Montecreesto: Mofo e la musica come antidoto alla mascolinità tossica

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Un cantautore e polistrumentista partenopeo che, con la sua musica, affronta tematiche profonde e socialmente rilevanti. Il 6 novembre è uscito il nuovo singolo di Montecreesto, “Mofo”, un brano che esplora la mascolinità tossica, un tema complesso e spesso trascurato che il cantautore affronta con coraggio e sensibilità. Con il suo mix di italiano e dialetto napoletano, l’artista denuncia le dinamiche disfunzionali che ancora pervadono l’universo maschile, invitando gli uomini a confrontarsi con le proprie emozioni e fragilità, un passo fondamentale per superare gli stereotipi e le pressioni sociali.
Dopo anni di esperienza con il progetto Hanger, Montecreesto ha intrapreso una carriera da solista che lo ha visto crescere sia artisticamente che umanamente, evolvendo il suo sound e approfondendo il suo linguaggio musicale. Oggi, ci racconta di “Mofo”, delle sue riflessioni sulla mascolinità, e del percorso che lo ha portato a diventare una voce autentica e consapevole della scena musicale.

“Mofo” affronta il tema della mascolinità tossica, un argomento molto attuale e spesso ignorato. Cosa ti ha spinto a scrivere un brano su questo tema, e come hai cercato di trasmettere il messaggio attraverso la tua musica?
Negli ultimi anni, ho letto fin troppo spesso notizie riguardanti suicidi e crimini tra gli uomini. Tutte queste notizie mi hanno spinto a riflettere sul tema della sensibilità maschile. Infatti, il maggior numero di suicidi avviene tra gli uomini. Con “Mofo” ho cercato di utilizzare la metafora e il dialetto napoletano per rafforzare il messaggio e dare ancora più forza a un tema che spesso viene ignorato o trattato superficialmente.
Nel brano, mescoli l’italiano con il dialetto napoletano per raccontare una realtà complessa e universale. Qual è il significato di questa scelta linguistica e come pensi che il dialetto possa rafforzare il messaggio del brano?
Il dialetto napoletano riesce a condensare in poche parole concetti complessi. Ha una poetica propria dell’italiano, ma allo stesso tempo una forza immediata che l’italiano standard non sempre riesce a esprimere. Un esempio è la parola “chiagneme”, che in italiano sarebbe “piangimi”, ma in napoletano ha un carico emotivo molto più forte e profondo. La lingua napoletana riesce a comunicare emozioni e situazioni complesse in maniera diretta e viscerale, come nel caso delle madri che piangono per i figli vittime della mascolinità tossica, o di chi arriva a compiere gesti estremi. In generale, il dialetto spesso riesce a trasmettere un messaggio più potente rispetto all’italiano “standard”, che rischia di essere troppo formalizzato.

Hai parlato di “Mofo” come di una presa di coscienza e di una bussola per orientarsi in una società che ancora vive di stereotipi tossici. Quali sono, secondo te, i passi concreti che gli uomini potrebbero fare per combattere questi stereotipi e riconnettersi con le proprie emozioni?
Il primo passo fondamentale è iniziare a parlare. Gli uomini tendono a reprimere le proprie emozioni, specialmente quelle negative come la paura e la tristezza, ma anche emozioni più “deteriorate” come l’amore, la dolcezza e la tenerezza. Parlare, esprimere ciò che si prova, è essenziale. La società dovrebbe potenziare i sistemi di supporto psicologico e psichiatrico, soprattutto per gli uomini, e sensibilizzare fin dalle scuole. È triste, ma si sentono spesso storie di ragazzi di 16 anni che si suicidano o si accoltellano per motivi banali. Partire dalla scuola sarebbe un passo concreto per sensibilizzare e creare consapevolezza su questi temi.
Nel corso della tua carriera hai evoluto il tuo stile musicale, passando dal progetto Hanger a Montecreesto e sperimentando diverse sonorità. Come definiresti la tua evoluzione artistica e cosa ti ha portato a un sound più personale e intimo nei tuoi brani da solista?
Quando usavo il nome Hanger, facevo musica in inglese. Ma col tempo ho sentito l’esigenza di esprimermi in modo più autentico, passando all’italiano e a sonorità più pop, ma anche più intime. Montecreesto è stato l’esito naturale di questa evoluzione, in cui ho cercato di unire una parte della mia sensibilità artistica con la mia nuova visione. Più si cresce come artista, più cresce la consapevolezza di sé e delle proprie emozioni, ed è naturale che la musica cambi e si evolva di conseguenza. La mia evoluzione riflette quella della mia anima e della mia percezione del mondo.

“Mofo” è un pezzo che porta con sé una forte denuncia sociale. C’è qualche artista o esperienza che ti ha influenzato particolarmente nel modo di affrontare tematiche così importanti con la musica? E come pensi che la musica possa essere un mezzo efficace per promuovere cambiamenti sociali?
Penso che il cantautorato italiano abbia sempre avuto una grande tradizione nel trattare tematiche sociali, spesso trascurate e ignorate. Quello che cerco di fare io è unire questa tradizione con sonorità più moderne, elettroniche e internazionali. La musica, come ogni altra forma d’arte, è uno strumento potentissimo per comunicare messaggi importanti e far riflettere le persone. Che sia una canzone, un film, o un’opera d’arte, l’arte ha il potere di trasmettere emozioni e idee in maniera immediata, spesso più di qualsiasi altro mezzo. Oggi forse la sua capacità di veicolare messaggi potenti viene poco sfruttata, e troppo spesso si adagia su tematiche meno urgenti.
Ci saranno concerti dal vivo? Dove ti potrà trovare il pubblico?
Intanto su Spotify, Instagram e gli altri social, dove è possibile seguirmi quotidianamente. Inoltre, la prossima settimana sarò alla Milano Music Week. Dopo questa fase di promozione, partiremo con i concerti dal vivo, che sono sempre il momento più atteso per me, perché permettono di condividere direttamente con il pubblico l’emozione che sta dietro alla musica.