“Cor Cordis” è l’ultimo disco che porta la firma del violinista Francesco Del Prete, uscito il 18 maggio 2021 per l’etichetta Dodicilune, all’interno della collana Controvento. In questo album l’artista salentino parte dalla sua esperienza legata agli studi classici e al jazz, aprendo la strada all’elettronica che diventa anch’essa protagonista indiscussa. Un progetto crossover, dunque, che Francesco Del Prete ci ha raccontato in prima persona.
Francesco: Come è nato il nuovo album?
A distanza di un mese dall’uscita di “Cor Cordis” posso senza alcun dubbio affermare che la sua realizzazione rispondeva ad un’urgenza molto personale. Con “Corpi d’Arco”, il mio primo disco strumentale uscito più di qualche anno fa, pensavo di aver esaurito questo tipo di ispirazione e invece… Mi spiego meglio. In questo progetto costruisco tutti i miei brani solo con archetto e violino, magari approcciandomi a questi due strumenti in maniera molto soggettiva ed alternativa: l’arco può facilmente diventare una bacchetta percussiva che impianta le fondamenta ritmiche mentre un approccio più chitarristico, magari arricchito anche di plettro, mi permette di tessere le armonie più indicate per creare il giusto substrato su cui poggiare melodie eseguite sfregando oppure pizzicando le corde. Costruire i brani traccia per traccia, livello dopo livello fino ad arrivare all’opera completa, mi consente di mettere in campo libertà e creatività che ovviamente in formazioni allargate ad altri musicisti non mi sarebbero consentite. Col secondo album invece è venuta fuori l’esigenza di andare più in profondità: l’obiettivo di COR CORDIS è quello di provare ad andare oltre la superficie delle cose che ci circondano e dell’essere umano coi suoi comportamenti, per raggiungerne i significati più reconditi.
Questo nuovo disco dove sposta l’asticella del tuo modo di comporre?
Le premesse esposte nella risposta alla prima domanda chiariscono quel che segue: è stato inevitabile, rispetto ai primi lavori, approfondire meglio le tessiture ritmico/percussive e la ricchezza armonica sottese; i miei primi lavori erano sicuramente sinceri ed articolati, appassionato come sono da sempre sia del rigore classico che della freschezza e libertà jazz; di conseguenza non avrei potuto sicuramente licenziare brani che fossero, per così dire, incompleti. Ma è indubbio che il nuovo lavoro presenta un’inedita ricchezza sonora da tanti punti di vista. Anche le melodie composte sono frutto di una ricerca paziente ma determinata a offrire qualcosa di inedito.
In particolare, quanto la componente elettronica ha influito sulle composizioni?
Ci sono due ambiti di elettronica utilizzati nei miei lavori: quella necessaria per potermi esprimere – violini elettrici collegati a pedaliere elettroniche multieffetto e loop machine che mettono a mia disposizione una voce più originale rispetto a quella di chiunque altro – e quella curata in tandem con la producer Lara Ingrosso, in arte Arale, presente solo lì dove ne ho sentito una forte esigenza: originali substrati ritmici a sostenere adeguatamente le sezioni magari più irruenti, oppure inconsueti effetti sonori appropriati per ottenere quello che il titolo dell’album in questione suggerisce: immergersi tra le pieghe dell’animo umano per raggiungerne la parte più intima, il cuore del cuore.
Quali sono le tematiche che affronta l’album? C’è un legame fra loro?
“Cor Cordis” è un concept album: già i titoli dei brani che lo compongono tracciano un percorso che l’ascoltatore può seguire chiudendo gli occhi e lasciandosi prendere per mano dal mio violino. Si parte riconoscendo e confessando la propria identità (“Gemini” // “SpecchiArsi”), rivelandone magari luci ed ombre (“Il teschio e la farfalla”) o svelandone falsità e menzogne (“L’inganno di Nemesi”), bramando bellezza e amore (“Lo gnomo” // “L’attrice”) mentre le ore camminano inesorabili ed incuranti di tutti noi (“Tempo”).
Dalla biografia si evince questo passaggio dagli studi classici al jazz, è un tratto comune di molti artisti, in cosa è un vantaggio e in cosa può essere un limite?
Per me è stato prima di tutto qualcosa di inevitabile: mi ricordo già da piccolo piuttosto insofferente al pentagramma scritto da altri; appena finite le ore dedicate allo studio della tecnica chiudevo lo spartito musicale e andavo – in maniera piuttosto ingenua, lo ammetto – ad esplorare linee melodiche personali; indubbiamente, e col senno di poi, tale modalità celava, da una parte, un mio irrefrenabile desiderio di creare qualcosa di originale rispetto a tutto quello che leggevo sulle partiture, e dall’altra la necessità – credo insita in ognuno di noi – di lasciare in qualche modo un segno del nostro passaggio su questa terra. Arricchire il mio percorso di studi col jazz – che per sua natura mette in primo piano l’improvvisazione, imprescindibile secondo il mio punto di vista per un compositore moderno – non ha fatto altro che fornire una marcia in più al mio “violinismo”.
Come musicista non ti limiti a progetti in ambito jazz, ma esplori anche altre direzioni, quali in particolare?
Da qualche anno condivido sempre con Arale un progetto chiamato RESPIRO, un duo electro-pop/alternative hip-hop – con all’attivo già tre dischi e oltre 150 concerti in tutta Italia – che partendo dalla voce di Lara Ingrosso e dal mio violino elettroacustico si spinge verso l’utilizzo di strumentazioni elettroniche più sofisticate alla ricerca di un sound a metà tra la scuola americana e la canzone d’autore italiana. Questo fa comprendere l’estrema versatilità di uno strumento antico quale il violino che, opportunamente calato nei giorni nostri e con la giusta dose di creatività, contribuisce a fornire una voce originale nel dedalo di produzioni musicali da cui siamo ormai sommersi.