Quando l’elettronica sposa il pop colto.
La parola usa la definizione eclettico e non trovo altro aggettivo per fotografare la creatività di Alessandro Zannier in arte Ottodix, che da oltre due decenni si cimenta in un magistrale connubio tra arti visive e musica, trasformando i suoi album (il debutto “Corpomacchina” risale al 2003), in triplici viaggi tra musica, arti visive e scrittura.
Questo ottavo lavoro è l’ennesima dimostrazione di Zannier di abbattere i confini e in un miscuglio sonoro che chiama in causa elettronica, ambient, new wave e pop, per un impasto che funziona benissimo.
Sotto la regia del produttore Flavio Ferri, che qui spende la sua esperienza di studio, entrando in totale sintonia con un artista che ha molti punti in comune con il suo bagaglio.
Mentre ascoltiamo la title track, la potenza melodica di “Eco”, la docile “Memorandom”, l’album scorre fluido, trasportandoci in quel nuovo mondo dove l’umanità emigra in cerca di nuova vita, come da argomento portante delle liriche del concept. “Nati su gemini” suona più rude e forte, con un basso sussultante, su cui la voce solida di Zannier scandisce le parole, peculiarità esibita in tutte le tracce, una dote non così facile nei cantanti.
I riferimenti creativi sono il maestro Franco Battiato, Morgan, ma anche i suoi Bluvertigo ed appare il Mango più elettronico, un grande artista, purtroppo sempre poco citato in Italia quando si parla di pop elettronico. Naturalmente guardo oltre confine impossibile non citare i giganti Depeche Mode e Duran Duran, ma anche tanta post new wave anni ’80. Tuttavia il progetto Ottodix respira con un ossigeno proprio, forse catturato in uno dei suoi tanti viaggi astrali e possiede una propria gravità, giocando con il titolo “Gravità”, il singolo che apre l’album, accompagnato da uno stupefacente videoclip realizzato dallo stesso Zannier, che documenta come per l’artista la musica e l’estetica viaggino alla pari con medesima importanza.
Nella seconda parte brani come il singolo “Techne”, ritmato electro pop con un coro esteticamente scintillante, “Musa” che ci riporta ai primi misteriosi Litfiba, “Utopia” ballata che avanza sospesa su note avare, ma avvolgenti, confermano il valore di un album mai banale, che si conclude con “Simulatore” sorta di poesia silenziosa, che resta sospesa in attesa di ciò che verrà. Esattamente come ciò che aspetta l’umanità, protagonista di “Gravità”, quando atterrerà nel nuovo mondo.
Ottodix con “Arca” firma un album che stupisce ed offre alcuni momenti di innovazione, quanto basta per incuriosire chi non si accontenta dell’ovvio.