Lucia Rubedo: L’immensità della musica, oltre il tempo e lo spazio

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Con la potenza della sua voce e la grazia che l’hanno resa un talento apprezzato dal grande pubblico, Lucia Rubedo torna sulle scene con un brano che promette di toccare le corde più profonde dell’animo umano. È appena uscito su tutte le piattaforme digitali “L’immensità”, un inedito che segna un passo importante nella sua carriera musicale.

La soprano crossover, dopo il successo ottenuto con la sua partecipazione a Tú sí que vales, continua a sorprendere con la sua eleganza interpretativa e la sua capacità di attraversare generi musicali diversi. La canzone, scritta dal compositore Gabriele Roberto e con il testo di Fabrizio Campanelli, si avvale di una straordinaria orchestrazione che coinvolge ben 70 musicisti, offrendo un’esperienza sonora intensa e coinvolgente. “L’immensità” è una riflessione profonda sul potere dei legami e sull’infinita bellezza dell’amore, ma anche una ricerca della connessione con sé stessi, capace di oltrepassare i confini del tempo e dello spazio. Un brano che riesce a coniugare la raffinatezza della musica classica con un’anima moderna, evocando le emozioni di un grande film. A poco meno di un anno dall’uscita del suo primo album Canto, Lucia Rubedo continua a consolidare il suo posto come una delle voci più promettenti del panorama musicale italiano. Abbiamo incontrato l’artista per scoprire di più su questo nuovo capitolo della sua carriera e su ciò che l’ha ispirata in questa nuova creazione musicale.

Lucia, qual è stata la tua prima esperienza con la musica e il canto?
Ho iniziato gli studi musicali da bambina, avvicinandomi al pianoforte a nove anni, ma è nel canto che ho trovato la mia vera vocazione. Così a 11 anni sono entrata a far parte del Coro Polifonico Padano diretto da Rosalia Dell’Acqua. La formazione corale, agli esordi, è stata per me una grande esperienza che mi ha formata attraverso un percorso mirato e strutturato: una forte enfasi su tecnica vocale, lettura musicale, lavoro d’insieme e disciplina. A differenza del cantante solista, che lavora soprattutto sull’espressione individuale, il corista si concentra sul creare una fusione armoniosa con il gruppo, seguendo rigorosamente la direzione del direttore. La tecnica vocale, comunque, è fondamentale per ogni corista: deve imparare a controllare la respirazione, il sostegno e la proiezione della voce, in modo da mantenere un buon volume e intonazione senza forzare. Spesso, il cantante corale deve adattarsi a cantare in una gamma vocale precisa e imparare a bilanciare il suono per non sovrastare né sparire nel contesto del gruppo. La lettura musicale è altrettanto essenziale, poiché in un coro si leggono spartiti complessi, a volte senza molto tempo per prepararsi individualmente. Ogni corista deve sviluppare capacità di lettura a prima vista e una comprensione approfondita dell’armonia, così da poter seguire con precisione le proprie linee melodiche e gli accordi. Il lavoro d’insieme è il cuore della formazione corale: i coristi devono ascoltarsi a vicenda, armonizzare e seguire le indicazioni del direttore in tempo reale, creando una coesione musicale. Si impara a sentire la propria voce come parte di un organismo più grande, in cui ogni parte contribuisce all’armonia generale. Infine, posso dire che cantare in un coro mi ha permesso di acquisire una grande disciplina e capacità di concentrazione, soprattutto durante le esibizioni e le prove, dove il tempo è limitato e il margine di errore è ridotto. Crescere in questo tipo di formazione ritengo mi abbia resa un’artista versatile e adattabile, capace di inserirsi in diverse formazioni e generi musicali, con professionalità e sensibilità artistica.
Quali sono stati i tuoi modelli in musica, quelli che ti hanno ispirato?
Non mi sono mai focalizzata su un unico genere musicale. Ho sempre ascoltato e amato chiunque mi piacesse, indipendentemente dal genere. In generale mi sento ispirata quando avverto qualcosa di forte.
La mia ispirazione arriva da artisti che hanno influenzato profondamente il mio genere musicale, ma sono stata particolarmente ispirata anche da artisti che incarnano qualità tecniche e interpretative particolari.
Artisti come Luciano Pavarotti, Maria Callas sono esempi di cantanti che hanno raggiunto una maestria tecnica e interpretativa altissima. Le loro esibizioni sono spesso esempi da seguire per la voce e l’espressione. Cantanti come Freddie Mercury e Whitney Houston rappresentano invece modelli di voci potenti e carismatiche, capaci di trasmettere emozioni intense. Li ho sempre ammirati per la loro presenza scenica e per l’abilità nel sintonizzarsi con il pubblico. Ascoltare anche un cantautore come Fabrizio De André per me è stato fondamentale, per la sua capacità di raccontare storie e creare connessioni profonde attraverso i testi, un aspetto che mi ispira particolarmente per dare importanza, significato e peso ad ogni parola del testo che devo cantare, e di conseguenza alle mie interpretazioni.
In generi come il crossover operatic pop, artisti come Pavarotti, Andrea Bocelli, Il Volo, Josh Groban, Il Divo e The Tenors hanno dimostrato come sia possibile fondere elementi classici e pop, ispirandomi ad esplorare nuove frontiere sonore. Protagonisti assoluti come Prince, David Bowie, Michael Jackson, Beyoncé e Lady Gaga, infine, rappresentano per me non solo eccellenza vocale, ma anche innovazione artistica e capacità unica di espressione personale. La scelta dell’ispirazione dipende anche dal percorso e dalla sensibilità che ognuno ha; io ho sempre cercato di attingere a diverse influenze musicali per creare uno stile solo mio, maturato nel corso degli anni. E sarò sempre in continua evoluzione.
Desidero che la mia musica, così come è la mia personalità, possa essere un concentrato di aspetti contrastanti coesistenti… un po’ come accade nel genere crossover.

C’è un ruolo o un’opera che consideri particolarmente significativo nella tua carriera?
In realtà non credo. Ogni ruolo che ho interpretato ha avuto un significato unico e ha contribuito alla mia crescita artistica e alla carriera, anche se in modi diversi. Alcuni ruoli sono stati pietre miliari per la loro importanza storica o per la complessità tecnica e interpretativa: ad esempio, affrontare il personaggio di Zerlina e poi dopo qualche anno il personaggio di Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart lo considero un traguardo, poiché il personaggio di Donna Anna richiede una vocalità più matura, resistenza e una profonda capacità espressiva rispetto al personaggio di Zerlina. Ho avuto la fortuna anche di affrontare ruoli importanti come Micaela in Carmen di Bizet, Susanna delle Nozze di Figaro di Mozart , Lauretta in Gianni Schicchi e Musetta ne La Bohème di Puccini, Oscar in Un ballo in maschera e Gilda di Rigoletto di Giuseppe Verdi… Ogni ruolo offre l’opportunità di esplorare nuove sfumature interpretative e tecniche vocali, consentendo al cantante di mostrare la propria versatilità e capacità di adattarsi a stili diversi.
Inoltre, ogni ruolo rappresenta un’opportunità di connessione con il pubblico, di collaborazione con altri artisti e di crescita interiore. Anche i ruoli meno “prestigiosi” possono lasciare un segno significativo, soprattutto quando permettono di esplorare aspetti nuovi del proprio talento e di evolvere come interprete. In questo senso, ogni esperienza è un tassello che arricchisce il bagaglio artistico e contribuisce alla costruzione di una carriera completa e autentica.
Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato finora come soprano?
Sono diverse, sia sfide tecniche che emotive. Sicuramente il controllo della voce è stata la prima che ho dovuto affrontare. Da subito ho cercato di imparare un grande controllo della respirazione per supportare le note alte e lunghe. Mantenere stabilità, soprattutto nei registri più acuti, richiede anni di pratica e una costante attenzione alla tecnica, che continuo a mantenere ed affinare con lo studio quotidiano.
È importante anche l’estensione vocale. Ovviamente ogni voce ha il suo registro, ma si può comunque migliorare e ampliare la propria estensione vocale. Ad esempio, io che sono un soprano ho dovuto lavorare molto verso le note più basse, senza sacrificare il controllo nelle note alte. In ogni caso, il mantenimento dell’estensione risulta sempre particolarmente impegnativo. Cantare richiede forza e resistenza fisica. Una performance può durare diverse ore, e cantare in modo intenso per così tanto tempo è una prova fisica importante; serve un corpo sano, ed è per questo che vanno curate rigorosamente alimentazione e stile di vita. Da non trascurare anche l’interpretazione emotiva, essenziale soprattutto in brani che richiedono intensità. Personalmente provo sempre a trovare un equilibrio tra tecnica ed espressione, senza che una ostacoli l’altra. Sicuramente il repertorio di un soprano è impegnativo. Alcuni dei brani più celebri, come le arie di Puccini, Mozart e Verdi, sono tecnicamente complessi e richiedono abilità vocali estreme. Questo repertorio rappresenta un traguardo, ma può anche essere una sfida continua a migliorare. Sottolineo anche i fattori della pressione psicologica: il mondo dell’opera è molto competitivo, e i soprano spesso si trovano a dover gestire le audizioni e le performance dal vivo, oltre che le critiche del pubblico e degli addetti ai lavori. Tutti questi elementi rendono il ruolo del soprano davvero impegnativo, ma anche straordinariamente appagante per chi riesce a superare le difficoltà e a far brillare la propria voce.