“Teatro d’Ira è stato scelto per creare un contrasto tra il teatro, che è la collocazione, è l’ira che è il soggetto per far capire come la nostra rabbia sia un impeto da collocare in un contesto in cui c’è la possibilità di trasformarlo in qualcosa di positivo. Non siamo per rompere e spaccare le cose. Ma è quella rabbia che porta a cambiare le cose, che è poi quello che abbiamo fatto noi facendo questo disco”. Così Damiano David, voce dei Måneskin presenta il nuovo album “Teatro d’ira – Vol.I” (Sony Music), in uscita venerdì 19 marzo 2021.
E’ un momento decisamente incredibile per il quartetto romano. Prima la vittoria al 71° Festival di Sanremo con il brano “Zitti e Buoni” già certificato disco d’oro, poi la partecipazione alla prossima edizione dell’Eurovision Song Contest, e ora l’attesa nuovo album. Il disco arriva a due anni da “Il ballo della vita”, doppio disco di platino. “Teatro d’ira – Vol. I” è il primo volume di un progetto più ampio che si svilupperà nel corso dell’anno e che racconterà in tempo quasi reale gli sviluppi creativi della band insieme alle prossime importanti esperienze. Un percorso ambizioso e in continuo divenire, partito dai singoli “Vent’anni” (disco di platino) e “Zitti e buoni”, che in pochi giorni ha raggiunto 18 milioni di streaming. La band, composta da Damino David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) e Ethan Torchio (batteria), ha presentato in anteprima il disco ai giornalisti in un appuntamento speciale via Zoom. Dallo studio Mulino Recording Studio di Acquapendente (Viterbo), dove hanno registrato il disco, la band presentato dal vivo alcuni estratti, ovvero “Zitti e buoni”, “I wanna be you yoru slave”, “In nome del padre”, “Vent’anni” e “Coraline”.
I Måneskin porteranno la loro incredibile carica dal vivo per la prima volta sui palchi dei più importanti palazzetti italiani, dove presenteranno il loro secondo album “Teatro d’ira – Vol. I” in un tour di 11 date, organizzato e prodotto da Vivo Concerti. Subito esauriti i biglietti per i primi quattro show al Palazzo dello Sport di Roma (14 e 15 dicembre) e al Mediolanum Forum di Assago (18 e 19 dicembre), a cui si aggiunge un terzo concerto al palazzetto di Milano, previsto per il 22 marzo 2022. Oltre a questa nuova data oggi sono annunciati i nuovi concerti della tournée che farà tappa il 20 marzo all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO), il 26 marzo al PalaPartenope di Napoli, il 31 marzo al Nelson Mandela Forum di Firenze, il 3 aprile al Pala Alpitour di Torino, l’8 aprile al PalaFlorio di Bari e si concluderà nell’iconica Arena di Verona il 23 aprile 2022. Questo sarà un live evento che vedrà i Måneskin con la loro straordinaria energia aprire la stagione dei grandi concerti 2022 dell’Arena.
Questo disco rappresenta una grande maturazione per i Måneskin. Un disco che come avete dichiarato è in presa diretta e che rimanda ai concerti dal vivo. Com’è nato questo progetto?
Victoria: Il nostro obiettivo principale è arrivato in seguito a una maturazione avvenuta in questi anni. Abbiamo fatto molti concerti in Italia e anche all’estero. E nei concerti abbiamo capito qual è la nostra forma più naturale. Quando abbiamo fatto il primo album eravamo tutti più piccoli. Nel corso di questi anni, sia studiando a livello personale che nelle esperienze dal vivo, abbiamo capito che volevamo questa crudezza, riportare il clima analogico e far sentire gli strumenti.
Damiano: Al Mulino, dove è nato tutto, tutte le sperimentazioni sono avvenuta tra noi quattro in sala. Tutto è stato frutto di suoni, amplificazioni e strumenti. Abbiamo voluto registrare con un banco analogico e tramettere la dimensione dal vivo all’interno del disco. L’obiettivo è stare insieme e divertirci e non porci nessun limite.
Thomas: Quello del live è un concetto che ci portiamo dietro da sempre. Noi continueremo a vivere sempre dal vivo. Perché se si pensa alle nostre origini noi siamo partiti dalla strada, che è stata una scuola per noi: lì il pubblico te lo devi conquistare. E noi puntavamo a conquistarlo cercando sempre di essere noi stessi. Di base siamo sempre stati un power trio con la voce. Per questo il nuovo disco è stato fatto in presa diretta e di conseguenza il suono è crudo. Abbiamo portato la nostra natura e l’abbiamo voluta portare come quando siamo sul palco.
Nel disco ci sono sia brani in italiano che in inglese. Come mai questa scelta?
Victoria: Nei brani non ci siamo imposti limiti sulle durate e sul linguaggio. Infatti ci sono anche brani in inglese. Siamo molto soddisfatti. L’obiettivo è quello di dare una varietà all’interno dell’album. Ci sono brani che toccano estremi molto opposti senza essere di natura diversa. Abbiamo variato tantissimo.
Damiano: Abbiamo deciso di non abbandonare il nostro lato inglese. “I wanna be your slave” per esempio ha un testo un po’ colorito. Però spero che si guardi oltre. Il brano è un modo per descrivere con crudezza tutte le sfaccettature della sessualità delle persone. C’è un lavoro dietro e una parte di sacrifici importanti, studio, impegno e disciplina. Ci sembrava un modo giusto di descrivere questa cosa attraverso la musica.
Per la partecipazione all’Eurovision Song Contest avete dovuto apportare qualche modifica al testo di “Zitti e buoni”. Per regolamento non si possono usare termini espliciti. Come vi siete adattati a questa situazione?
Damiano: Non è una cosa che a noi ha fatto piacere. Però c’è anche un discorso di buon senso, altrimenti ci avrebbero squalificato. Per questo pensiamo che sia più importante partecipare a una manifestazione del genere che tenere un “cazzo” nel testo. In questi casi entra il gioco il buon senso. Bisogna rendersi conto della realtà dei fatti. Siamo ribelli ma non scemi.
Victoria: Per noi è importante esprimerci con la nostra musica. Siamo orgoglioso di andare all’Eurovision Song Contest con un brano del genere.
Cosa rispondete a chi dice che siete un’imitazione di una rock band?
Victoria: Da questo punto di vista non ci interessa incasellarci in una categoria. Ovviamente ci sono i puristi. Ma non siamo i Led Zeppelin. Siamo un gruppo di ragazzi che suonano insieme in una band e oggi in Italia non ce ne sono molti che fanno lo stesso. Quando scriviamo siamo liberi. Siamo cresciuti con il rock. Se ci vogliono dire che non sismo rock: Stì cazzi.
Thomas: Noi esprimiamo molta libertà in termini di musica. Qualsiasi gruppo ha implementato questo aspetto. Noi cerchiamo di far vedere quello che siamo. Poi i puristi del rock ci saranno sempre. E dico io: “meno male”. Penso che è un discorso infondato alla base. Se mi metto nella testa di un purista dico: “Meno male che ci sono e che credono in questo”. Noi siamo contenti di quello che siamo riusciti a fare.
Come nascono i vostri brani?
Damiano: La composizione delle canzoni è sempre molto eterogenea e diversa. Per esempio per “Coralin” eravamo in una stanza d’albergo io e Thomas. Lui ci ha messo la chitarra, l’abbiamo fatta ascoltare agli altri e hanno deciso di portarla avanti.
Come è nata Coraline? Si ispira a una storia che avete conosciuto direttamente?
Damiano: Innanzitutto il nome “Coraline” non è riferito al lungometraggio animato. La scelta del nome è puramente fonetica e musicale. La storia è reale, ma di cui non parlerò, ed è riportata in favola. C’è da fare una precisazione sul testo. Non è una storia di un uomo cavaliere, che dall’alto del suo essere principe azzurro salva la principessa in difficoltà. Non è così. E’ una favola che finisce male. E’ qualcosa di reale. E’ la storia dell’appassimento di questa ragazza, di questo fiore stupendo. Il cavaliere è un semplice spettatore inerme rispetto a quanto sta succedendo.
Thomas: E’ come un film. Ci siamo divertiti molto a lavorare su questo brano, che un ritornello e un intermezzo particolari.
Per quanto riguarda “I Wanne Be Your Slave” avete pensato che fa venire in mente, nel titolo, ad alcuni classici del rock come “I Wanna Be Your Dog” degli Stooges e “I Wanna Be Setated” dei Ramones?
Victoria: Questo brano è nato a casa. Ci ho pensato dopo anche io a “I Wanna Be Your Dog”. Ma è stato veramente un caso.
Proseguirete dunque a incidere brani in inglese? Pensate a sviluppi all’estero?
Damiano: Noi siamo partiti in inglese con “Chosen”. Pensiamo di essere un progetto valido anche per l’estero. Scrivere in inglese fa parte di noi. E poi siamo stati cercati anche da una band estera e abbiamo fatto un pezzo con loro. Si tratta dei The Struts.
A che paura fa riferimento “La paura del buio”?
Damiano: Il buio di cui parliamo è un modo di dire “Proverete a fermarci, ma in realtà siete soltanto voi ad avere paura del progresso”. Inteso come progresso musicale che presuntuosamente pensiamo di stare portando. Noi non abbiamo paura di questo buio, dell’ignoto e di quello che succederà.
Oltre ai vostri fans storici c’è anche un nuovo pubblico che state conquistando ora. Che aspettative ci sono? Pensate che molti potrebbero avvicinarsi al rock grazie a voi?
Thomas: Il pubblico è super entusiasta. E non vedono l’ora che ricomincino i live. I nostri coetanei probabilmente non sono abituati a questo tipo di musica. Magari non c’è una cultura radicata. Però penso che molti giovani la vedono anche come una novità da scoprire.
Victoria: Molti non sono abituati al rock, però molto possono avvicinarsi. Alla gente in generale non interessa che genere è. Se un brano gli piace lo ascolta.
Damiano: Noi non siamo i Led Zeppelin. Ma siamo all’inizio. Dateci la possibilità di diventare i Led Zeppelin.
Nei giorni scorsi Manuel Agnelli degli Afterhours, commentando la vostra vittoria, ha detto che sostanzialmente avete ridato voce alla band, che in Italia ci sono ma non hanno spazi in cui suonare e quindi faticano a emergere. Cosa ne pensate?
Victoria: Confrontarci con Manuel ci ha fatto molto bene. Ci ha espresso la sua ammirazione e avere il suo supporto è un grande onore per noi. Non ci arroghiamo il peso e la responsabilità di questa cosa. Noi facciamo la nostra musica. Poi se questo porta in luce questa realtà e può dare ispirazione ai dei ragazzi sarebbe una cosa fantastica.
C’è oggi un anticonformismo da parte dei ragazzi, ma che però si nota poco. Cosa ne pensate?
Damiano: Quello che vediamo è che sempre più ragazzi della nostra età cominciano a essere informati su quello che succede e su quelle che sono le categorie della nostra società che sono state nascoste per anni sotto il tappeto. Noi stiamo vedendo che la nostra generazione si sta interessando e si sente rappresentata. Tanti nostri amici si stanno aprendo a livello comunicativo – si parla di più e meglio – sia a livello pratico: tanta gente si sta liberando di tanti concetti.
Cosa vi fa arrabbiare? E’ una cosa personale o riguarda il mondo che vi circonda?
Victoria: Nei nostri brani abbiamo questa maniera di esprimere le cose in maniera molto concettuale. Poi ognuno lo interpreta a modo suo. Alla fine mettiamo nei testi e nella musica quello che ci succede. Alcune cose sono riferite al nostro passato, ai nostri esordi, quando avevamo 15 anni. Ci siamo subito impegnati e molte persone ci dicevano: Cosa pensate di fare? Fare musica non è un lavoro.
Damiano: Penso ai limiti che hanno provato a imporci. Ci dicevano “Dove andate”? E noi: “Andiamo a vincere Sanremo 2021”.