Un mese prima di lasciarci, la compianta Margot Galante Garrone, chiese a Beppe Chierici – “vagabondo saltimbanco musicale e guitto teatrale”, secondo la sua stessa definizione – di riaccendere la fiaccola del seminale gruppo torinese che ebbe il merito di fondare una nuova estetica e una nuova etica per la canzone italiana, preparando di fatto il terreno alla successiva esperienza dei cantautori. Così, a ottantaquattro anni suonati ma con l’entusiasmo e il vigore di un ragazzino, Chierici ci chiama di nuovo a raccolta e intona ancora il verso “Ascoltate, brava gente…”, ammaliando con l’arte antica del cantastorie in sereno spregio delle mode, della durata radiofonica, della disattenzione diffusa, dell’imbarbarimento del linguaggio, “in direzione ostinata e contraria”.
La forma è tradizionale, in una metrica a rima baciata che non disdegna preziosismi e arcaismi (non potrebbe essere diversamente), ma l’intuizione è perfettamente lucida, affilata e viva e la voce, forgiata dalle intemperie e dalle bonacce della vita, ha la forza disarmante di chi dice la verità, ricorrendo, ove necessario, anche a un salutare e liberatorio “vaffanculo” che non può non ricordarci le parole di De André ne “La domenica delle salme”. Tra invettive, caricature grottesche e riflessioni argute (“Siamo tutti lo stronzo di qualcuno” andrebbe insegnata a scuola), Chierici snocciola la sua galleria di personaggi, idee e passioni, lasciandoci con un senso di meraviglia e gratitudine, perché sentir parlare d’amore e di lotta un ragazzo è senz’altro bello, ma sentirne parlare un ultraottantenne commuove nel profondo e ci fa sentire un po’ meno soli.
Beppe Chierici, “Nuovo Cantacronache vol. 7” – Cenacolo di Ares, 2021 (distribuzione Audioglobe)