Dopo aver ascoltato “Fulmini” il nuovo album degli Zagreb, non abbiamo resistito alla tentazione di approfondire l’argomento con la band. E così abbiamo incontrato Antonello Novello, il cantante e chitarrista e mente creativa del gruppo, che ci ha raccontato anche come ascoltare musica possa essere spaventoso.
Bentornati ragazzi, dieci tracce, ma per me non serviva un solo minuto di più, quindi complimenti. È una scelta voluta la sintesi con brani asciutti e diretti? Come sono nati i pezzi?
I brani di questo nuovo disco sono nati proprio come fulmini, senza troppo pensarci su, puro istinto e voglia di farsi sentire. Volevamo arrivare dritti al punto, al senso, lavorando quindi molto su dinamiche non troppo complesse, parole ben precise e suoni carichi di strumenti tradizionali. Tutto nacque mentre il lockdown ci costrinse al silenzio, all’immobilità: la nostra unica via di fuga fu scrivere e raccontare questo dolore.
Nei testi cosa cercate di esprimere? Mi sembra di vedere temi legati al personale? Non è forse il momento che il rock torni a schierarsi e ad alzare la voce?
Zagreb ha sempre voluto raccontare storie di vita reale, le nostre ma soprattutto quelle vissute dalla gente comune: la solitudine, la sofferenza, la povertà sociale e mentale, tutte le forme di dipendenza, il potere che logora e che fa male. Alziamo la voce e ci schieriamo così, urlando a modo nostro questo dolore e sperando di sollevare, prima noi stessi, poi qualche ascoltatore. Il nostro mestiere è scrivere canzoni e pensieri; la politica, nonostante sia soprattutto in questo momento storico uno schifo, la vogliamo tenere fuori dalla nostra musica.
La collaborazione con Omar Pedrini nel brano “Resto solo io”, come nasce? Pensate in qualche modo di allacciarvi ai Timoria e alla scena rock italiani anni ’90, di cui Omar è stato artefici e protagonista?
Omar Pedrini è senza dubbio l’Artista più umile e disponibile che abbiamo mai incontrato in questi lunghi anni di rock. Eravamo in studio e avevamo da poco chiuso le registrazioni di Resto solo io: sentivamo che il brano peccava di qualcosa, aveva bisogno di una spinta, forse di contaminazione. Canticchiandola, come un fulmine, ci venne in mente la voce di Omar: in pochi giorni, riuscimmo a contattarlo, farlo innamorare del brano e di Zagreb, e dopo appena un mese ce lo trovammo davanti al banco mixer. Ci ha regalato non solo un sogno, ma tanta umanità e la sensibilità che solo un’anima buona come lui è in grado di trasmettere. I Timoria fanno di certo parte del nostro background musicale, hanno fatto molto per la musica del nostro Paese e se mai un giorno potessimo raggiungere un livello tale, sarà anche grazie a Omar.
Come nascono i brani di “Fulmini”? Cosa offrono di diverso dal precedente? Se c’è qualcosa di diverso.
“Fulmini” è il quarto disco in studio di Zagreb e a contraddistinguerlo dai precedenti album c’è sicuramente il fatto che la produzione è più snella, fatta di rock crudo e quasi inesistente è l’innesto elettronico. Credo che questo nuovo viaggio sia ricco di maturità artistica, sia a livello di testo che strumentale: siamo cresciuti molto e siamo in continua evoluzione, ormai questo mondo ci appartiene e vogliamo lasciare il segno.
Ascoltate ancora musica? Trovate qualche artista che ancora vi emozioni? E in generale, suonando, come è cambiato il vostro modo di ascoltare la musica?
“Ascoltate ancora musica?” è una domanda davvero spaventosa (Ride!! nda), ma forse è tutto tristemente reale. Oggigiorno credo la musica sia puro sottofondo di una vita difficile, spesso troppo veloce, egoistica. Credo che la gente abbia bisogno di leggerezza, per questo spesso fermarsi ad ascoltare (una canzone, piuttosto che un pensiero, un discorso) diventa difficile. Credo che l’unico modo per farsi ascoltare e vivere davvero, sia durante il concerto, quando i presenti sono lì apposta per quello. Nonostante tutto, si ascoltiamo molta musica, a casa, in macchina, in cuffia, dal vivo; non abbiamo generi o artisti preferiti, spaziamo molto e questo ci aiuta nella ricerca e nello sviluppo della band.
Oggi sembra quasi che affermare di suonare rock, sia considerata una cosa superata? Ma è davvero possibile che il rock sia diventato da colonna sonora della ribellione giovanile a musica per vecchi?
Bah…non lo so, ma se fosse veramente così non ci trovo nulla di male, anzi! I giovani d’oggi non hanno neanche idea di cosa significhi lottare: lottare per i diritti dei più deboli, lottare per la pace, lottare per un mondo migliore, lottare per elevare la propria persona. Vedo giovani allo sbando, senza speranze, senza fantasia e per di più che ascolta musica di merda. Viva i non più giovani, viva chi si sbatte, viva chi si fa trascinare dai principi del rock…lunga vita al Rock and Roll!
Oggi quali sono le difficoltà concrete per una rock band, diciamo, underground come la vostra? E quali sono i traguardi concreti che vorreste raggiungere nell’immediato?
Quotidianamente ci confrontiamo con la sopravvivenza in questo mondo musicale: fare un disco per una band come la nostra non significa solo entrare in studio ed uscire con un prodotto finito: le cose più difficili sono la promozione, l’organizzazione di un tour, il rientrare dei molteplici costi che questo lungo viaggio comporta. Attualmente stiamo facendo tutto ciò e sembra che Fulmini piaccia molto, quindi venite a trovarci live e/o nei nostri canali social.
Grazie Gianni, grazie agli amici di Musicalnews, grazie a tutti voi….ci vediamo a Zagreb.