del Sole di Bologna. Scritto e interpretato dal musicista e scrittore, leader della band di culto Massimo Volume, con il progetto musicale del chitarrista e fondatore dei Giardini di Mirò, lo spettacolo è naturale evoluzione e intima sintesi della trilogia musicale e letteraria creata da Clementi e Nuccini nell’arco di un decennio, uscita per 42 Records. Un viaggio iniziato con Notturno Americano, in cui ripercorrevano l’America urbana del primo ‘900 descritta da Emanuel Carnevali, proseguito con Quattro Quartetti, testamento letterario di T.S.Eliot, e conclusosi con Motel Chronicles – realizzato nell’ambito del progetto Suner (ARCI E-R) con il sostegno della legge musica della Regione Emilia-Romagna – di cui hanno tradotto e trasportato in musica alcuni estratti dell’omonimo lavoro di Sam Shepard. Tre autori profondamente diversi le cui opere sono però attraversate dall’esplorazione di un immaginario comune, che guarda verso un altrove che spesso solo la letteratura riesce a raggiungere e che arriva a confondere i luoghi e perfino la sequenza cronologica. Un altrove inteso sì come scoperta, ma anche come spaesamento, aggiunge Clementi, che per la prima volta sale su un palco in veste di interprete teatrale. In effetti tutti e tre gli scrittori raccontano di un luogo (e da un luogo) che non è il loro, che li rende stranieri (le camere d’albergo di Shepard, le strade di New York di Carnevali, il mare e il tempo di Eliot), ma di cui hanno bisogno per accendere la propria voce poetica e raccontare il mondo. Il titolo dello spettacolo ribadisce proprio quest’ambiguità: Perché io non spero più di ritornare è un verso di Guido Cavalcanti ma è anche l’incipit di Mercoledì delle ceneri di T.S.Eliot, in cui l’autore esprime il desiderio di un ritorno o forse, invece, il suo contrario. Questo senso di straniamento e di ambiguità sono presenti anche ne L’ultimo dio (Fazi), il romanzo di Emidio Clementi che narra della sua fuga dalla provincia e dell’incontro con la scrittura e la figura di Carnevali. Ecco quindi che la voce autobiografica di Clementi, la sua esperienza di un Altrove, diventa l’ossatura del recital che lo vede protagonista: il recitativo su cui si innestano le arie delle pagine degli altri tre scrittori, il tema da cui si diramano le variazioni.
Gli estratti da L’ultimo dio fanno da collante tra alcuni dei brani contenuti negli album e altri inediti, plasmando uno spettacolo coeso e intenso, in cui l’interpretazione di Clementi è affiancata da un accompagnamento visivo inedito e da un progetto musicale ad hoc, che racchiude le molteplici e sfaccettate atmosfere degli album: dal ghostly blues di Notturno Americano, al sound introspettivo di Quattro Quartetti, fino alle raffinate e dilatate sonorità di Motel Chronicles. Perché io non spero più di ritornare guida attraversoun percorso condiviso, in cui le voci portate sul palcoscenico si fondono e confondono in un grande affresco – umano più che semplicemente letterario e musicale – che abbraccia oltre un secolo e in cui ognuno può ritrovare una parte del proprio viaggio, immagini della propria America.
Che sia nel vagabondare dei personaggi di Sam Shepard, che cambiano di continuo città e accendono falò con i loro oggetti personali, bruciando così il sogno di cambiamento a lungo cercato nei viaggi e negli incontri; o nell’itinerario di Emanuel Carnevali, che attraversa l’oceano all’inizio del ‘900 per coronare il suo sogno di scrittore; in quello di T.S. Eliot, che invece fa la strada inversa, parte da St. Louis e approda a Londra; o nella fuga di Clementi, fatta di solitudine e di presa di coscienza di sé, dolorosa e necessaria al tempo stesso. Emozioni diverse ma accomunate da una sensibilità condivisa verso l’idea di viaggio, ben sintetizzata visivamente anche nella locandina dello spettacolo: un prezioso scatto del celebre fotografo italiano Giovanni Chiaramonte, la cui arte ha sempre esplorato l’esistenza umana in modo profondo e sfaccettato.