Un connubio di sussurro e pop raffinato. Questa è la caratteristica de “La violenza della luce” il nuovo album di Gianluca De Rubertis che, alla sua terza prova solista, sforna uno dei migliori lavori di questo 2020. Il disco, anticipato dalla morbida e malinconica “Pantelleria”, offre una track-list di tutto rispetto, che conferma il cantautore come uno degli artisti più eccellenti e interessanti della scena musicale italiana, che si cimenta in una raffinata formula art-pop. Otto brani intensi, che lasciano il segno in questo 2020 incerto dove si sono perse le speranze.
Sono trascorsi oltre cinque anni dal precedente album “L’universo elegante”. In molti sentivano la tua mancanza. Che cosa hai fatto in questo ultimo periodo?
Una ulteriore feat. con Amanda Lear nel 2016, un ep con Roberto Dell’era nel 2017, ho scritto come autore per Sugar, ma soprattutto ho preparato questo mio nuovo album.
“La violenza della luce” è un disco che cattura sin dal primo ascolto, e a mio parere la tua scrittura si è ulteriormente raffinata. Quanto hai iniziato a lavorare ai brani avevi già in mente quale sarebbe stato il tuo punto di arrivo?
Assolutamente no, non credo sia possibile prevedere una destinazione, almeno in campo artistico.
Entrando dentro i singoli brani l’iniziale “Voi mica” scava dentro la coscienza di chi ascolta. E’ un brano contro i perbenismi?
È un brano che mostra semplicemente la naturale attitudine dell’uomo a puntare il dito verso gli altri, ma se ci si mette davanti allo specchio quello stesso dito punta esattamente su noi stessi.
Reputo “Solo una bocca” una canzone d’amore speciale, che descrive perfettamente i sentimenti contrastanti che vivono i ragazzi di oggi. Come è nato questo brano?
Di notte, da una presa di coscienza di quanto l’aggirarsi serotino di molti sia in realtà una ricerca disperata d’amore, e le follie che si fanno “in serata” siano spesso effimere e amare; alla fine tutti vogliono una semplice e docile carezza.
Il primo singolo dell’album è “Pantelleria”. E’ ispirata da ricordi e sentimenti che hai vissuto realmente sulla piccola isola del mar Mediterraneo?
Sì, quell’isola è senz’altro illuminata da una energia non comune, e travolse anche me quando mi ci recai.
Perché hai scelto “La violenza della luce” come titolo dell’album? E’ tra gli otto brani quello che rappresenta di più il percorso che ti ha portato al tuo terzo lavoro?
Tutte le canzoni contengono un’insofferenza per il superficiale e una voglia quasi disperata di un chiarore ristoratore, per questo quel titolo descriveva bene l’album intero.
L’album segna il tuo “debutto” con la Sony, che lo ha pubblicato su etichetta Numero Uno. Negli ultimi giorni si è parlato molto dell’attività di rilancio del marchio che ha battezzato dischi entrati nella storia della musica italiana, come quelli di Lucio Battisti. Cosa significa per te poter pubblicare sotto la “coperta” della Numero Uno?
È senz’altro un onore, ma d’altro canto non dobbiamo impelagarci troppo con il passato, noi siamo vivi e operiamo ora e adesso, siamo noi a fare musica e sarebbe bene che se ne accorgessero un po’ tutti e smettessero di fare paragoni continui e malinconici con un passato che non c’è più.
L’attuale pandemia non consente di fare concerti dal vivo. Che attività promozionale è prevista per “La violenza della luce”? Farai concerti in streaming?
Sto per uscire con qualche novità, streaming e forse un paio di incontri in dei negozi di dischi. Intanto il 10 dicembre in streaming da Padova, sui miei social tutte le info per partecipare.
Un’ultima domanda. In tanti ti hanno conosciuto con Il Genio. A distanza di tanti anni cosa ti è rimasto di più di quell’esperienza?
Mi resta tutto, perché lavorare con Alessandra e scrivere insieme a lei era semplice, divertente e costruttivo.